di Francesca Cardia
Famiglie iper-digitali, sperdute nei meandri dei mondi virtuali, iperconnessi alle reti e ai social ma disconnessi tra loro. Famiglie 2.0, con genitori e figli alle prese con una dipendenza digitale difficilmente gestibile. I dati degli ultimi Safer internet day scattano una fotografia impietosa: adolescenti perennemente connessi che comunicano via chat con i genitori che, spesso iperconnessi pure loro, non sono consapevoli dei rischi che corrono i figli in rete. Quattro ragazzi su 5 frequentano siti porno, 3 genitori su 4 non conoscono il sexting. Un genitore su 10 non ha mai sentito parlare di cyberbullismo. E ancora, un adolescente su 4 è sempre on line; il 17 per cento dichiara di non riuscire a staccarsi da smartphone e simili. Un ragazzo su 5 confessa di essere a rischio vamping: ovvero si sveglia nel bel mezzo della notte per controllare i messaggi sul cellulare. Ovviamente quasi 4 su 5 (il 78%) chattano continuamente su WhatsApp.
Maura Manca, presidente dell’Osservatorio nazionale dell’adolescenza, psicoterapeuta, psicologo clinico e psicodiagnosta clinico e forense (specializzata in tutte le problematiche emotive e comportamentali dell’età evolutiva, con particolare riferimento a quelle adolescenziali e giovanili) e docente di “Psicologia del rischio in età evolutiva” nel corso di laurea in Psicologia Applicata Clinica e della Salute dell’Università degli Studi dell’Aquila, traccia il quadro della situazione. Il suo libro Generazione hashtag analizza comportamenti e tendenze degli adolescenti tecnologici, le social mode e tutte le problematiche e devianze legate alla rete.
Oggi nelle famiglie digitali si discute tanto ma si parla troppo poco. Come si può ricucire questo dialogo e accorciare le distanze tra genitori e figli? L’assenza di dialogo tra genitori e figli e più in generale all’interno delle mura domestiche è un aspetto su cui riflettere perché parlare con i figli significa conoscerli e comprenderli e quindi essere in grado di entrare nella loro ed intervenire quando serve. Se non si riesce a “vedere” un figlio, non si riescono a cogliere i segnali di allarme che lanciano anche in via indiretta. Quando si litiga, il genitore non dovrebbe mai mettere in discussione il rapporto affettivo che lega il genitore con il figlio e non dovrebbe mai criticarlo e svalutarlo come persona. La maggior parte dei conflitti ruotano intorno all’utilizzo della tecnologia e piuttosto che attaccare i figli, per prima cosa i genitori dovrebbero informarsi, formarsi e conoscere per poter educare. Il dialogo, dunque, deve diventare lo strumento principale per far capire loro le motivazioni, i rischi, i pericoli e le responsabilità di tali strumenti. Non si tratta di un braccio di ferro in cui c’è un vincente ed un perdente: si tratta di confrontarsi apertamente con loro, di mettere dei paletti quando necessario ed educarli fin da piccoli, soprattutto al rispetto per se stessi e per gli altri, sia nel mondo reale che in quello digitale.
Il contrasto generazionale c’è sempre stato. Anche prima tra genitori e figli c’erano i conflitti, i bisticci, le punizioni. Ma cosa è cambiato rispetto al passato, qual è la discriminante che oggi rende tutto così complicato? Rispetto al passato, le relazioni affettive sono troppo tecno-mediate: tutto è ripreso, tutto è registrato e tutto sembra passare attraverso l’occhio di una telecamera per avere tanti ricordi fissati su uno schermo e avere però poco contatto fisico e scarsa condivisione. Lo smartphone è diventato ormai per i più giovani una protesi della loro identità e per i genitori è davvero difficile comprendere un utilizzo così massiccio da parte dei figli, in tutte le attività del quotidiano. Sicuramente, l’invasione degli strumenti più all’avanguardia ha contribuito ad incrementare il divario tra le due generazioni e spesso i genitori si trovano impreparati a gestire questa sfida. I problemi, dunque, riguardano soprattutto il barattare un tempo e la modalità di utilizzo che l’adolescente dovrebbe adottare nell’utilizzo degli strumenti tecnologici, trovando il giusto compromesso.
