di Marcello Carlotti
Alice Deiana, studentessa molto giovane e intraprendente. Vedendo la tua biografia notiamo che hai 23 anni, sei nata ad Oristano, hai studiato lingue e comunicazione a Cagliari e hai fatto un’esperienza Erasmus in Polonia e ora vivi, studi e lavori a Tokyo con una borsa Globus. Da alcuni anni, poi, ogni estate lavori nella più grande fabbrica del turismo sarda: la Costa Smeralda. Partendo dall’inizio: perché hai scelto di studiare lingue e comunicazione e cosa puoi dirci della tua esperienza accademica? E quali principali differenze fra la Sardegna e la Polonia? Durante il mio percorso di studi ho sempre cercato di approfondire qualsiasi tematica utile ad ampliare le mie conoscenze sulla Sardegna allo scopo di acquisire una maggiore consapevolezza riguardo i limiti di questa regione. La curiosità di capire quali fossero gli aspetti critici, i punti deboli ma soprattutto quelli forti dell’isola mi ha spesso portato a confrontarmi con tematiche assai diverse tra loro. Quando mi sono trovata davanti alla scelta del percorso universitario avevo deciso di rimanere in Sardegna e volevo scegliere qualcosa di coerente con le materie di studio trattate durante la formazione superiore. L’offerta formativa ad indirizzo turistico dell’Ateneo di Cagliari non era particolarmente varia e interessante, così ho optato per il corso di Lingue e Comunicazione. La mia esperienza accademica è stata da una parte soddisfacente poiché, dopo essermi diplomata all’alberghiero (e, quindi, orientata al mondo del lavoro), sono riuscita a raggiungere buoni risultati nello studio concludendo gli esami nei tempi previsti; d’altra parte la sento altrettanto deludente perché, giunta alla fine del mio percorso di studi, mi sono resa conto che quei risultati, o meglio quei numeri, in fondo, non avevano alcun valore. Ho preso consapevolezza di ciò quando ho avuto modo di confrontare la mia preparazione con quella di studenti provenienti da altri atenei. L’assenza di pratica nella maggior parte dei corsi della mia facoltà, la mancanza di confronto e dialogo fra docenti e studenti, la disorganizzazione di alcuni dipartimenti, sono alcune gravi lacune. Sembrerebbe quasi che l’Università stia diventando un luogo dove si espongono nozioni attraverso una modalità di apprendimento fine a se stessa, e non come quel luogo di studio e di ricerca dove i professori stimolano gli studenti a ragionare e a rapportarsi al mondo facendo ricerca e affinando serietà e creatività. Ecco, le maggiori differenze che ho riscontrato fra l’esperienza accademica in Polonia e quella in Sardegna si trovano proprio qui, nel rapporto tra docente e studente e, in generale, nell’organizzazione accademica. Il rapporto che si instaura tra docente e studente è abbastanza diverso rispetto a quello a cui siamo abituati in Italia. C’è uno scambio di opinioni reciproco, un confronto che rende più costruttivo l’insegnamento. Per quanto la mia esperienza sia stata breve e limitata, mi è sembrato che la Polonia, a differenza dell’Italia, possieda un popolo consapevole dei propri limiti e cosciente della possibilità di poter crescere attraverso la creazione e la valorizzazione di determinate risorse. C’è una differenza enorme tra nascondere delle ferite oppure valorizzarle per crescere e maturare. I polacchi sono apparsi ai miei occhi come un popolo apparentemente freddo, rigido e scortese ma dopo poco ho percepito che in fondo sono un popolo forte, unito e con un grande senso di appartenenza e impegno. Durante il mio Erasmus ho viaggiato, visitando le principali città polacche, e ho sempre notato che il turismo funziona abbastanza bene e viene alimentato e valorizzato attraverso numerose iniziative. È vero che i polacchi sono timorosi nei confronti degli estranei ma allo stesso tempo si sforzano di offrire la loro migliore immagine all’Europa.
