VALENTINA LOCHE, IL SIGNIFICATO DEL TEATRO PER L’ARTISTA ORANESE

ph: Valentina Loche


di Irene Bosu

Personalità forte, carisma e caparbietà: questi gli ingredienti del successo dell’artista oranese Valentina Loche. Laurea in Scienze dell’Educazione, educatrice professionale, e ancora  docente, segretaria, attrice nella compagnia teatrale I Barbariciridicoli, autrice, presentatrice, intervistatrice, blogger di Millimetroemezzo, socia fondatrice dell’Associazione Culturale “Mi prendo e mi porto”.Si descrive come una scheggia impazzita (quanto basta), empatica, versatile e ottimista. 

Ciao Valentina, qual è la tua personale definizione di teatro?

Il teatro è emozione pura, è l’arte del comunicare attraverso un gioco, un bellissimo gioco che ti fa cambiare prospettiva, che ti fa guardare oltre. Il teatro ti da la possibilità di staccare la testa dalla vita quotidiana e di portarti lontano, in mondi nuovi e sorprendenti. Attraverso il teatro il messaggio che si vuole dare arriva direttamente al cuore, più di qualsiasi altro mezzo di comunicazione. Accade una sorta di magia, tra l’attore e il pubblico. Entrambi si ritrovano a percorrere insieme un viaggio, talvolta allegro, talvolta triste, e questo viaggiare insieme lascia sempre un segno. 

Come ti sei avvicinata alla recitazione? C’è stato qualcosa o qualcuno che ti ha spinto verso questo mondo?

Da piccola ero molto timida e non avrei mai creduto di fare teatro. Avevo 18 anni, mio fratello si iscrisse ad un laboratorio teatrale e mi convinse a farlo anche io insieme ad una mia amica. Non so come ci riuscì, visto il mio essere introversa, ma ci riuscì. Nell’ultima riga del questionario d’iscrizione mi si chiedeva il consenso per un eventuale saggio finale. La mia risposta? “NO”! Ma non avevo la minima idea di cosa fosse un laboratorio teatrale. Durò mesi, tra risate, confronto, giochi, limiti valicati e autostima in salita. Feci il saggio finale, e da allora non sono più scesa dal palco. 

Fai parte della compagnia sarda “I Barbariciridicoli”, cosa rappresenta per te?

Si, dal 1999, da quando quel famoso saggio finale è diventato lo spettacolo “Manichinzuzù”. È stata la mia prima e unica famiglia teatrale, con I Barbariciridicoli ho conosciuto il teatro, la recitazione, il palcoscenico. Sono cresciuta tra spettacoli comici, tra personaggi buffi e meno buffi fino ad arrivare al teatro sociale che affronta temi drammatici quali ad esempio la violenza sulle donne.  In questi ultimi anni portiamo in scena il monologo “Marcella – o dell’uccisione dell’anima”, in giro per la Sardegna, per alcune regioni d’Italia fino ad arrivare alla Svizzera. Essendo un monologo per me è uno spettacolo molto pesante ma il fatto che attraverso Marcella alcune donne possano prendere consapevolezza di essere vittime di violenza da parte del proprio partner, penso che la fatica sia notevolmente ricompensata e che il gioco non ne valga la candela ma una scatola di candele. Ogni volta è una forte emozione e una soddisfazione indescrivibile. E pensare che in quel famoso laboratorio non riuscivo a dire nemmeno due parole da sola. Ecco perché penso che il teatro debba essere inserito come materia scolastica fin dalla scuola d’infanzia. Si pensa che chi fa un laboratorio teatrale debba poi per forza salire sul palco, ma non è così. Il teatro permette di conoscersi a fondo, di migliorare la comunicazione con l’altro, di allenare l’empatia, di imparare a gestire le emozioni.

Ti ricordi una scena in cui ti sei divertita di più?

