di Mariella Cortès
L’innovazione passa dalla nuova vita degli scarti, dei materiali, dei fili. Per creare arte, moda e design. Il tutto all’insegna della sostenibilità e del dialogo, costante, tra tradizione e modernità. Barbara Pala e Antonella Tedde, co-fondatrici del marchio LabPLATDD hanno fatto di questi temi un vero e proprio manifesto che si rinnova giorno dopo giorno negli spazi del loro laboratorio, a Macomer. Qui Barbara, fashion designer e Antonella Tedde dopo essersi formate a Milano e Firenze ed aver maturato una serie di esperienze professionali, hanno unito passioni e competenze in occasione del rientro in Sardegna per avviare un progetto di sperimentazione tessile fortemente dinamico che unisce tradizioni artigianali, moda e arte. Incontriamo Barbara Pala all’indomani della partecipazione alla mostra “Re.volvèr /cultura da indossare/”che ha visto nella galleria Edarcom Europa di Roma, dal 21 al 28 gennaio, una selezione di lavori artistici dedicati all’intrigante rapporto tra fashion, cultura e design.
Quali progetti del vostro laboratorio sono stati presentati in occasione di Re.volvèr /cultura da indossare/? Abbiamo presentato tre opere-progetti: “A braccia tese”, un abito-ponte tra occidente e oriente, un inno alla speranza; “Croce e delizia” una cappa-camicia di forza composta da un patchwork di tessuti sardi e cotone più 2 telaietti che comunicano con il capo, simbolo di amore e odio per la propria terra; Infine “INSIDE OUT” composto da 4 outfit e 9 quadri tessili, il passato che è sempre al nostro fianco e ci fa da guida durante la nostra vita.
Non siete state le uniche eccellenze dell’imprenditoria sarda ad essere presenti a Roma. Insieme alle vostre creazioni anche quelle di Roberto Ziranu e Laura Puggioni. Che rapporto vi lega ai due artisti barbaricini? In questo caso ci lega l’amore per il lavoro manuale, l’artigianato artistico e la voglia di andare oltre il banale.
Gli ultimi anni hanno visto il discorso della moda sostenibile come un interrogativo sempre più rilevante. Come può esistere e perdurare la relazione tra moda e sostenibilità? Durante tutte le fasi di produzione si producono enormi quantità di scarti riutilizzabili, materiale che vale quanto l’oro per chi ha la capacità di vedere oltre. Le aziende si liberano di pesi inutili e il creativo ha materia su cui lavorare a costo zero è una sfida decisamente più interessante per affrontare un progetto creativo che in questo caso si svolgerebbe al contrario, dalla materia all’idea. Sicuramente molto stimolante e appagante.
Quali elementi sono alla base della sua ricerca artistica? Sono molto curiosa e amo osservare. Amo la materia, i fili in particolare. L’arte è sicuramente un elemento fondamentale, dalla pittura alla scultura e anche la letteratura.
Dalla Sardegna a Milano per studiare e sviscerare il mondo della moda. Cosa ha fatto nascere questa passione? Ho sempre amato disegnare, in particolare la figura femminile. La scelta è stata una questione di praticità: volevo imparare un mestiere e la moda coniugava la mia passione per il disegno con la concretezza di un possibile lavoro. Più studiavo e più mi affascinava questo mondo, creare un abito da un concetto alle volte anche astratto è sempre una sfida e quando riesci ad avere un buon risultato, che piace alla gente, vuol dire che sei sulla strada giusta.
E da Milano di nuovo in Sardegna, a Macomer, nel suo laboratorio. Cosa ha scatenato la decisione di tornare nell’Isola? Inizialmente motivi personali e una brutta esperienza lavorativa a Milano. Quando sono rientrata non sapevo che fare, poi la decisione di aprire un laboratorio. L’incontro con Antonella è stato fondamentale, lei è una modellista-confezionista e io una designer, il connubio era perfetto. Così ho deciso di restare e di cercare di creare un link tra la Sardegna e Milano.
Vede un panorama fertile, in Sardegna, per quanto riguarda le nuovi arti e tecnologie? Cosa manca? Sì, credo che, anche se pur lentamente, si sta coltivando un bel giardino con moltissimi fiori di tante varietà. Sicuramente la strada è ancora lunga perché per far in modo che i fiori nascano, crescano e fioriscano ci devono essere tante persone che li curano. Forse ciò che manca è proprio questo, persone in grado di capire che l’arte e la cultura hanno bisogno di sostegno e attenzione.