di Silvia Ventroni
C’è un antico aneddoto che lega la Sardegna all’Argentina ed inizia nel 1370, quando alcuni marinai spagnoli di ritorno dall’Italia vengono colti di sorpresa da una terribile tempesta mentre navigano nelle acque sarde.
Per evitare il naufragio gettano tutti i bagagli in mare.
Finita la tempesta tentano invano di riprendere la rotta per la Spagna, ma la nave segue inspiegabilmente la direzione di una voluminosa cassa rimasta a galla, che entra nel golfo di Cagliari e la guida sino al borgo di Bonaria. Nel borgo trovano rifugio in un piccolo convento dove, spinti dalla curiosità, aprono la misteriosa cassa. All’interno c’è una statua della Vergine, che tiene un cero acceso nella mano destra e col braccio sinistro sostiene un bambino Gesù sorridente.
Da quel momento la Vergine di Bonaria diventa la protettrice dei naviganti, ed è a lei che il 3 febbraio del 1536 Don Pedro Mendoza nomina il porto di Buenos Aires, probabilmente in segno di gratitudine per la buona riuscita del lungo viaggio. Nel 1580 anche Juan de Garay, esploratore e conquistatore spagnolo, dedica alla Vergine il secondo e definitivo nome della capitale Argentina.
Il legame atavico tra le due terre si rafforza ancor di più grazie alle esperienze dei migranti sardi, dai racconti dei quali emerge un profondo senso di gratitudine per l’aiuto, la solidarietà e il sostegno ricevuto dal giorno del loro arrivo in Argentina fino al momento in cui hanno capito di avercela fatta.
“Mamma Argentina, grazie per averci accolti come tuoi figli e per averci permesso di realizzare i nostri sogni e le nostre speranze. Ci hai dato pace, lavoro e protezione”.
Pietro Pintus ha 95 anni, appartiene alla leva dei migranti arrivati a Buenos Aires subito dopo la Seconda guerra mondiale. E’ di Nulvi, in provincia di Sassari, e sbarca nel porto di Buenos Aires il 14 novembre del 1948. San Isidro, una cittadina della provincia di Buenos Aires, è il luogo dove decide di vivere assieme alla sua famiglia.
“Io l’Argentina l’ho scelta. Quando ho preso la nave era qui che volevo arrivare! Questa è la differenza con molti altri sardi arrivati qui nello stesso periodo, che avrebbero preferito sbarcare negli Stati Uniti, non in Argentina. Quando arrivai avevo 26 anni e andai a vivere a casa di un mio zio che viveva qui già da tempo. Mi accolse come un figlio e io sin da subito trovai lavoro nella General Motors. Poi cambiai lavoro, divenni macchinista navale nelle petroliere argentine, con le quali ho girato il mondo per ben trent’anni”. […] “La prima volta che sono ritornato in Sardegna l’ho trovata completamente cambiata, più bella. Ma i sardi che ci sono rimasti hanno fatto un grande errore, hanno abbandonato qualcosa che non avrebbero mai dovuto abbandonare: il campo”.
Pietro recita le sue poesie, rigorosamente in sardo, e racconta le sue storie mentre offre il vino che ha fatto in casa. Il suo ruolo è stato fondamentale all’interno del Circolo dei Sardi Uniti di Buenos Aires e ancora ad oggi è uno dei rappresentanti della Federazione dei sardi in Argentina. E’ sempre stato portavoce dei valori e della cultura della sua terra natia, ha indossato il costume tradizionale sardo in occasione di ogni manifestazione organizzata per il governo della città e ha contribuito a raccogliere i fondi per l’acquisto della sede del circolo nel quartiere di Caballito.
[…] “Il giorno che sono arrivato al porto di Buenos Aires mi aspettavano trenta persone. Volevano ricevere notizie sui loro parenti e io ho pianto per l’emozione. Il sardo è come il cavallo, cammina fino a che non trova altri cavalli. Ed è per questo che nel 1936 alcuni si sono riuniti e hanno creato il circolo dei Sardi Uniti di Buenos Aires”.
