“La mano de Dios”, disse Maradona dopo aver segnato un gol truffaldino agli inglesi.
In Sardegna, quando uno sta male gli si dice: “Pigadì custu, ti faidi ke sa mau de Deus”.
Ovvero ” Prendi questa medicina e guarirai come se Dio, avesse poggiato la mano su di te.”
Già, la Sardegna, terra antica ma non vecchia. Dove le tradizioni contano. E le donne dei paesi, tramandano oralmente, miti , leggende e storie di nessuna o tanta importanza. Ma anche battute per ravvivare il morale . “ Is contus de forredda”: racconti del caminetto. Che nelle cupe e fredde notti invernali ci si scambiava per tenersi compagnia e scaldarsi il cuore per poi andare a letto con l’animo sereno ,come i cieli estivi grondanti di stelle.
Ma le sennoras isolane non sono tutte uguali. Ci sono anche quelle che non stanno a inseguire contixeddus, e si dedicano alla ricerca. Non conoscono il latino e, talvolta “litigano” anche con l’italiano. Si “accontentano” del sardo, con le sue infinite sfumature .
Le vedi comparire e sparire in un cocuzzolo . Non sono cogas o bruxias : tutt’altro che streghe. Incinte di saggezza , sono in missione perenne e provano gioia infinita quando regalano il loro sapere.
Come tzia Raffiella : “ La donna che sussurrava alle erbe”.
Le conosceva una per una, come una maestra elementare conosce i suoi alunni.
Ad ogni male accoppiava un’ erba prodigiosa. A un certo punto si convinse che il suo compito fosse finito. Ma quando vide Nora ,una ragazzina sfigurata da una bruciatura immensa, decise che il suo cammino e la sua ricerca dovessero proseguire. Ancora non aveva inventato la” medicina delle medicine”.
Forse sognò o più probabilmente intuì nell’ostilità del rovo, qualcosa per restituire alla giovinetta lo splendore del suo viso, violentato da una cascata di caffè nero bollente.
Poteva il rovo, all’apparenza così rude , dare benessere perenne ad una pelle deturpata?
Tzia Raffiella ci pensò. Si convinse che ciò fosse possibile, se assieme all’estratto dell’arbusto, avesse unito un po’ di olio d’oliva, quello di piante nate in Sardegna prima ancora che l’uomo imparasse a navigare.
Le sue mani, che parevano quelle di un prestidigitatore, lavorarono notte e giorno. E poi ancora un altro giorno e un’altra notte. Poi non contò più le ore di lavoro, sin quando non portò a compimento la sua nuova “ creatura”.
Andò a casa della ragazzina e le regalò un piccolo sacco di iuta : “Custu est po tui”, le disse.
La fanciulla, perplessa, aprì il sacchetto: conteneva un vasetto di vetro con dentro un unguento.
Gli occhi della poveretta brillavano per la commozione .
Ogni mattina, dopo essersi lavata il viso con l’ acqua fresca di un torrente che costeggiava casa sua, si ungeva la parte dolente con la medicina di Tzia Raffiella. Passò veramente poco tempo e la brillantezza dei suoi occhi non era più da sola.
La pelle del suo viso totalmente rigenerata, luccicava assai più dei suoi occhi. Era talmente radiosa che ,quasi, illuminava il sole .
Nora aveva ricevuto in regalo un unguento che profuma di rovo, olio d’oliva e Mar Mediterraneo , ma soprattutto profumava di “bella persona”. Quello che fin dalla nascita portava con se Tzia Raffiella.
“Quanto le devo “? domandò Nora all’erborista famosa.
“Non voglio soldi. Non si vive solo con i quattrini in questo mondo. Ti chiederò una cosa in cambio, però.”
Avvicinati, le disse: così come sussurrava alle essenze, allo stesso modo inviò parole misteriose all ’orecchio della ragazzina. Che sorrise.
La vecchietta , da qualche anno, è volata via. Lontano, lontano….
Nelle colline in fiore esplodevano colori e olezzi . Dove camminava lei, ora passeggiava la dottoressa Nora.
Che, una volta diventata farmacista, percorreva gli stessi sentieri olfattivi di tzia Raffiella, visto che anche lei sussurrava alle erbe. Glielo avevano insegnato.
Più chiacchierava e più diventava brava. Raccoglieva un po’ di essenze e le amalgamava. Quindi le distillava e poi ancora tutte quelle “strane” cose che aveva inglobato all’ Università.
Quando una persona sofferente aveva bisogno del suo aiuto, lei c’era.
Alla domanda: quanto le devo?
Rispondeva : nulla!
Neanche un grazie?
Beh, quello sì e lo invio con un alito di vento zeppo d’elicriso a una persona a me molto cara.
Nonostante la benevolenza di cui era circondata ,Nora si sentiva triste, come quei giorni neri come il corvo e tempestosi come le cime in bufera.
Il suo sorriso si stava eclissando.
Man mano che passavano le stagioni, sentiva le sue braccia pesanti e legnose come i tralci del sarmento.
Per ogni medicina preparata perdeva un po’ delle sue foglie e dei suoi germogli.
La vita con le sue forbici possenti le potava via gli anni. Taglia e ritaglia, Nora si accorgeva che il suo vestito verde primavera assumeva delle tonalità invernali e il suo sorriso lo era ancor di più . Le sue mani diventavano grevi, ma ancora capaci di mischiare olii ed essenze.
Così quel giorno in cui una donna si era presentata da lei con la figlia e il suo viso colonizzato per sbaglio dagli sbuffi di una caffettiera dispettosa, il sorriso era ridiventato smagliante.
Con il suo tailleur vecchio quanto il suo sguardo, aveva capito che finalmente era giunto il momento per sussurrare la “sua” sapienza alla nuova guaritrice .