Federico Fabbri, fiorentino, dopo l’esordio nel 2015 con Maledette Ortensie (finalista dell’VIII edizione del premio letterario Città di Castello), si propone ai lettori con una nuova opera, La verità ha bisogno del sole (Edizioni Amicolibro). Un romanzo complesso dove l’eleganza poetica di una narrazione delicata e lieve, nonostante la forza dell’argomento, porta il lettore, tenendolo quasi per mano, a comprendere e a guardare nella vita dei protagonisti.
Federico, un libro che nasce dal primo: era necessario per completare una storia? Non so se fosse necessario per i lettori, ma certamente lo era per me. Maledette ortensie è nato quasi per caso, molti anni fa, mentre riflettevo sulla forza distruttiva dell’egoismo in una relazione di coppia. Ho voluto provare a raccontare come questo sia capace di scombinare le dinamiche quotidiane ma, allo stesso tempo, non volendo scrivere il solito romanzetto romantico, ho tentato un esperimento: condizionare il lettore per capire fino a che punto avrebbe accettato una sola verità. Come fare? L’unica soluzione mi è sembrata quella di affrontare il tema dell’abbandono: improvvisamente, senza apparente motivo, la moglie del protagonista del romanzo lascia marito e figlia, allontanandosi da casa. Non c’è un perché per questa volontaria scomparsa, nessuna spiegazione. Per quasi tutto il libro, scritto sotto forma di un diario senza date, l’unica voce che il lettore sente è quella di lui, dell’uomo abbandonato insieme alla figlia da una moglie all’apparenza degenere. La condanna per lei è immediata, quasi senza appello. Però, per comprendere appieno l’epilogo di Maledette ortensie era necessario tradire la fiducia nel narratore e liberarsi dai condizionamenti generati da una gesto apparentemente contro natura, come l’abbandono di una figlia da parte della madre. E sono stati veramente pochissimi coloro che sono riusciti a interpretare correttamente il finale del romanzo dove, seppure in maniera un po’ criptica, la verità che emerge è assai meno scontata di quello che sembra. Ebbene, la constatazione di questa generale condanna per Claudia, la moglie del protagonista, mi ha lasciato l’amaro in bocca e allo stesso tempo invogliato a dare una nuova chiave di lettura della storia, quella che avevo pensato sin dall’inizio dei miei ragionamenti sull’egoismo. È nato così La verità ha bisogno del sole: per offrire un nuovo punto di vista su una realtà molto più drammatica di ciò che appare.
Un libro forte e delicato… Se penso all’assunto su cui si basa il libro e cioè che il male genera male allora sì, è un romanzo forte. I personaggi che popolano La verità ha bisogno del sole si trovano tutti a dover fare i conti con un passato complesso, fatto di esperienze dolorose e drammatiche che hanno finito per condizionare pesantemente il loro futuro. Temi come la violenza domestica, le sevizie, l’abbandono e il tradimento non sono argomenti che possono lasciare indifferenti, e vanno raccontati così come sono, senza filtri che possano in qualche modo attenuare gli effetti devastanti che questi gesti provocano in chi li subisce, sia dal lato fisico che, in maniera ancora più pesante, da quello psicologico. In tutto questo il tono non vuole essere mai sensazionalistico e anzi, nel romanzo, quello che io definisco il mio “scrivere sofferente” assume di frequente una vena romantica e vagamente lirica che smorza la crudezza di fondo della storia. I percorsi intimi e dolorosi affrontati dai protagonisti de La verità ha bisogno del sole obbligano infatti a una forma di rispetto nei loro confronti, senza necessità di urlare per farsi sentire, anche quando si affrontano argomenti duri e si esprimono pensieri che possono non essere condivisibili.
La potenza della narrazione a volte riesce a far riflettere su disagio e difficoltà che investono le relazioni umane? Senza alcun dubbio, soprattutto quando si ha a che fare con romanzi che affrontano tali tematiche. La verità ha bisogno del sole nasce proprio per scandagliare il profondo di una relazione, per analizzare il disagio che ha portato alla distruzione di un rapporto e al disastro che, come in una reazione a catena, ha finito per coinvolgere anche chi si trovava al di fuori del punto di esplosione. In tutte le mie storie (sia nei mei due romanzi che nei racconti che ho scritto nel frattempo) più dell’intreccio vero e proprio mi interessa approfondire le dinamiche interiori dei personaggi, immedesimarmi nelle loro relazioni, nei loro rapporti con gli altri, nel loro confrontarsi con una realtà spesso diversa da quella desiderata. C’è in me un desiderio profondo di scavare nell’intimo alla ricerca di emozioni da raccogliere e portare in superficie, e tale ricerca non è mai fine a se stessa, ma declinata nell’ottica di una migliore comprensione di sé e delle proprie possibilità.Come nei diamanti il taglio perfetto è quello che permette alla pietra di sprigionare la massima quantità di luce, così nei rapporti umani è necessaria un’abilità straordinaria per apprezzare le variegate sfaccettature che li caratterizzano.La capacità di un narratore è proprio questa: non solo saper raccontare una storia, ma fornire al lettore gli stimoli per riflettere e porsi domande che, probabilmente, altrimenti avrebbe trascurato. In questo senso chi scrive diventa un “tagliatore dell’anima”: più grande la sua bravura, maggiore l’aiuto che ne ricaverà chi lo legge.
Cosa rende lo scrittore bugiardo, e cosa lo rende onesto? È una bella domanda a cui non mi sento di dare una risposta assoluta. Per quanto mi riguarda, se per bugiardo si intende uno scrittore di romanzi come mi considero io, allora posso ritenermi tale, anche se non amo il termine “bugiardo” e non mi piacciono, in generale, le bugie. Sono una di quelle persone che preferisce una brutta verità a una bella menzogna. D’altra parte, non tutto ciò che si scrive è vero e spesso, anche quando in un libro si racconta la verità, si tende a farlo in modo che la storia non sia solo una cronaca nuda e cruda. Personalmente, credo in ciò che scrivo, lo faccio con passione e impegno, e cerco di trasmettere ai lettori le sensazioni e le emozioni che mi portano a prendere la penna e buttare giù frasi su un foglio bianco. Nessun artificio, solo ispirazione sincera. Però scrivo storie, che nascono nella mia mente senza preavviso e prendono forme impreviste e, spesso, inaspettate. In questa forma le regalo a chi ha voglia di leggerle, senza barattare per oro semplice ottone, e viceversa. Mi auguro che ogni scrittore possa essere così, magari anche quando scrive per lavoro e non solo per passione come capita a me. Ogni lettore merita rispetto, fosse anche per il solo fatto di aver avuto la voglia di aprire un nostro libro: ecco perché preferirei definirmi uno scrittore bugiardo intellettualmente onesto. Mi sembra un buon compromesso per rendere accettabile un epiteto altrimenti fastidioso.