Puntuale ogni anno a dirci che la Primavera è dietro l’angolo di casa ( allo stand TC43: l’Associazione “Il volo della rondine), arrivano a Milano i tre giorni di “Fa’ la cosa giusta”, la fiera nazionale del consumo critico e degli stili di vita sostenibili. Tanto più indispensabile immergersi nelle utopie realizzate che propone dopo il KO che tutto il mondo dell’ambientalismo ha subito con le recenti elezioni americane: il nuovo Grande capo Pel di Carota ( la definizione non è roba mia, copio da Vittorio Zucconi su “Repubblica” del 12 scorso: “I Siux accampati alla Casa Bianca contro l’oleodotto dell’uomo bianco”) ha scelto per suo ministro dell’ambiente un petroliere che nega la corrispondenza dell’aumento della temperature nel pianeta con l’emissione di anidride carbonica causata dall’agire umano, dettaglio insignificante che la comunità scientifica in stragrande maggioranza certifichi il contrario da anni. A Luca Mercalli, noto climatologo di “Che tempo che fa”, sarà venuto uno stranguglione, parola di etimo incerto che forse deriva da strangolare ( Il nuovo De Mauro). Qui alla fiera è tutto uno stand di energie positive, di associazioni senza chimica, impera il bio-mondo, i viaggi solidali, le botteghe equo-solidali (in Italia ce n’è più di 600). Il turismo, naturalmente deve essere responsabile. Checché ne possa pensare la nuova amministrazione americana questo modo di pensare il pianeta sta, seppur lentamente, diventando senso comune, muove insomma i comportamenti e gli stili di vita di un numero sempre più crescente di popoli nel mondo. Cosa di cui debbono tenere conto le imprese che vogliono rimanere sul mercato in modo non effimero, e continuare a generare reddito e posti di lavoro stabili. La Sardegna ha grandi carte da giocare nella partita che è globale per definizione, e su questo scacchiere muove delle pedine, ancora troppo poche in verità, ma di significato. Una delle 6 aree speciali proposte dalla fiera (economia circolare, salumeria del design, spazio donna ecc.) ha titolo: Territori Resistenti: “Valli, zone collinari o di media montagna, aree periferiche fino a ieri abitate e coltivate e oggi a rischio spopolamento. Fà la cosa giusta! dedica un focus a questi luoghi: a chi ci abita, a chi vorrebbe tornare a farlo e quindi cerca un modo per rendere sostenibile questo ritorno. Quest’area è realizzata in collaborazione con Alleanza cooperative italiane”. Percorrendo l’isola da sud mi imbatto nello stand a targa Iglesias che qui pubblicizza il neonato (la fondazione con atto notarile, presenti 21 dei sindaci dei comuni coinvolti è del dicembre scorso) “Cammino minerario di Santa Barbara”, un itinerario storico, culturale, ambientale e religioso nel Parco Geominerario storico ambientale della Sardegna lungo gli antichi cammini minerari del Sulcis Iglesiente Guspinese”, dice il pieghevole a disposizione del pubblico, e poi “ 400 Km da percorrere in 24 tappe nella terra più antica d’Italia tra mare, monti, miniere e memoria, attraverso 8.000 anni di storia”. A mò di sfondo le foto del mare di Masua e il Pan di Zucchero, scoglio calcareo di 133 metri che il mare ha eroso dalla terraferma, vecchie istantanee di miniera in bianco e nero, la mappa del cammino che interessa il sud-ovest dell’isola, una delle tante “Sante Barbare” che danno il nome al cammino: è la chiesa di Montevecchio.
Percorribilità sicura grazie alla segnaletica semplice e immediata. A piedi dunque, fra boschi di querce e ginepri, dune di sabbia dorata e scogliere a picco, habitat ideale delle specie autoctone del territorio, inciampando tra vecchie mulattiere e ferrovie per il trasporto del minerale, intersecando le vie delle processioni dedicate alla Santa patrona dei minatori. Ogni tappa, a occhio mai più di venti chilometri in un giorno di cammino, accoglie i viandanti con sistemazioni dignitose a prezzi non da strozzo, un’offerta di punti di ristoro a cucina territoriale, di manifestazioni e riti secolari civili e religiosi.Insomma davvero un itinerario enogastronomico tra case di pietra e profumi mediterranei alla ricerca dei sapori della cucina locale. Volessimo partire da Sant’Antioco io consiglierei di andare su verso Carbonia, ancora a nord per Bacu Abis e Nuraxi Figus fino a Iglesias. E poi Nebida e Buggerru. Portixeddu e Piscinas, a Montevecchio rimanere finché non ti imbatti in un cervo nei boschi. Ideale come sistemazione nelle varie tappe del percorso sarebbe potersi soffermare, magari un due tre giorni, in un albergo diffuso, che è sempre una struttura ricettiva gestita in forma imprenditoriale, in grado di fornire agli ospiti tutti i servizi alberghieri, camere e unità abitative dislocate in più edifici separati e preesistenti, presenza di una comunità viva intorno, di un ambiente autentico, uno stile gestionale integrato nel territorio e nella sua cultura. Un po’ casa e un po’ albergo. Per farsi conoscere, qui alla fiera c’è quello situato a Baressa e giustamente, vista la vocazione del piccolo comune della Marmilla che si fa un vanto di coltivarli da sempre, lo hanno chiamato “Il