La pratica del mutuo soccorso in Argentina ha origine nel 1800, ovvero durante l’epoca dei primi flussi migratori europei verso l’America Latina. Prevede l’offerta di forme di assistenza e prevenzione, sulla base della reciprocità, aiuto e solidarietà. Questa tipo di pratica inoltre si fa carico della tutela e dell’integrazione dei migranti e delle loro culture d’origine in quello che per loro rappresenta un nuovo tessuto sociale.1
Su queste solide basi il 19 aprile del 1936 viene creato il primo circolo di sardi in Argentina: si chiama Sardi Uniti De Mutuo Soccorso di Buenos Aires e viene fondato con l’obiettivo di garantire la cooperazione e il reciproco aiuto morale tra gli associati. Nel mondo esistono circa centoventi circoli sardi e, fuori dal territorio italiano, quella di Buenos Aires è l’associazione più antica al mondo.
Margarita Tavera ha trascorso gran parte della sua vita all’interno del circolo. E’ figlia di migranti e attualmente è il presidente della Federazione dei circoli sardi in Argentina, nonché il segretario dell’associazione di Buenos Aires. Il Padre di Margarita, Cosimo Tavera, è stato il primo presidente della federazione e il presidente, per due mandati consecutivi, dell’associazione della capitale.
“Sono figlia di madre abruzzese e padre sardo, nativo di Ittiri. Nel 1949 mio padre sbarcò in Argentina e cercò di rintracciare Fausto Falchi, il primo presidente dell’associazione dei sardi di Buenos Aires. Successivamente, fondò insieme a lui altre associazioni, e attualmente la federazione è composta da otto circoli sparsi in tutto il territorio nazionale.” 2 […] “Quando ero piccola le persone trovavano nel circolo il loro rifugio: si giocava a morra, si ballavano le danze sarde, si cucinavano i piatti tipici. Veniva offerto denaro a chi ne aveva bisogno, aiuto a chi cercava casa o un lavoro, e c’erano anche servizi come l’assistenza medica. In questo contesto ho imparato a capire il logudorese3, ma il mio primo reale contatto con la Sardegna è avvenuto negli anni ’80, quando l’ho visitata per la prima volta. Dopo quel viaggio ho iniziato ad avere un ruolo più attivo nel circolo”.
[…] “I nostri genitori si sentivano abruzzesi, sardi, lucani, calabresi, siciliani ed è qui che è subentrato il lavoro della mia generazione: abbiamo capito che per conservare le nostre culture d’origine era necessario collaborare tra di noi e con la comunità italiana in Argentina. Abbiamo capito che era importante essere anche italiani ed è proprio grazie a questo spirito di collaborazione che sono nate manifestazioni come ‘Buenos Aires celebra Italia’, alla quale partecipiamo ogni anno e nella quale rappresentiamo la cultura sarda promuovendo una Sardegna che non è solo mare, ma anche arte, ceramica, costumi, musica, lingua e letteratura”. […] “Anche se siamo discendenti di migranti abbiamo un contatto molto stretto con la nostra terra e siamo riusciti a creare una rete con gli altri circoli di sardi nel mondo. Vorrei che questa rete non si interrompesse, e questo potrà succedere solo se ci saranno persone che si innamoreranno della loro storia. Come è successo ad alcuni ragazzi di Rosario, migranti di terza e quarta generazione, che hanno ballato il balletto di Ittiri Caneddu in varie occasioni, tra le quali la celebrazione degli ottant’anni dalla nascita del circolo di Buenos Aires. Hanno appreso i primi passi su You Tube e, dopo aver vinto un progetto regionale, alcuni di loro sono partiti per Ittiri e al ritorno hanno creato un gruppo di ballo”.
La crisi economica del 2001 è stato il momento in cui i figli dei migranti sardi hanno avuto un contatto più diretto con la Sardegna. Per uscire dalla crisi e far ripartire il mercato del lavoro è stato necessario creare nuove figure professionali.
[…] “Quando l’Argentina si trovava in ginocchio per la crisi, la Sardegna ci ha mandato dei professionisti che sull’isola svolgevano lavori pratici. Ad esempio, è stato proprio grazie ai cuochi che sono arrivati in quell’occasione che alcuni di noi si sono specializzati nella cucina tradizionale sarda. In questo modo la Sardegna ci ha aiutato a ripartire”.
Beatrice Marongiu è la tesoriera della commissione direttiva del circolo di Buenos Aires; è nata in Argentina ed è figlia di migranti di Lanusei, in provincia di Nuoro.