Le punizioni e quelle 2.0, in particolare, servono per educare i figli? Le punizioni tradizionali e le punizioni 2.0, che riguardano più che altro ricatti e minacce legate all’immediato sequestro dello smartphone, vengono utilizzate molto spesso dai genitori, i quali hanno capito che se vogliono ottenere qualcosa dai loro figli, devono andare a toccare ciò che hanno di più caro. Tuttavia, punirli, togliergli lo smartphone, privarli del loro mondo, non è un metodo efficace per educare e per ottenere rispetto da parte loro. In questo modo il genitore sta giocando l’ultimo jolly dopo il quale non avrà altre carte da giocarsi per farsi obbedire: i figli non fanno le cose perché hanno realmente compreso ma perché hanno paura di quello che possono perdere. Le punizioni, dunque, se non contestualizzate e ben spiegate dal genitore, alimentano solo i conflitti e la rabbia interna di un ragazzo che si sente deprivato o violato di una parte di sé.
Il bullismo e cyberbullismo alle scuole primarie, è estremamente frequente, più diffuso che alle scuole secondarie di secondo grado. Quali sono i comportamenti e i segnali che devono far suonare il campanello d’allarme? Tra i bambini sono frequentissime le prese in giro, l’isolamento, le spinte, i colpi, il rubare e rompere oggetti, creare gruppi ed escludere il bambino preso di mira, non invitarlo alle festicciole, lasciarlo solo e non apprezzato. Si tratta di bambini estremamente volgari, maleducati e aggressivi, soprattutto con i cellulari in mano, i quali diventano mitra distruttivi per sparare a zero, fare video, foto, prendere in giro e diffondere, perché già a quell’età, tanti di loro hanno i primi social network. Si sta parlando di prevaricazioni e di aggressività gratuita nei confronti dei bambini più sensibili e introversi, considerati già diversi. Sono tantissime le vittime che soffrono in silenzio, che sviluppano sintomi psicosomatici come mal di pancia, mal di testa o vomito, disturbi del sonno, scarsa autostima, calo del rendimento scolastico e che sperimentano vissuti di paura e ansia.
Cosa fare quando il figlio racconta che è preso di mira e cosa gli fanno i compagni in classe? Per un ragazzo che viene preso di mira dai compagni, è difficile parlare con i propri genitori di quanto gli sta accadendo. È perciò fondamentale ascoltarlo, mettersi nei suoi panni e incoraggiarlo a parlarne, riconoscere le sue sofferenze e difficoltà. Bisogna trasmettergli sicurezza e fiducia, aiutarlo a non cedere alle provocazioni dei bulli e spiegargli che non deve cancellare eventuali tracce su social o chat, ma condividerle con i genitori, in modo da agire tempestivamente. Non si deve mai sottovalutare quanto sta accadendo ed è importante parlarne con la scuola, collaborando per comprendere e intervenire. I ragazzi possono perdere fiducia in se stessi e negli altri o non voler più andare a scuola, e per tale ragione è importante sostenerli, incoraggiarli a non chiudersi o isolarsi, far sentire loro che c’è una soluzione per uscire da tutto questo, anche se a volte non è immediata.
Cosa deve fare un genitore quando scopre che il figlio è un bullo o un cyberbullo? Riconoscere e gestire i comportamenti del bullo o del cyberbullo è difficile: il ragazzo non parla di ciò che fa con gli adulti, tende a negare o sminuire e dà la colpa agli altri. Il genitore non deve aver paura di vedere che il proprio figlio è un bullo, deve intervenire e spiegargli anzitutto la differenza tra gioco e prevaricazione. È importante controllare le sue azioni online, spiegargli rischi e conseguenze dei suoi comportamenti e ciò a cui può andare incontro. Non si deve sottovalutare quanto accade, considerandolo un gioco tra ragazzi, né giustificare i comportamenti del figlio, ma cercare di comprendere cosa lo porta ad agire così, senza giudicarlo o insultarlo. È importante rivedere quali aspetti educativi sono venuti meno, soprattutto in relazione al concetto di diversità e di rispetto del prossimo, aiutandolo a interagire con gli altri senza sentirsi superiore o considerarli meritevoli di essere presi di mira.
