di Bruno Culeddu
In questo nuovo anno il film più atteso dai sardi è sicuramente Bandidos e Balentes di Fabio Manuel Mulas.
L’opera propone uno spietato spaccato del centro Sardegna degli anni cinquanta sessanta, tristemente famoso in tutta Italia per il banditismo, le uccisioni e i sequestri di persona. Ne è risultato un thriller drammatico e coinvolgente che si inserisce nel filone cinematografico dedicato al centro Sardegna e ai suoi protagonisti da Far West, riportando però in primo piano i temi archetipici quali la fede, il matriarcato, l’abigeato, le faide familiari, il senso di giustizia individuale, la diffidenza verso lo Stato e le istituzioni. Anni bui, quelli della Sardegna anni ’50, ricostruiti con la tecnica della suspense per restituire tutta la violenza di una società regolata dal “codice non scritto” in mano ai balentes, gli “uomini d’onore”, e alle donne-matriarche custodi della casa e della famiglia. La storia è incentrata sulla figura di una vedova che, dopo aver perso il marito e un figlio per mano di alcuni banditi, si appresta a sua volta ad applicare l’implacabile legge della faida. Allo scopo di immergere totalmente lo spettatore nella vicenda, Fabio Manuel Mulas ha voluto che fossero rigorosamente sardi gli interpreti, i paesaggi, i dialoghi, i costumi e la musica.
Gli interpreti. Per conferire verità e spontaneità alla recitazione sono stati utilizzati 120 attori e 20 comparse provenienti da Silanus, Bonorva, Lei, Sindia, Macomer, Giave, Benetutti ,Mamoiada, Lula, Ottana, Thiesi e altre località dell’isola. I ruoli principali sono stati affidati ai bonorvesi Elisabetta Contini (che interpreta Mintonia, la madre matriarca) e Salvatore Sanna (Bobore, il figlio emigrato in Belgio, vero “balente” destinato a compiere la vendetta). La figlia Angheledda è invece impersonata dalla mamoiadina Katia Corda, che ha vissuto il dramma del naufragio della Costa Concordia come superstite. Luca Locci, che a solo 7 anni fu vittima di un clamoroso sequestro che commosse tutta Italia, rivive dopo 38 anni lo stesso dramma interpretando il personaggio di un sequestrato. Il parroco di Silanus, don Giovanni Chirra, storico della cultura Nuragica, indossa invece i panni del prete. Chiamato a celebrare il funerale di una persona assassinata, l’anziano prelato invita i familiari dell’ucciso al perdono e a rinunciare a ogni proposito di vendetta.
I paesaggi. Come nei migliori western, la bellezza aspra e selvaggia del paesaggio sardo è sfruttata come colonna portante del film diventandone a tutti gli effetti co-protagonista. Le grotte, le cavità, gli anfratti, le domus de Janas e i pinnettos dei monti dell’interno offrono accogliente rifugio ai latitanti e ai banditi alla macchia per sfuggire alla legge.
La lingua. L’utilizzo della limba nelle diverse declinazioni linguistiche parlate nel Marghine, Meilogu e nella Barbagia di Ollolai (sono presenti ben 42 varianti dialettali) è uno dei punti di forza della pellicola. Il sardo arcaico e misterioso dei dialoghi conferisce alla storia ulteriore crudezza e intensità. Per il pubblico non sardo e internazionale la pellicola è, peraltro, sottotitolata in italiano e inglese.
I costumi. Gli attori indossano originali vestiti, anni ’50 prestati dagli stessi abitanti dei paesi, in modo da restituire fedelmente l’abbigliamento di quel periodo storico. Ciò a ulteriore beneficio della credibilità della storia.
La musica. L’incalzante ed esplosiva colonna sonora è stata realizzata da Daniele Barbato Boe con il Gruppo Ammerare. Pianista e tastierista, Boe ha suonato con Roberto Vecchioni, Eugenio Finardi, Tullio De Piscopo e Dolcenera. Per quasi 15 anni ha fatto parte della band nuorese degli Istentales.
Sono presenti, insomma, tutti gli ingredienti perché la pellicola coinvolga ed emozioni.
Il film è nato da un’idea dell’appuntato dei Carabinieri Gianluca Pirastu e si avvale della sceneggiatura di Antonio Giovanni Battista Pischedda. I sassaresi Stefano Desole, anche direttore di Fotografia, e Gabriele Brundu hanno collaborato come aiuto registi. Francesco Brundu è il fotografo di scena.