Mandorlo”. Marc Noli che ci lavora è vestito (quasi) da “ vero sardo”, la barba poco curata è OK, offre amaretti e pabassini, tutti rigorosamente di mandorle locali, una malvasia dorata (purtroppo in bicchiere di plastica) a nome significativo “Mendula” delle cantine Lilliu di Ussaramanna, ottenendo uno strepitoso successo. Ai continentali tocca spiegare che Baressa pur non arrivando ai mille abitanti (672 dice Wikipedia) è un piccolo centro che val la pena di visitare, il territorio comunale è disseminato da diverse testimonianze di epoca nuragica e romana, oltre ai nuraghi ben tre sono le necropoli: “Atzeni”, “Santa Maria” e “Santu Miali”. Al centro della Marmilla (suggestiva l’ipotesi secondo la quale, vista la presenza di molte paludi nella zona, il paesaggio poteva apparire punteggiato da “mille mari”), a un tiro di schioppo dal complesso nuragico di Barumini e dalla Giara di Gesturi, è un paese agro-pastorale e tra le coltivazioni praticate dai suoi contadini la più tipica è quella del mandorlo. La sagra che ne decreta la regalità, giunta oramai alla sua XXV prossima edizione, si svolge quest’anno il 9 e 10 di settembre. Stand dei prodotti locali, mostre di ceramiche e intreccio, visite casa museo, sfilata di maschere barbaricine di Ottana, Cuglieri, Paulilatino, e ancora spettacoli musicali dei gruppi Folk locali e altri provenienti dalle vicine Samugheo, Gesturi e Tuili. Inutile sottolineare che la fa da padrone la degustazione dei dolci di mandorle. Se volete vedere le camere dell’albergo diffuso di Baressa basta digitare su Google www.albergodiffusoilmandorlo.it
Che giustamente il locale, se vuole avere l’ardire di competere, fiero della sua identità radicata e ben definita, con il globale, deve dispiegare quanto si sente di offrire, sulla mega rete di internet. Così come fanno quelli di Galtellì, l’associazione culturale “Càmpana de Runda” (digitate e troverete) qui a Milano si presenta tra i “Borghi di eccellenza”. La “Galte” di cui Grazia Deledda usa lo sfondo per “Canne al vento” ( hanno creato un “parco letterario” col suo nome) si definisce una “Comunità ospitante”, vuol dire intanto che il visitatore sarà accolto da un abitante del luogo che gli farà da cicerone, lo introdurrà in un sistema di relazioni umane, prima di tutto. E solo in seguito gli aprirà lo scrigno di sapienza della comunità rappresentato dai prodotti locali, sia dell’artigianato sia dell’ enogastronomia. Ne ho una prova indubitabile come sono accolto allo stand da Ilaria Masala, Angela Saggia e Daniela Lai, due di loro sono nate sotto il campanile che da il nome all’associazione (attorno alla campana) e tutte hanno avuto l’idea che per funzionare a dovere il turismo debba essere “esperenziale”. Per cui nel museo che faranno funzionare nel centro storico del paese, una tipica casa a due piani, saranno tre i percorsi che riserveranno agli adulti, ai bambini, ai disabili. Nei loro video, in sardo con sottotitoli italiani inglesi e altre lingue, faranno parlare i vecchi del paese, gli diranno di raccontare le loro vite, testimonianze orali di un mondo che va svaporando nell’indistinto della modernità. Molte lingue sa parlare Ilaria, che presiede l’associazione, ha nel curriculum anche un paio di master in lingua sarda ottenuti all’università di Sassari e Nuoro, ma tutte e tre il sardo lo parlano bene ( e anche Marzia Gallus, che è assessora alla cultura), e anche il bimbo piccolo di Daniela. La Gallus mi dice del premio internazionale Grazia Deledda che vedrà sette finalisti contendersi l’alloro. E l’anno passato ci furono 170 scritti provenienti da 22 nazioni. C’è un video muto che passa su di uno schermo ( cliccate sul motore di ricerca: “campana de runda su you tube” e sentirete anche l’audio): sono i riti della settimana santa di Galtellì: la domenica delle palme (dominica de pramma) , l’intreccio de “sos passios”, i preparativi per l’ultima cena (sa suchena), le donne che impastano i dolci tipici (sos coccorois), poi la processione che fa vagare la Madonna alla ricerca del figlio morto, le prioresse della Confraternita di “Santa Rughe” che preparano il letto di morte del Cristo, S’iscravamentu davanti alla statua della Madonna vestita a lutto, un pugnale nel petto. I canti di lutto in sardo in sottofondo. E poi è il tripudio della “Dominica de Pasca”. Mi raccontano e sottolineano tutto queste ragazze de “Sa Campàna de Runda” che si stanno inventando un modo nuovo di lavorare nel loro paese, di cui sono innamorate e vogliono fare innamorare. La scommessa è che questa fiera della vita possibile che verrà faccia da “bandidori”, dove il ristorante vegano di tale Gianmaria offre malloreddus alla campidanese e fregola sarda con ragù di alghe. E’ il futuro che avanza con la velocità di internet, che funzioni è garantito: mai visto tanti bimbi come qui, sono dappertutto, per loro c’è anche un’intera sezione: il Pianeta dei piccoli, li vedi rigorosamente senza scarpe intenti a colorare e ritagliare fogli colorati, a costruire col legno improbabili grattacieli, le mamme lontane giocano coi cellulari.