Come un cristallo prezioso colpito nel cuore che va in mille frammenti…
Quell’isola era sempre stata la sua dimora più intima ed ora l’aveva ripudiato. Non era più lì per coccolarlo.
Si era ripresentato al suo cospetto. Perché quella era anche la casa di lei. Perché la sua pelle profumava di Sardegna. Dea nel suo cuore.
Aveva il sapore di sale sulla pelle vellutata. Il suo respiro era come schiudere i polmoni di fronte all’esalazione della macchia mediterranea in una giornata d’inizio primavera, quando gli albori della stagione fanno si che siano più acuminati e sinuosi.
La stanza era nella penombra, mal contenuta dal sole che estinguendosi all’orizzonte annunciava ombre allungate e sinistre.
Il mare all’esterno, erigeva la pace con se stesso, riacquattandosi dopo una giornata caotica a trasbordare sulla battigia i suoi umori salati e inavvicinabili.
Lui aveva desiderato rimpicciolire il tempo dell’attesa e aveva trovato all’ultimo momento un low cost per fare una sorpresa alle “sue” Sardegne, quelle che gli avevano portato via il cuore. Quelle che gli facevano agitare le corde più occultate del suo io più profondo.
Bramava carezzare il viso della sua Dea Madre in carne ed ossa, colei che accompagnava i suoi pensieri reconditi nelle giornate identiche a centinaia di chilometri di distanza. Adorava ascoltarne la voce all’alba primordiale e l’eco infinito nella sua mente del timbro vocale nelle ore d’ufficio nella pressante metropoli. E spasimava nell’essere l’ultimo a congedarla prima che morfeo l’avvolgesse nella notte buia ed armoniosa.
“Vorrei a farle una sorpresa – disse alla donna anziana che aveva la copia delle chiavi dell’appartamento sulla spiaggia – arriverò nel pomeriggio direttamente dall’aeroporto”.
Lei amava stringersi nel suo accappatoio dopo la doccia, ferma ad esaminare questa vasca d’acqua immensa, celandosi dietro una portafinestra socchiusa, che lasciava trapelare i suoni dell’ambiente circostante.
Invaghiva nel rammentare i momenti di vita trascorsi insieme in quella stanza che era divenuto il luogo dove indugiava in attesa del suo rientro. L’anziana donna con un sorriso malizioso carico di affetto materno gli cedette la chiave della porta. Uno sguardo d’intesa valeva più di qualsiasi parola di ringraziamento.
Si sedette sulla poltrona accanto all’imponente finestra.
Lungo l’arenile una coppia di bambini ostentavano la loro allegria in un molteplicità di schiamazzi con il loro aquilone color porpora che s’inerpicava a rotta di collo, fra baldanzose nuvole che degustavano l’ora del crepuscolo.
Il pescatore, verso il molo, ormeggiava la sua maldestra barchetta, rastrellando le reti e vagheggiando per l’indomani una più cospicua e sostanziosa pesca. Tobia il suo bastardino, scodinzolava spensierato lungo le assi del molo guaendo sonnecchioso ai gabbiani che lesti e leggiadri facevano capolino intorno all’imbarcazione, già prelibando chissà quale simposio di resti liscati che non potevano essere considerati cibo per gli umani.
Chiuse gli occhi e la fantasticò lì al suo fianco.
Come l’ultima volta, quando l’estate di Sardegna disponeva la parola fine al suo durevole percorso di gioia e colori.
Un brivido veloce guarnì il corpo di lei facendola sussultare. La doccia per togliere il sale del mare, stava cominciando a non cullarla più con il suo tepore. Poggiò il capo al vetro. E silenziosa scrutò l’universo.
Quando lui entrò nella stanza sempre più buia, non diede motivo di percepire la sua presenza.
D’altronde il suo esserle accanto, risultava ancora ingombrante alle sue riflessioni, ai suoi occhi. E quasi oscura la sua esistenza al suo sentimento.
Di questo lui era pienamente consapevole … A passo solerte oltrepassò gran parte della stanza, esaminando il disordine delle lenzuola ancora ancestrali del transito notturno della sua Dea.
Indugiò di fronte al pianoforte, il luogo dove lei esplorava il suo lato artistico, nelle mattinate di maestrale, per cadenzare melodie che laceravano le afflizioni del cuore.
Compresse un tasto che librò una nota che severa riecheggiò nella stanza.
Voleva far sentire la sua presenza. Cercò di farlo con tutta la delicatezza immaginabile. Si avvicinò a lei senza proferir parola.