Fabio Manuel Mulas, nato ad Alghero e residente a Thiesi, è un artista di multiforme ingegno. È regista, attore, sceneggiatore, scrittore e poeta. Per conoscerlo meglio abbiamo voluto rivolgergli qualche domanda, ringraziandolo per la calorosa disponibilità:
Domanda di presentazione: chi è Fabio Manuel Mulas? Fabio è un appassionato di cultura, tradizione e costume della Sardegna. Cresciuto sin da bambino nel mondo agro pastorale, fino ai 14 anni lavora in campagna come servo pastore dividendosi saltuariamente con la scuola. A 16 anni inizia a lavorare nelle aziende dell’Emilia Romagna: orfano di padre dalla più tenera età è costretto, come spesso accadeva a tanti altri giovani di quel periodo, ad emigrare per sostenere la famiglia. A 17 anni si arruola come volontario nell’Esercito Italiano ed entra a far parte della Brigata Sassari. Nei 7 anni di carriera trascorsi tra il Veneto e la Capitale romana, dedica tutto il tempo di libera uscita a corsi di dizione e di recitazione. A 24 anni entra nei Vigili del Fuoco, Corpo a cui ancora appartiene. Nel tempo libero si occupa di Cinema, la sua grande passione maturata fin dall’infanzia.
Come è nata la passione per il cinema? La passione per il cinema è nata per caso, da bambino con la prima recita della scuola elementare; poi è maturata nel tempo seguendo centinaia di migliaia di pellicole. Nel 1997, mentre passeggiavo per le vie di Verona, dietro la famosa Piazza Brà, lessi in un volantino la possibilità di partecipare a corsi di dizione teatrali … iniziò così, per caso, il mio percorso cinematografico.
Qual è stata la sua formazione? La mia formazione è iniziata con il doppiaggio: per gioco ho iniziato a riprodurre i dialoghi di svariate pellicole per poi frequentare veri e propri corsi di Dizione e Recitazione Teatrale. Nel 2009 scrissi la mia prima opera “L’ignoto la Realtà” che, sempre per gioco, iscrissi ad un concorso. L’opera vinse il premio nazionale. Dopo quattro anni bissai il premio con l’opera “Riflesso”. Nel 2010 ebbi la prima vera esperienza d’attore in quanto venni scelto come co-protagonista nel film “Devil’s dogs – i cani del diavolo”, un film horror per la regia di Wladimiro Bersani girato nella Capitale e in Abruzzo. Quindi venni scelto, dopo una lunga selezione, ad interpretare, come protagonista il famigerato bandito Salvatore Giuliano per la regia di Giorgio Nanì la Terra. Il film poi venne affidato al maestro degli spaghetti western Enzo Girolami Castellari famoso per “Keoma”, “Quel Maledetto treno blindato” e “Bastardi senza gloria”, il rifacimento del film di Quentin Tarantino. Nel 2014 mi venne affidata la mia prima regia per Lucia Bosè e Giovanni Nuti in un recital di poesie di Alda Merini “Una piccola ape furibonda” svoltosi a Porto Cervo. Una volta rientrato in Sardegna iniziai a scrivere delle storie. Così nacque la prima sceneggiatura di un colossal medievale “Donoria”. È la storia di una principessa sarda scacciata dal suo regno dal padre perché si diceva che fosse una strega. Nel borgo medievale “Rebeccu”, una frazione di Bonorva, si tramanda ancora questa leggenda “ Rebeccu Rebecchei dae trinta domos non movei”. Lanciando questa maledizione la giovane Donoria lasciò Rebeccu e successe di tutto: dallo spopolamento del paese alla peste. A tutt’oggi, a conferma della maledizione, il borgo non conta più di 30 case e non è mai andato oltre. La sceneggiatura è già pronta per essere prodotta, mentre è in imminente uscita, per le edizioni Della Torre, anche l’omonimo romanzo che ho scritto con i miei collaboratori Pirastu e Pischedda. Con loro, nel frattempo, ho scritto la sceneggiatura di Bandidos e Balentes “ll codice non scritto” che poi pian piano abbiamo realizzato non senza grandi sacrifici. Finalmente oggi il film sarà proiettato per far conoscere un pezzo di storia di Sardegna. Perché la Storia si può cambiare nel tempo ma non la si può dimenticare; né quella del passato né del presente. Il fatto di non parlarne non vuol dire che non esistano determinati temi; essi esistono e ci sarà sempre un bambino che nascerà e crescendo chiederà al padre o al nonno: “mi racconti qualcosa della Sardegna?” E da lì, come sempre succede nelle famiglie, si tramandano le loro storie, il loro vissuto e anche le storie di altri. Si ricordano, insomma, i racconti dei nonni che oggi costituiscono il bagaglio culturale che ci portiamo tutti sulle spalle e sulla mente. A tale proposito attualmente stiamo lavorando al film “Il sequestro Luca Locci” altro pezzo della storia della Sardegna che non va dimenticato.
