Impersonificazione dell’ultimazione del compimento, del perfetto più che della perfezione, il tre è il numero divino per eccellenza, ben prima della Santissima Trinità cristiana. Per questo il culto della Grande Madre è stato declinato sempre in tre epifanie divine pur mantenendo intatta l’unità del Nume. Fu la parthenos Diana/Artemide, la materna Demetra e la vegliarda Ecate, ma anche Afrodite pandemia/ Venere, Estia/Vesta e Persefone/Proserpina. Ogni momento della vita era regolato dalle mutevoli forme lunari cui la dea era associata: “..loro ti chiamano Ecate,/dea dai molti nomi, Mene, /Artemide lanciatrice di dardi, Persefone,/ Signora dei cervi, luce nel buio, dea dai tre suoni,/ dea dalle tre teste, Selene dalle tre voci,/ dea dal triplo volto, dea dal triplo collo,/ dea delle tre vie, che tiene, la fiamma perpetua in tre contenitori,/ tu che offri la tripla via, / e che regni sulla tripla decade.” Nascita, crescita, morte: la vita è trina ed unica come la dea che la controlla.
Il perpetuarsi del rito.
Nelle dodici notti successive al 25 dicembre, sui campi appena seminati le sacerdotesse di Diana – dea lunare della vegetazione – o di Satia (satiaetas, sazietà), celebravano rituali di propiziazione dei raccolti, che avvenivano sempre di notte.
L’epiphàneia della vegliarda il 6 Gennaio, dunque, rappresenta – come il Giano Bifronte romano – il compimento dell’anno vecchio e l’inizio del nuovo, l’interregno tra la fine dell’anno solare e l’inizio dell’anno lunare. La befana che porta i doni altri non è che la stanca Ecate che si fa portatrice degli ultimi frutti prima di sacrificarsi sul rogo come un ramo secco (il manico della scopa della simpatica vecchietta): è l’evangelico seme che se non muore non porta rinascita, il ciclico perpetuarsi del rito della natura. Il carbone del rogo della divinità, conservato come reliquia benaugurante finiva nella calza dei contadini che ne facevano idolo propiziatorio del nuovo anno.
Antichissime tradizioni pagane si riflettono in questa celebrazione cristiana, come già attestato nel IV secolo da San Epifanio sia per Alessandria d’Egitto, che per Petra e di Elousa, la notte del 6 gennaio si ricordava la nascita di Aion, nume della fertilità dalla vergine Kore. Suggestivo anche il riferimento di Cosma di Gerusalemme, che inserisce in tali rituali anche celebrazione in onore del sole nascente il 25 dicembre.
Le più antiche attestazioni di un culto esclusivamente cristiano dell’epifania risalgono al secondo secolo, ma è solo partire dal III secolo che nel Vicino Oriente il termine Epifania venne legato ai tre momenti delatori della divinità di Cristo: l’adorazione dei Magi, il battesimo di Gesù e il miracolo delle nozze di Cana.
Etimologia.
Volto benevolo e rassicurante di antiche figure divine pagane, la befana tradisce un’origine divina anche nel nome. Se infatti è per lo più accettata l’etimologia da Epifania, bisogna ricordare che la dea madre era ricordata nel Lazio anche con l’appellativo “Bubona”, che rivela il legame con il mondo agricolo: bubúlinus (bovino), bufúlcum (bifolco). Da Bubona a Befana passando per Bifona: la dea madre verrebbe così riesumata anche nell’etimo oltre che nella figura rituale.
I tre re.
Tre erano anche i Magi venuti dall’oriente guidati da una stella. E fu sempre una stella ad profetizzare altre epifanie divine, prima fra tutte il natale di Agni dalla vergine Maja e Tvastri un falegname, tra la vacca mistica e l’asino portatore del Soma (la luna, luogo ricettacolo di una bevanda sacra).
Tre i doni simbolici portati al bambino: l’ oro dei re, l’incenso delle divinità e la mirra che permetteva ai re diventare immortali.
Questi re venuti ab oriente segnarono l’ufficialità della nascita di una nuova religione che avrebbe fatto propri riti e credenze ancestrali; si chinarono al nuovo Dio e gli consegnarono i simboli del sacro che ormai gli appartenevano. Quando –secondo una legenda tarda – si imbatterono in una vegliarda a cui chiesero la strada per trovare il nascituro, ella indicò il tragitto – senza di lei il Bambino non sarebbe stato incoronato dai magi d’oriente – ma non li seguì. Il tempo della Dea era scaduto, era sorta una nuova era: la triplice Dea nella veste di Parthenos e Madre si era incarnata in Maria ed aveva dato alla luce il re dei re. Ma rimase escluso dell’epifania divina il volto cupo della Dea, Ecate: invano cercò di ritrovarli, passò di casa in casa ma non trovò più né loro né il pargolo divino..
Sa Pasca de Epifania.
La Carta de Logu riporta per la ricorrenza del sei Gennaio sia “Sa Pasca de sa Epiphania” che “Pasca Nuntza”, ossi festività dell’annuncio al mondo della nascita di Dio. Il senso del passaggio etimologicamente rappresentato dal termine Pasca, riporta questa festività ad un’altra divinità pagana: Giano Bifronte. A Roma in occasione dell’arrivo del nuovo anno i sacerdoti di Giano consacravano al dio farro e focaccia, come doni propiziatori dei raccolti. Il rito sembra essere rintracciabile anche nell’Isola, dove le donne preparavano nei giorni precedenti all’epifania una pan dolce rituale, sa giuada mentre i bambini ricevono is pipias di carta o stracci.
Ma per lo più in lingua Sarda si è mantenuto il riferimento ai Magi: Pasca de is tres Reis, Pasca de is tres Gurreis, de is tres Urreis e Pasca de sos tre Rese. Non a caso i cori tradizionali che s
i snodano per le vie dei paesi del Nord dell’Isola ricordano sempre i saggi d’oriente, come Su Pesperu de sa Pasca ‘e Sos Tres Res a Mores.