Avendo una esperienza diretta, parlaci della tua visione del lavoro e del turismo in Costa Smeralda. Avrai letto le considerazioni di qualche mese fa di Briatore. Cosa pensi di ciò? Il turismo è un mondo al quale mi sono affacciata abbastanza presto, sia come lavoratrice che come turista. Oggi rifiuto entrambe le realtà che ho vissuto. Vorrei contribuire a cambiare questo modo di fare turismo. In primis perché dal mio punto di vista è degenerante sia per l’ambiente che per il territorio; inoltre è penalizzante sia per la comunità autoctona insediata nel luogo in cui il turismo si sviluppa sia per coloro i quali si recano come visitatori in quella determinata località. Credo che la migliore e unica alternativa per il futuro della Sardegna (ma non solo) sia quella di promuovere iniziative turistiche sostenibili. Dovremmo sempre dare priorità alla salvaguardia delle risorse non solo per valorizzarle ma, soprattutto, per preservarle per la nuova generazione. Oggi la sostenibilità non dovrebbe essere promossa perchè a rigor di logica dovrebbe già essere alla base di ogni cosa, eppure, in molte realtà della Sardegna, come la Costa Smeralda, purtroppo, questo punto viene trascurato. È evidente che il funzionamento di quell’industria e le modalità attraverso cui singoli miliardari o potenti multinazionali gestiscono risorse umane e materiali non hanno pressoché nulla di sostenibile. Eppure la Costa Smeralda rimane il modello turistico per antonomasia, o per lo meno quello da cui la maggior parte di coloro i quali lavorano nel settore turistico cercano di trarre esempio, visto che attira più turisti e, soprattutto, più ricavi. Ma non si tratta di un guadagno che genera profitto a lungo a termine. E soprattutto questi ricavi non rimangono entro i confini dell’Isola. Riguardo le considerazioni di Briatore mi vien da pensare: “Da quando noi sardi sappiamo fare solo i pastori o solo i camerieri? E soprattutto quali e quante conoscenze ha Briatore sulla Sardegna e sui sardi per ridurre un’intero popolo a due categorie? Si tratta di un processo identitario ridotto a metonimia?” Penso che, l’immagine del “sardo pastore” o del “sardo cameriere” siano, in parte, immagini eterocentrate, cioè imposte dall’esterno. Sono giunta a questa conclusione riflettendo sul mio lavoro di tesi. Anche la creazione della Costa Smeralda e, conseguentemente, della sua immagine, sono l’esito di un processo di territorializzazione eterocentrato, cioè un processo trasformativo in cui vi è l’influenza di forze estranee al sistema territoriale in cui questo processo di trasformazione si realizza. Tuttavia mi sento anche di dire che se in Sardegna, in generale, si ripetono casi di meccanismi eterocentrati, cioè innescati da attori che non sono parte integrante del sistema sociale o territoriale in cui si realizzano, la causa va ricercata prima di tutto nel popolo sardo. Quindi prima ancora di puntare il dito contro terzi sarebbe opportuno fare un’analisi delle proprie responsablità. Io credo che se questi fenomeni si realizzano è in parte perché il sistema sardo non è abbastanza forte, coeso e resistente, ossia non è in grado di opporre una resistenza tale da riuscire ad accogliere novità e allo stesso tempo mantenere le sue peculiarità. L’immagine del sardo pastore non è niente di cui vergognarsi, anzi, eppure nel momento in cui viene imposta dall’esterno infastidisce. Dove sta il problema dunque?