Ce ne sono tante davvero ed è impossibile sceglierne una in particolare. Posso dirti che mi diverto tantissimo quando sbaglio qualche battuta e ne invento di nuove, quando durante gli spettacoli di improvvisazione trovo una persona del pubblico che sta al gioco e si fa trascinare dalla mia follia teatrale, quando i bambini che coinvolgiamo in alcuni spettacoli ci stupiscono con effetti speciali, quando in scena succede qualche imprevisto e rido dentro, perché sul palco non puoi lasciarti andare come vorresti.  Ecco, mi sono appena ricordata di una scena divertentissima. Era la seconda replica del mio primo spettacolo, interpretavo Dio, dietro le nuvole. Ad un certo punto mi alzo e non so perché guardando Adamo inizio a ridere a crepapelle e non riesco a smettere. Sono costretta a risedermi e chiudere le nuvole per riprendermi e finire lo sketch. Riapro le nuvole ma rido ancora. Ho riso per qualche minuto, insieme al pubblico che ovviamente si è accorto che non faceva parte del copione. Ho tagliato le ultime battute perché non riuscivo ad andare avanti e ho recitato la battuta finale tra i denti, dopo un bel respiro. Ricordo indelebile. 

Dicci tre aggettivi per descrivere il tuo percorso artistico.

Timido, folle, spontaneo, divertente, faticoso, ricco, colorato, emozionante, coraggioso, sorprendente.

Ma questi sono più di tre!

Convintissima me ne avessi chiesto dieci! E ora che faccio? Li lasciamo? 

Hai dei riferimenti tra gli artisti del panorama sardo?

Non seguo degli artisti in particolare, amo nutrirmi di tutto ciò che mi danno gli attori che conosco tra un’esperienza e l’altra. Li osservo, li ascolto e traggo gli aspetti positivi da ciascuno di loro. Grazie ai Barbariciridicoli ho avuto la possibilità di intervistare, nelle vesti di Ippi Ippi, diversi artisti sia del panorama artistico regionale che di quello nazionale. Ne ho conosciuto tanti, tutti diversi tra loro e attraverso le mie domande ho visto cosa c’è dietro la loro maschera di attori.Talvolta si pensa che un attore reciti anche nella vita quotidiana, ma non è così, a volte recita di più chi non sale mai sul palcoscenico. 

 Qual è lo spettacolo più bello a cui hai assistito?

Ora mi rendo conto cosa vuol dire rispondere a delle domande talvolta difficili (come quelle che a volte faccio sul palco!). Di spettacoli ne ho visti tanti, belli e meno belli, simpatici e meno simpatici, forti o leggeri. Ma forse quello che mi è rimasto più impresso è uno tra i primi a cui ho partecipato come spettatrice “La comicissima tragedia di Romeo e Giulietta” degli Actores Alidos. Lì ho capito che il teatro poteva portarti ovunque con risate e immagini lontane, lì ho capito che il teatro poteva darmi tanto. È strano vivere uno spettacolo da spettatrice, a volte vorrei vedermi mentre recito, staccarmi dal mio corpo e sedermi con il resto del pubblico per vedere l’effetto che fa. Lo so, non posso farlo, provo a immaginarlo ma non so mai come va a finire perché devo subito tornare sul palco e riprendere in mano le redini dello spettacolo. Peccato. Avrei un auto feedback. 

…e lo spettacolo più bello nel quale sei stata protagonista?

Ecco, aspettavo questa domanda, anche perché è una domanda che io faccio spesso. Io adoro “La Sag(r)a degli Arborea”, è uno spettacolo di parecchi anni fa, scritto da Silvana Deidda, che ora purtroppo abbiamo dismesso. Ci siamo divertiti come matti, e il pubblico con noi. È la parodia della storia di Eleonora d’Arborea, uno spettacolo comico tra battute esilaranti, personaggi buffi e balletti divertenti. Io interpretavo la grande Eleonora che per me è sempre stata un mito, e anche se si trattava di una parodia per me è stato un onore indossare le sue vesti. 

A quali progetti stai lavorando in questo momento?

L’anno scorso, in occasione della manifestazione Invasione poetica” che si è svolta a Gavoi, ho messo in scena un reading su Alda Merini “Alda… Fior di poesia” con l’accompagnamento musicale del mio amico Antonello Masini. L’esperienza è stata bellissima, quindi abbiamo deciso di proporre il reading in diverse manifestazioni apportando qualche modifica ed inserendo una piccola parte che parla di educazione genitoriale (e qui c’è la mia deformazione professionale di educatrice guerriera).

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