di Luca Mascia
Trentacinque anni e una poltrona da docente di Economia politica internazionale al King’s College di Londra. No, nessun errore: Roberto Roccu da Benetutti, dopo il Master and Back e una rigida selezione ha conquistato le porte di una delle più prestigiose scuole britanniche senza neanche meritarsi il titolo di enfant prodige . «Non sono un’eccezione nel mio dipartimento, anzi, ho molti colleghi coetanei e negli ultimi anni l’istituto ha assunto tanti ragazzi più giovani di me». Eppure, noi dall’altra parte della Manica non possiamo che rimanere impressionati da un professore con la faccia da ragazzino che dall’alto di una cattedra svela agli studenti inglesi i retroscena dei conflitti in Medio Oriente e le tensioni del Nord Africa post Primavera araba. Guerre apparentemente lontane, che imperversano comunque a pochi passi dalla Sardegna.
La nostra isola crede di essere al riparo dal terrorismo. Ne ha motivo? «Parafrasando Flaiano, dico che la situazione è seria, ma non tragica. Senz’altro non abbiamo avuto problemi di sicurezza, ma in futuro chissà. È vero che, sebbene non coinvolti direttamente, non possiamo definirci spettatori privilegiati di una battaglia contro l’estremismo, visto che abbiamo tassi di disoccupazione vicini a quelli della Grecia e le nostre coste sono meta di migliaia di profughi e migranti. L’isolamento, la scarsa densità demografica e l’economia fiacca ci stanno dando un vantaggio contro gli attacchi, ma non ci escludono dai flussi migratori che ne derivano».
Il resto dell’Europa però è sotto attacco. Riuscirà a ripristinare la pace? «Una crisi di legittimità sta minacciando i paesi membri della Unione Europea, a sua volta indebolita da una politica non unitaria. Vittima di un malcontento popolare che ha portato alla Casa Bianca Trump, l’estrema destra di Le Pen al ballottaggio e la Gran Bretagna fuori dall’Europa. In un contesto in cui i nuovi governati fanno fatica a gestire le dinamiche intere non si potrà sperare in una strategia estera aperta e conciliante verso i paesi da cui oggi arrivano le minacce più importanti».
Il Nord Africa potrà avere un futuro di sviluppo simile a quello che l’Europa sta riuscendo a dare a Paesi come Polonia, Romania o Repubblica Ceca? «Mi spiace non essere ottimista, ma senza pace non ci può essere stabilità politica. E senza stabilità non potrà mai arrivare la crescita economica. Presupposti che mi spingono a credere che i flussi migratori massicci verso l’Europa non si arresteranno presto».
Per qualcuno la crisi mediorientale sarà breve. Ci attendono infatti guerre informatiche tra Europa, Usa, Cina e Russia. «Abbiamo avuto recentemente le prime conferme, gli hacker russi quasi certamente hanno influenzato le ultime elezioni presidenziali negli Stati Uniti e con altrettanta probabilità hanno tentato di ripetersi durante il voto in Francia. Ma la crisi nel Mediterraneo è iniziata nel 2010 con i tumulti in Tunisia, e sette anni non mi sembrano pochi».
I riflettori del disordine mondiale si sono spostati anche verso Stati Uniti e Corea del Nord. Il rischio di un conflitto è così probabile? «Il nuovo presidente sud coreano sembra sposare una linea morbida verso i vicini del Nord. Un approccio che apparentemente cozza con l’atteggiamento muscolare mostrato nei primi mesi della presidenza Trump. Per quanto non penso che neanche il presidente Usa sia intenzionato a invischiarsi in un confronto militare».
Trump si sta comunque dimostrando imprevedibile. E scenari da film catastrofici si avvicinano alla realtà. «È vero, la velocità con cui lo scontro Usa-Nord Corea si è acceso ha colto tutti impreparati. In pochi giorni si sono mosse navi e lanciati missili. Gli analisti stanno ancora studiando le mosse dell’amministrazione americana, ma i primi segnali sembrano preoccupanti».
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