Nel suo libro “Generazione hashtag. Gli adolescenti dis-connessi” passa al setaccio le nuove leve di nativi digitali. Cosa è successo a questi adolescenti che si nascondono e si esprimono con un #? E la nostra società iperconnessa, senza più privacy e volutamente sovraesposta sui social che ruolo ha in tutto questo? Gli adolescenti dis-connessi non si limitano ad usare la tecnologia in tutte le sue potenzialità e risorse, ma ne abusano arrivando ad utilizzarla in modo distorto. La rete diventa per loro un rifugio virtuale in cui nascondersi, sentirsi liberi, esprimersi, mostrarsi disinibiti o spregiudicati. Non sono però solo i ragazzi ad usare in modo distorto la tecnologia e la rete; i messaggi e i modelli sociali a cui si ispirano veicolano, infatti, l’importanza dell’apparire a tutti i costi, dell’essere sempre all’ultima moda, del condividere tutto con tutti, senza filtri e senza privacy, pur di ottenere il maggior numero di like e di follower. Tutto ciò, unito all’emulazione dei modelli incontrati online e all’anonimato, può portare i ragazzi ad abusare delle rete, senza rendersi conto dei rischi che corrono o delle reali conseguenze dei loro comportamenti.
Dietro certi linguaggi, dietro certi hashtag si nascondono problemi e disagi, quali sono i più diffusi e come decifrarli? Dietro il simbolo #, si cela spesso un mondo sommerso in cui i ragazzi esprimono stati d’animo, emozioni e comportamenti ma anche la propria sofferenza e il proprio malessere interiore. I ragazzi si coprono dietro profili di social network meno conosciuti dai genitori, cercano altri coetanei attraverso dei tag specifici e condividono in questo modo tra loro il proprio dolore. Utilizzano termini dietro gli hashtag che possono sembrare nomi femminili o che non destano apparentemente alcun sospetto, per esprimere problematiche come i disturbi alimentari, l’autolesionismo e l’ideazione suicidaria. Ad esempio, #sue si riferisce al suicidio, #ana ai siti o blog pro-anoressia, #mia a quelli pro-bulimia, #cut è l’abbreviazione del termine cutting, tagliarsi intenzionalmente.
Selfie, grooming, cyberbullismo, sexting, social mode in cui alcol e corpi magrissimi sono i protagonisti stanno diventando i compagni di viaggio di questi adolescenti. Come si può evitare che cadano nelle trappole delle comunicazioni devianti? L’educazione deve essere al primo posto, un’educazione che sia trasmessa sin da quando i figli sono piccoli, attraverso l’esempio, il dialogo e le regole. Non si può prescindere dagli strumenti tecnologici, il genitore deve informarsi e accompagnare il figlio nel rapporto con il digitale, fungere da filtro, così che nella crescita possa lui stesso darsi i giusti limiti, sviluppare un senso critico e riflettere prima di agire in rete, proteggendosi dai pericoli della rete. Bisogna entrare nel mondo del figlio e tenersi aggiornati su tutti i fenomeni del web, altrimenti non si è in grado di monitorare i ragazzi e di condividere con loro le esperienze che vivono online, lasciandoli soli a navigare in un mare di insidie e pericoli.
E noi adulti, siamo diventati anche noi schiavi di telefonini, tablet e social. La tecnologia è nata per liberarci ma alla fine ci ha reso schiavi. Quali sono le dritte per provare a “disintossicarsi” e dare ai nostri figli il buon esempio? È importante che anche i genitori riflettano e rivalutino alcuni propri comportamenti così da impostare bene l’esempio che vogliono dare ai propri figli, trovando un equilibrio che sia adatto per tutti. Sin da piccoli, infatti, se i bambini vedono i genitori trascorrere ore ed ore davanti agli schermi, a giocare con lo smartphone, ad utilizzare i social in maniera inadeguata, a fotografare tutto e a filmare ogni cosa che viene poi condivisa online, interiorizzeranno e riapplicheranno gli stessi schemi comportamentali abituali. Per una buona disintossicazione, non bisogna solamente ridurre il tempo speso con i dispositivi, ma soprattutto seguire delle regole di utilizzo, privilegiando con i figli il contatto visivo, il dialogo e la comunicazione faccia a faccia, tutti elementi che si stanno perdendo all’interno delle relazioni.
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