di Daniela Puddu
“A mia zia Maria e alla mia famiglia”
“Spero di rivederti presto amore mio, ti bacio sulla bocca, tuo Raimondo”. Terminava così la lettera che Maria aveva ricevuto quella mattina. Posò le sue labbra sulla parola bacio, era certa che anche lui lo aveva fatto. Raimondo era partito ormai da diversi mesi, si erano dovuti sposare in fretta al Municipio per far sì che potesse avere il sussidio. Maria aveva 23 anni, bella e innamorata aveva accettato malvolentieri quel matrimonio formale. Era stato necessario, ma sognava il suo matrimonio con l’abito bianco e le campane della chiesa del paese che suonavano a festa per loro. Raimondo le aveva promesso che lo avrebbero fatto appena terminata la guerra e lei ci credeva. Quella guerra si era portata lontano fratelli, mariti e fidanzati, arruolati in un’armata di poveri uomini che cercavano di sostenere una battaglia più grande di loro. In casa erano rimaste solo donne, a parte babbo Fedele che stava via tutto il giorno a lavorare per sfamare quella numerosa famiglia. Era rimasto vedovo quando il più piccolo dei suoi figli aveva pochi anni. Erano anni duri, di fatica, quattro figli orfani di madre e il lavoro in campagna. Annunziata gli era piaciuta subito. Minuta come un uccellino e forte come una roccia. L’aveva conosciuta subito dopo la morte di Rosa e, un po’ per solitudine e un po’ per necessità, se l’era sposata e con il tempo aveva imparato ad amarla. Erano nati altri quattro figli, e la differenza d’età con i più grandi rendeva quella famiglia un girotondo in cui non si capiva più chi era figlio e chi era genitore. Ma si viveva bene, l’armonia creata con amore da Annunziata aveva permesso di mescolare vite e speranze di tutti. Maria ci stava bene, e si divertiva a ricoprire il ruolo di figlia e quello di “mamma” di fratellini e nipotini. Anche con la guerra. A volte pensava alla guerra e agli uomini lontani per una causa che ancora faticava a comprendere. Ma non l’era dato da capire in quel tempo, in guerra si obbediva e basta, e si poteva solo sperare di tornare a casa. A ricordare quell’assenza la presenza invece di soldati in paese. Di fronte alla loro casa era stato istituito il presidio militare e l’ormai quotidiano via vai di soldati e mezzi militari era diventato familiare, quasi normale. Il sabato mattina all’alba, le donne preparavano il pane per tutta la settimana. Prima di infornarlo Annunziata recitava sempre una preghiera. Lo faceva sottovoce. Appena sfornato, il profumo del pane riempiva la piccola cucina di aria di famiglia. Annunziata sceglieva subito il più bello e più grande, ancora caldo lo avvolgeva nel grembiule e correva a portarlo ai giovani soldati del presidio. Diceva che era come sfamare uno dei figli lontani, e nel
cuore sperava che al di là del mare, ci fosse una mamma come lei a offrirlo a uno dei suoi. Quella mattina era uscito il sole, così come si erano illuminati gli occhi di Maria alla vista della lettera di Raimondo. Febbraio freddo e grigio forse iniziava ad arrendersi ad una primavera piena di speranze che non vedeva l’ora di arrivare. Annunziata aveva richiamato i bambini per il pranzo. Maria e le sorelle avrebbero aspettato il secondo turno, prima dovevano mangiare i bambini. La sirena del presidio militare echeggiò il suo lamento nell’aria all’una, interrompendo il pasto frugale. Erano giorni che ormai risuonava nell’aria con un preciso ritmo, e dopo le prime volte che tutti, spaventati, erano stati fermi ad aspettare cosa accadesse, ormai quel suono scatenava, soprattutto nei bambini, l’entusiasmo di correre su per la scala che portava alla terrazza, per assistere allo spettacolo degli aerei da guerra che impaurivano solo per il forte rombo e la scia di fumo. I bimbi per primi abbandonarono la cucina in un vociare allegro e incosciente e, ancora con la bocca sporca di sugo, corsero sul terrazzo seguiti di fretta dalle donne. Gli aerei arrivarono e con loro quel frastuono fortissimo che metteva adrenalina nelle vene. Il cielo azzurro di febbraio si macchiò di nero. Maria si ricordò all’improvviso del nipotino Fedele, nella fretta si erano scordate di lui che dormiva. Di corsa scese le scale. Il piccolo dormiva ancora e lei lo prese in braccio. Era il suo nipote preferito. Uscì nel loggiato e in quel momento, da quegli aerei che regalavano spettacolo e rumore, uno spezzone cadde proprio in mezzo al giardino come una stella cadente, lanciando in una girandola di ferro migliaia di schegge. Maria con il bimbo in braccio ammutolì davanti al fragore e senza rendersi conto scivolò per terra. Annunziata arrivò per prima, prese il bimbo che piangeva e pensando fosse svenuta dallo spavento, le aprì la camicia. L’urlo fu più forte del fragore di quella stella cadente inaspettata. In un attimo la casa fu invasa dai soldati. Un brulicare di voci, di paura, di concitati tentativi di metterla in quella barella. Maria non sentiva nulla, né dolore né rumori. Il viso del soldato vicino al suo che le chiedeva qualcosa le parve quello di Raimondo. Raimondo,ti bacio sulla bocca, glielo aveva promesso nella lettera del mattino,le aveva promesso di sposarla. Chiuse gli occhi cullata da quella promessa.
Bellissimo
…mia nonna Elena mi raccontava che il cielo si oscurava….