Eccola, la Casa Italia, il progetto di prevenzione annunciato in pompa magna dal governo Renzi, “un progetto di prevenzione seria, non un elenco di parole” su cui “coinvolgere tutti insieme i principali attori del paese”. Casa Italia sono i paesi dove chi voleva uscire di casa, per il terremoto, era bloccato dalla neve. Ma anche se ci fosse riuscito non avrebbe trovato aree attrezzate dove ricoverarsi. “L’Abruzzo si arrende”, questo il titolo del Centro. Perché i governatori invocano dell’esercito per spalare è la dichiarazione di un fallimento, di fronte a una nevicata eccezionale e prevedibile, non all’Apocalisse.
Persino la turbina per liberare la strada dalla neve si è fermata, sul tratto provinciale che portava all’Hotel Rigopiano, segno che prima, evidentemente, non era passato neanche uno spazzaneve. Colpa della Provincia? Dei Comuni? Dell’Anas? “Non è il momento di polemiche”, “ognuno dia il meglio di sé” ripetono Errani e Curcio, consapevoli che la neve non spegne, anzi accende, il gran falò delle responsabilità. I parlamentari abruzzesi, stamattina, si sono attaccati al telefono, perché “è chiaro che non puoi dare la colpa al governo in carica, ma qualcosa non ha funzionato e ci devi mettere la faccia, altrimenti questo governo viene sepolto dalla neve”.
Sono i primi ad essere consapevoli che chiami l’esercito se non sei in grado di fronteggiare il problema, perché la neve, per quanto eccezionale, non è un terremoto. E te la dovresti togliere da te. La prima protezione civile non è quella che arriva da Roma. Ma è l’Anas, che appalta i lavori a ditte magari non all’altezza del compito assegnato, l’Enel che non ha irrobustito la rete. E poi i sindaci, che in circostanze del genere, si mettono la fascia tricolore, precettano persone e organizzano.
Poi c’è la Protezione Civile. Sussurra un senatore dem: “La verità è che la Protezione civile non ha più gli strumenti di una volta, ai tempi di Bertolaso, quando la c’era una efficiente catena di comando”. Allora aveva poteri eccezionali, perché Bertolaso era, al tempo stesso, sottosegretario a palazzo Chigi, commissario e capo-protezione civile. E, al tempo stesso, coniugava potere, capacità e carisma, anche utilizzandoli in modo spregiudicato, dal terremoto ai giochi del Mediterraneo al G8.
Oggi la catena di comando è frantumata e rallentata nell’intreccio burocratico. Con Fabrizio Curcio di fatto senza potere, o meglio con i poteri che di volta in volta il governo gli affida con i decreti di emergenza. E Vasco Errani, commissario del cratere. Il che rende, oggettivamente, bicefala la struttura in materia di ricostruzione. Al fondo, poi, una considerazione che in parecchi sussurrano ma che, nel Pd, nessuno ha il coraggio di dire a voce alta: “C’è poco da fare. Per andare veloce, fai gli affidamenti diretti. Bertolaso, se doveva prendere stufe, climatizzatori, case di legno si attaccava al telefono. Affidamenti diretti e niente gare. Ora non puoi andare veloce se ogni virgola la deve vedere Cantone. Siamo passati da un eccesso a un altro”.
Oltre all’eredità storica di un paese scarsamente efficiente e senza senso civico, c’è l’eredità della palude di questi anni, in cui nulla è cambiato sul fronte della prevenzione. Il viceministro Bubbico, dopo le sollecitazioni dei parlamentari, è andato a mettere la faccia del governo a Farindola. Ma Gentiloni, impegnato per ora a sollecitare la risoluzione dell’emergenza, dovrà innanzitutto mettere la faccia sulle voragini originali del governo di cui è stato chiamato ad essere la fotocopia.
Risorse, processi da accelerare, piani strategici riassunti nello slogan referendario di Casa Italia a cui Renzi dichiarava di destinare risorse pubbliche per sette miliardi in sette anni, più altri 2,7 recuperati da spese non effettuate. Tutto rimasto slogan, ad accezione di una “cabina di regia”, ovvero un ufficio organizzato a palazzo Chigi che riunisce strutture pre-esistenti per il dissesto idrogeologico e l’edilizia scolastica.
Perché, la verità è che siamo alle solite e alla solita Italia. Che promette prevenzione, di fronte alla calamità, per poi bruciare risorse quando l’ordinario diventa oblio dei drammi. Bruciare o fare spesa che porta più voti. E così il governo ha chiesto 3,4 miliardi di flessibilità all’Europa in nome del terremoto di Amatrice. Ma nella manovra, alla voce terremoto, c’erano sono solo 600 milioni stanziati in modo diretto a cui aggiungere un altro miliardo spalmato in più voci. Il resto della “flessibilità” utilizzato per le “mance referendarie”, dalle quattordicesime ai pensionati ai fondi per il trasporto in Campania. Mentre il fondo per la protezione Civile, che diventa la cassa di fronte all’emergenza e non viene usato per la prevenzione, è di 300milioni di euro.
E se Amatrice è ancora sotto i riflettori, purtroppo per una serie di calamità, l’eredità contempla anche ciò che è stato più dimenticato che risolto, almeno a giudicare dai soldi stanziati. Al 31 agosto del 2016, prima di Amatrice, la cifra richieste per calamità naturali o danni da precedenti terremoti è di circa un miliardo e 700milioni. Ci sono dentro le richieste di fondi per il terremoto dell’Abruzzo, l’alluvione in Liguria, il terremoto dell’Emilia, i danni da maltempo in Lombardia. A fronte di questa richiesta, che arriva per la metà (804mila euro circa da privati) per metà da aziende (890mila circa) da aziende, sono stanziati e utilizzabili al 31 dicembre solo 400milioni.
Casa Italia è uno slogan senza risorse, e sul tavolo del premier attuale non c’è ancora un’agenda e un piano strategico, con annessi capitoli di spesa. “Tenaglia senza precedenti”, “istituzioni impegnate al massimo”. Le poche dichiarazioni sono un atto dovuto e segnalano, rispetto al governo precedente, una discontinuità nei toni. E anche un modo per tenere basse le polemiche, comunque annunciate. Ma sull’eredità, per non ora, non c’è né discontinuità né risorse. E se non ci mette la faccia, dicono i parlamentari che hanno il polso delle zone colpite, “finisce sepolto dalla neve”.
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