“ L’Argentina uscì dalla crisi, ma noi ne viviamo una ogni dieci anni. Adesso anche l’Italia è in crisi, e forse sarà più difficile superarla, perché per voi questo tipo di situazione non è così frequente. Quando i giovani sardi vengono a bussare alle porte del circolo manteniamo sempre quell’atteggiamento di solidarietà che all’epoca ha aiutato i nostri padri: offriamo loro un alloggio e li aiutiamo a inserirsi nelle dinamiche della città”.
Durante il periodo storico attuale, nel quale viene messa in discussione la libertà di circolazione degli individui e dove incalzano l’instabilità politica e la crisi dei valori umani, ci sono giovani italiani e sardi che decidono di ripercorrere le strade dei loro avi e scelgono quella terra a sud del mondo, proprio per quel senso di solidarietà che Mamma Argentina ancora conserva, così lontani dalle regole sociali ed economiche del vecchio continente.
Gabriele è arrivato in Argentina undici anni fa da VillaNova Tulo, in provincia di Cagliari, e qui si è costruito una famiglia. La sua è stata una scelta affettiva.
È stata una scelta professionale, invece, quella di Paola Zedda.
Paola è di Oristano e vive a Buenos Aires da sei anni. In Argentina ci è arrivata per caso. Rappresenta una dei tanti giovani che lascia l’Italia per fare un’esperienza all’estero. Dopo aver conosciuto la Spagna e l’Inghilterra ha scelto di vivere in Argentina. D’altronde “non sei tu, ma è la terra che ti sceglie”.
“Quando sono partita avevo 19 anni: in quel periodo le possibilità di studiare teatro in Sardegna erano nulle, pertanto sono andata a Roma e mi sono iscritta sia alla facoltà di Lettere con indirizzo spettacolo, che a un’accademia di teatro. Ho vissuto a Roma per nove anni, poi mi sono trasferita a Milano e lì ho fatto il master in Performing Arts Management. Pensavo che in quel modo avrei potuto trovare lavoro. Col tempo ho scoperto che del management mi importava ben poco, ma in compenso il master mi ha permesso di fare lo stage qui a Buenos Aires, e me ne sono innamorata. Sono riuscita ad aprire un corso di teatro per persone che vogliono praticare la lingua italiana in chiave comica, e da poco abbiamo fatto uno spettacolo che parla dell’immigrazione nel ‘900: racconta delle difficoltà legate alla partenza da casa, all’arrivo in un posto nuovo, a imparare una nuova lingua. Lo spettacolo finisce con un matrimonio tra un argentino e un’italiana, che rappresenta l’amore che supera tutto, anche le barriere e le differenze culturali”. [..] “Penso che l’Argentina sia ancora un terreno fertile per realizzarsi, e credo che uno dei principali motivi sia il senso di solidarietà da cui ci si sente circondati: capisci subito che tu non sei l’unico ad avere problemi. Le persone si confrontano, ti ascoltano e nel parlarne ti accorgi che il problema in questione se ne sta già andando via. Pian piano questa società mi ha trascinato in questo meccanismo, ed è proprio questo meccanismo che mi ha dato la forza di creare insieme alle persone che ho conosciuto qui e di realizzarmi”.
Pietro, Margarita, Beatriz, Gabriele e Paola hanno trovato in Argentina la loro seconda patria. È difficile capire se il loro carattere tenace provenga dalla loro terra natia o dal continente che li ha accolti. Al conoscere un nuovo migrante sardo si chiedono se tornerà in Sardegna o se rimarrà in America Latina, “perché i sardi in America Latina ci stanno bene”. Sono fieri che lì, dalle loro parti, tuttora si parli del loro corregionale Antonio Gramsci. La metafora del cavallo di Pietro Pintus è ancora valida: i sardi offrono la loro disponibilità, il loro tempo e qualcuno anche il pranzo. Basta poco per entrare nella loro rete di contatti, tanto poco che si ha la sensazione di perdere la concezione dello spazio. Hanno superato l’antica paura dei sardi per il mare, e nonostante ne sentano la mancanza, solo pochi di loro lo riattraverseranno per il viaggio di ritorno definitivo.
Brava Silvia Ventroni per il suo lavoro !!!!!!!
Sono figlia di emigranti, non che sorella di Beatriz. Conosco benissimo tutte le emozioni che loro hanno dichiarato. Il ricordo più forte che ho e la sirena della navi quando arrivava al porto o quando ripartiva, perché i mie genitori avevano sempre un “paesano” da ricevere o un altro che ripartiva perché magari in Argentina non si son trovati bene per via della forte nostalgia…….