Quali sono i suoi riferimenti cinematografici? Non ho nessun riferimento cinematografico. Il mio modo oggi di fare Cinema consiste nel promuovere e far conoscere la vera Sardegna che è il suo entroterra. Quella parte di Sardegna mescolata nell’oblio del silenzio, la parte più bella, quella misteriosa, colma di cultura e tradizione e di luoghi mistici da visitare ma troppo spesso dimenticati dal Turismo: i nuraghi, i fiumi, le bellissime montagne, i pascoli, le domus de janas e sos pinnettos. Abbiamo tanti di quei tesori da valorizzare che neanche ci rendiamo conto della loro importanza storica e culturale. Ecco, questo è il mio più grande obbiettivo ed è per questo che nelle mie pellicole uso esclusivamente location naturali e rinuncio al “ricostruito” utilizzato nei “grandi” film .
Come ha scelto il cast del film? Il cast è stato scelto attraverso un casting in Sardegna riservato solo ed esclusivamente alle persone sarde. Ho voluto che questa storia fosse riprodotta fedelmente nella lingua e nella cultura Sarda. Chi meglio di un sardo può raccontare con le sue sensazioni, le sue emozioni e la storia della propria terra? Alcuni dei ruoli sono stati scelti proprio visitando campagne e ovili, per cercare persone che sentissero la loro sardità nella pelle. Nel parlare con alcune persone, che ho fortemente voluto in questo film, ho avuto conferma di esser riuscito a ben rappresentare la vera storia di questo film.
Dove è ambientata la storia? La storia è ambientata in un paese qualsiasi del centro Sardegna; non c’è un paese definito. Sono tante le storie successe effettivamente; altre sono frutto di fantasia; unendole è nata la sceneggiatura .
La cosa più facile e la più difficile sul set? La cosa più facile penso sia stata il mio modo di lavorare con gli attori: li ho fatti sentire a proprio agio, come veri amici e non come regista e attore. Con questo spirito li ho semplicemente guidati passo dopo passo nell’interpretazione, lasciando loro anche la voglia di improvvisare i dialoghi pur tenendo sempre il filo conduttore della battuta per renderlo più verosimile possibile. La cosa più difficile è stata lavorare sotto la neve e sotto la pioggia poiché abbiamo girato nel periodo invernale. Per alcuni attori non è stato facile stare sdraiati per terra in determinate scene per ore e ore sotto la pioggia. Tutto, comunque, si concludeva con tante risate e un buon tè caldo. Diciamo che si è creata una bellissima famiglia e che sono nate tantissime amicizie con persone di ogni parte della Sardegna
C’è qualche aneddoto inerente alle riprese? Gli aneddoti da ricordare sono del tipo di quello appena citato. Che all’interno di questo film si sia creata una grande famiglia è dimostrato dal fatto che tuttora ci supportiamo a vicenda in ogni situazione, come del resto vuole la tradizionale grande ospitalità sarda.
Ha potuto contare su finanziamenti regionali? Posso solo dire che il film è auto finanziato, auto prodotto e auto distribuito. Mi corre solo l’obbligo di ringraziare tutti i piccoli sponsor che ci hanno sostenuto e le persone comuni che ci hanno supportato in tutto per la lavorazione e la realizzazione del film. Il mio più grande grazie va a loro. Il fatto che il film riceva il Premio della Cultura Sarda nel Mondo a Chicago è per l’impegno di tutte queste persone.
Ha ringraziamenti da fare? Come già citato ringrazio tutti gli sponsor e le persone che hanno contribuito alla realizzazione del film. Ringrazio tutti i Comuni che ci hanno ospitato e tutti i proprietari degli ovili che ci hanno supportato nelle location, nella ricerca del vestiario e di ogni singola attrezzatura utilizzata nel film. Un grazie particolare, infine, a tutti gli attori.
Prossimi progetti? È imminente il film sul sequestro di Luca Locci e il colossal medievale “Donoria” con oltre 700 attori sardi. È un lavoro immenso che racconta la storia della Sardegna del Medioevo dai giudicati di Torres e di Arborea alla Carta de Logu e tanto altro che a breve uscirà in un romanzo su Donoria “Sos ojos de Donoria” edizioni Della Torre di Salvatore Fozzi, Cagliari.
Quando e dove potremo vedere il film? Il 21 Gennaio ci sarà la Prima Mondiale al Movies Multisala di Santa Giusta in Oristano per poi proseguire dalla seconda metà di febbraio nelle altre sale cinematografiche sarde.
Grazie a Fabio Manuel Mulas per la sue risposte. Non rimane che andare al cinema e vedere se il film mantiene le sue promesse! Da febbraio inizierà la distribuzione del film in tutte le sale. Per informazioni contattare fabiomulas@hotmail.it.
Bellissimo, Pisa si è già prenotata.