Degna di una fiaba. Ma scritta da Shakespeare. E rivista dai fratelli Grimm. Riletta da Allan Poe e Carol Rama. E poi nascosta. Per essere letta e riscritta ancora, dal genio di Antonio Marras che le dà vita, in una Milano che riscopre il sole in piena settimana della moda. Gli spazi della Triennale, che ospitano la monumentale mostra Nulla Dies Sine Linea una finestra sconfinata sul Marras artista, diventano sede privilegiata per presentare la collezione moda uomo e donna della prossima stagione invernale non attraverso una sfilata ma con una spettacolare performance, Haunted.
Modelli, modelle, attori, performer e ballerini invitano a sognare e vivere altre vite. E per farlo, ci portano in una Scozia da Macbeth, in un castello dove nulla è tangibile ma tutto diviene una creazione della mente che cerca tra ricordi vissuti e desiderati. Sconvolge, lo stilista algherese, trascinandoci in un sogno irreale dove ogni modello incarna, attraverso i suoi abiti e le sue movenze, le opere in esposizione che guardano a ricordi d’infanzia, incontri, amicizie e fantasie.
E’ la sintesi perfetta tra moda e arte in tessuti che non si limitano ad essere indossati ma raccontano una storia. E sono vicende ambientate in inaccessibili castelli o nebbiosi boschi. O nelle segrete più impervie. Qui le “apparizioni” ci accolgono con kilt e danze scozzesi, bevono il the e ballano, si lasciano andare ai piaceri carnali, fuggono o, come i carabinieri di Pinocchio, controllano chi entra a scuola. Recitano e vivono vite, loro e non. E lo fanno indossando completi sartoriali rigorosi per uomini d’altri tempi, abiti da caccia impreziositi da ricami, stampe all over su pantaloni con tasconi importanti e morbidi capi in camouflage. Non esistono separazioni tra capi, cadono le barriere in una androginia del vestiario dove le stampe floreali realizzano importanti bouquet, stlizzati e non, su uomo e donna. Le preziosità del damasco e dei broccati si insinuano sui capi maschili, il chiodo si tinge di ricami floreali.
La donna Marras è eterea, avvolta da kimono rigorosi nelle forme ma traboccanti di roselline aggrovigliate, giacche maculate o capispalla impalpabili come una ragnatela cristallizzata nel ghiaccio Ecco Janas contemporanee che si muovono sotto gli abitini per loro realizzati da Marras e Maria Lai, indossando lunghi pizzi e morbide plissettature su ricami che ricordano gli arazzi della sala da ballo dove muoversi su décolleté intarsiate e stivali militari. Guardando dalla finestra, ecco quei paesaggi lontani, o dietro l’angolo, rappresentati sulle stampe che impreziosiscono capi maschili e femminili e, camminando ancora attraverso l’allestimento, dopo esserci ancora chiesti se sia meglio rimpiangere o aver vissuto, percorrere sentieri già battuti o esplorare, ecco apparire, come una sibilla nella nebbia, una donna barbuta che batte i ferri da maglia in maniera convulsa, lavorando lana grezza.
Cosa è reale e cosa invece è un sogno? Quale storia devono ancora raccontare le presenze del castello? Il sorriso di Antonio Marras, mentre osserva i visitatori interagire con la pièce teatrale magistralmente messa in scena per far incontrare moda e arte, tra abiti e figure oniriche, fa presagire che lui conosca la risposta. Ma questa sarà un’altra storia.