Impercettibilmente lei mosse un muscolo del collo, assorta da quella nota che rimase scolpita nella quiete dell’ambiente. Ma non disse nulla.
Lui convogliò alle sue spalle e cominciò a esaminare l’universo di lei che nel frattempo era speditamente mutato.
Riaprì gli occhi per reiterarsi nella propria realtà. I bimbi stavano sollevando l’aquilone che nel frattempo era planato sulla rena. Il pescatore poggiate le reti sul fondo della barca, con il suo fido Tobia si stava indirizzando con due secchi colmi di pesci verso il capanno in fondo alla spiaggia, prima della pineta che era diventato un disegno unico col cielo incupito. Le ore trascorrevano affievolite e non serviva osservare le lancette dell’orologio spostarsi. Il cuore nel petto, intuì, aveva accresciuto il suo battito. Lei stava per tornare e l’apoteosi fra loro si sarebbe inesorabilmente perfezionata.
Lui cinse il bacino di lei e poggiò la sua testa sulla spalla.
Percepì il profumo della sua pelle, inarcò la schiena per seguire il sinuoso corpo di lei, che intangibile accettò quell’abbraccio senza indugi.
Spostò l’accappatoio che avvolgeva la sua spalla e con la mano le scostò i capelli che ancora umidi della doccia ricadevano a ciocche sulla nuca.
Seguì con le labbra il corso della spalla, s’inebriò a pieni polmoni della sua delicatezza, del suo sapore. E la desiderò come non mai.
Lei sentì il suo intimo contatto e chiuse gli occhi, abbandonandosi con l’intelletto al coinvolgente momento d’estasi che non fece che disporre in prominenza l’esistenza dei brividi sulla sua pelle.
Ci fu un istante, un semplice momento incantevole fra di loro: un lampo in cui si sentirono compromessi emotivamente in un itinerario all’unisono attraverso il desiderio di rimanere appiccicati l’uno all’altro.
Lui con le sue labbra si spostò verso il collo e risalì sino alla parte dietro stante dell’orecchio. E cominciò una lenta operosità umorale con la bocca socchiusa.
Lei sembrò ridestarsi e sussurrò un impercettibile “Ehi”.
“Stai pensando ancora a lui?” disse sottovoce l’uomo quasi temendo che la risposta che presumeva attendersi spezzasse definitivamente quella magia.
Lei scosse la testa. Ma non si girò. Non era ancora il momento.
Lui la strinse ancora più a sé e con la bocca si avvicinò ancor più alle labbra di lei.
Udirono il cinguettio dei gabbiani e il frastagliarsi delle onde del mare lungo la spiaggia, nel momento che le loro bocche si congiunsero.
Nell’istante intimo in cui le loro lingue entrarono in contatto e si scoprirono in un walzer lento di danze infinite ed eccitanti.
Lei per baciarlo si era pigramente girata e aveva permesso a lui di rimuovere l’accappatoio anche dall’altra spalla, facendo si che ineluttabilmente la massa spugnosa precipitasse a terra lasciandola lì nuda, in balia degli eventi.
“Ti amo” le aveva sussurrato dolcemente.
E degli avvenimenti che potevano capitare in quella stanza, quella sera di fine estate, con un crepuscolo sempre più evidente e maestoso, lui desiderò fortemente che si rinnovasse la fiammella della passione ora che era lì ad attenderla.
Sentiva che il momento stava per arrivare. Sorrideva pensando al suo sguardo di sorpresa nel percepire la sua presenza in quella stanza.
Chissà se sarebbe corsa da lui ghermendolo con le sua braccia o avrebbe cercato la sua bocca senza dare tempo alla sua voce di proferir parola.
Sentì i passi nel corridoio all’esterno dell’appartamento. Ebbe l’impressione di sentire la sua voce. Trattenne il respiro. L’aria soffice nell’aria all’improvviso si fece cupa. Pesante. Tenebrosa. Il cuore accelerò il battito imbruttendosi nel mosaico interiore di smarrimento. Voci mozzate. Risate soffocate. Borbottii ansimanti.
La chiave che girava nella serratura. E un corpo unico formato da due entità che varcava la porta.
(“Stai pensando ancora a lui?”)
Gli occhi di lei, lo smarrimento. L’imbarazzo dello sguardo dell’altra persona. Poi il buio.
Come un cristallo prezioso colpito nel cuore che va in mille frammenti…