Hai fatto una tesi di geografia il cui oggetto era proprio la Costa Smeralda e il cui metodo ruota intorno al concetto di territorializzazione in chiave turistica. Cosa puoi dirci dell’opera voluta da Karim Aga Khan che ha trasformato Monti di Mola in Costa Smeralda? Prima di parlare della mia tesi devo fare alcune premesse: la prima riguarda una distinzione fondamentale, ossia quella tra territorializzazione autocentrata, cioè realizzata da attori sociali che si riconoscono come parte integrante del corpo sociale e del sistema territoriale su cui gravita, e territorializzazione eterocentrata cioè una trasformazione territoriale in cui vi è l’intrusione di forze estranee al sistema. La seconda premessa è che la mia tesi non è un contributo alla Costa Smeralda ma piuttosto alla Sardegna. Con questo intendo dire che non mi sono mai proposta di giudicare l’opera di Karim ma piuttosto ho cercato di leggerla sotto la prospettiva della geografia umana, e ho usato questa analisi come mezzo per riflettere su una realtà turistica sarda e su possibili alternative. Il caso esaminato nella mia tesi è una lettura del processo di territorializzazione avvenuto nel territorio di Monti di Mola durante la creazione della Costa Smeralda. Attraverso un lavoro di raccolta dati (interviste, documenti, mappe, foto) ho cercato di ricostruire una narrazione che facesse emergere l’emblematicità di un caso di territorializzazione eterocentrata e, al contempo, ho provato ad analizzare le conseguenze positive e negative che dei meccanismi eterocentrati -ossia estranei- possono provocare. Lo scopo non era quello di proporre una lettura critica della Costa Smeralda, quanto piuttosto, quello di leggere la territorializzazione attraverso gli occhi di coloro i quali l’hanno innescata e di quelli che vi hanno preso materialmente parte senza tuttavia poter influire in maniera continua e diretta sui suoi obiettivi. Da questo tentativo di lettura, infine, è emerso che il sistema territoriale preso in esame, seppur dotato di un proprio codice interno, di un sistema di regolazione rispetto all’esterno, di una propria identità e cultura, non è stato in grado di opporre una resistenza tale da contrastare gli effetti trasformativi provocati dall’avvento del turismo. Se quel sistema territoriale fosse stato in grado di metabolizzare gli effetti innovativi del turismo e allo stesso tempo fosse riuscito a mantenere e rinforzare la sua autonomia, non si sarebbero verificati quei processi di de-territorializzazione che hanno comportato una sostanziale perdita di identità culturale del luogo e della popolazione che lo abita. Da queste riflessioni sono giunta alla conclusione che esperienze del genere dovrebbero farci capire che il contributo della comunità sarda risulta non solo necessario ma anche essenziale al fine di preservare l’identità e le tradizioni della Sardegna.
Quanto ritieni che quell’operazione possa aver influito nell’immaginario sardo e nella vita dei galluresi? Che impatto ha avuto, sempre che ne abbia avuto, nell’indirizzare il comparto turístico della Sardegna? Credo che la creazione della Costa Smeralda abbia influito in maniera profonda sull’immaginario degli abitanti di quelle zone. Dire irreversibile sarebbe eccessivo perché credo che con una presa di conscenza si potrebbe riaquisire consapevolezza. In parte credo ci sia già un piccolo sforzo in questa direzione, ma per la maggior parte sembra che a molti degli abitanti questa realtà vada più che bene, che questo immaginario, costruito e condizionato, sia piuttosto comodo e coerente con questa realtà. Per quanto riguarda l’immaginario sardo non saprei quantificare. Il modello Costa Smeralda, nella Sardegna nord-orientale, ha avuto un impatto talmente forte da condizionare non solo il comparto turistico ma anche altrettanti aspetti, sia sociali che territoriali e paesaggistici.
A novembre sei partita di nuovo. Hai ottenuto una borsa di studio per fare un’importante salto. Andrai a Tokyo a studiare e lavorare. La cultura giapponese è nota al mondo in quanto capace di coniugare il massimo della modernità con il massimo del rispetto della tradizione. Cosa ti aspetti da questo viaggio? Non ho avuto tantissimo tempo per fermarmi a riflettere sulle aspettative perché tra studio e lavoro ultimamente è stato un periodo abbastanza pieno. Forse l’aspettativa più grande è quella di imparare tanto dalla cultura giapponese, una cultura che è sempre apparsa ai miei occhi estremamente affascinante per i motivi che hai citato. Il rispetto per il prossimo e per il territorio, la valorizzazione delle risorse, l’educazione, la ricerca costante di equilibrio, il mantenimento di armonia nella società, sono alcune delle cose che mi attraggono maggiormente. Un altro motivo per cui ho scelto questa meta è la ricerca di qualcosa di totalmente diverso e distante dalla mia cultura, il desiderio di allontanarmi dai miei confini abituali, la ricerca di nuove sfide, di un confronto con una realtà completamente estranea.
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