di Sergio Portas
Cent’anni fa Nughedu San Nicolò, dove nacque Franciscu “Ciccittu” Masala, superava di poco i duemila abitanti (oggi non arriva a novecento) e per i piccoli del paese doveva sembrare un posto fatato: “ogni mese aveva il suo nome: il mese del cerchio, il mese delle trottole, il mese delle noci, il mese degli aquiloni, il mese della mosca cieca, il mese dei cavalli di ferula, il mese della morra. E le stagioni andavano e venivano: quando tornavano le rondini, quando cantavano le cicale, quando maturavano i fichidindia, quando cadevano le foglie, quando arrivava la prima neve assieme ai venditori di castagne”. (da F. Masala: “Quelli dalle labbra bianche”, Feltrinelli 1962) Bene ha fatto il Circolo sardo di Milano a volerlo ricordare con un programma composito: un “reading” musicale in cui la voce recitante di Camilla Soru gioca a fare una seduta jazzistica con la chitarra di Andrea Congia, i testi sono tratti da “Il Dio petrolio” (edizioni Castello 1986); a seguire Paolo Pulina, giornalista scrittore ora anche vicepresidente FASI e Giovanni Manca socio e responsabile della commercializzazione della “Condaghes” editrice, inquadrano la figura di Franciscu Masala nel solco della letteratura sarda e italiana. Manca introduce anche un video in cui intervista Masala, oramai novantenne, in seguito all’uscita del libro di Bustianu Murgia: “S’arte e sos laribiancos, littera a Tziu Franciscu” (Condaghes ed.). Infine serata Giancarlo Monticelli ha scelto alcune poesie da “Poesias in duas limbas” (Vanni Scheiwiller ed. 1981) che hanno recitato quattro soci del circolo (per dovere di cronaca: Luisa Cadoni, Rosa Muggianu, Flavio Arras, Sergio Portas), lettori improvvisati ma risultato dignitoso. Mi sono andato a rileggere “Il Dio petrolio”, che “Il Maestrale” aveva riedito nel 2001 col più appropriato titolo de “Il parroco di Arasolè” e come anni fa, lo confesso, non mi ha per nulla entusiasmato. Lo dico anche a Camilla Soru prima che inizi il suo spettacolo. “Abbiamo fatto una scelta ben precisa, mi risponde, più che incentrare la lettura sulle psicosi di Don Adamo, bimbo abbandonato diventato parroco di una comunità contadina, sui suoi sogni-incubi sessuali, abbiamo voluto sottolineare il suo sradicamento quando viene spedito ad amministrare la chiesa del paese-dormitorio di un polo petrolchimico. Il suo disagio è quello storico di un’intera civiltà che vede cambiare il modo di vita di generazioni che avevano fatto de “su connottu” una strada sicura per il loro domani, e nell’alienante nuovo mondo del Dio Petrolio si trovano spaesate e prive di una guida sicura”. Camilla aspetta un bambino: nascerà in febbraio Aleni (Elena in cagliaritano), lei nasce a Sorgono per scelta della mamma che è di Meana Sardo, a sedici anni è a Milano a seguito di babbo Renato (sì proprio quel “seddoresu” che farà una discreta carriera politica e, con Tiscali, un’altrettanta fortuna industriale), a Bologna frequenta la scuola di teatro Colli e l’Accademia di Arte Drammatica dell’Antoniano. Lette da lei le pagine di Masala sembrano prendere il volo: “La lingua di fuoco, che scarica i gas della Raffineria, getta una luce diabolica sul campanile…d’altronde il campanile in stile moderno è brutto, proprio brutto, freddo, astratto, disumano, senza campane: assomiglia a una garitta militare, un lungo parallelepipedo conficcato nel cielo…(pag.14). La chitarra di Andrea Congia sottolinea questo senso di squallore, la musica è roba sua, con Camilla portano in giro questo spettacolo dal 2009, lui ha fatto della coniugazione tra testo e suono la scelta culturale del suo percorso artistico, nel 2015 fonda l’Associazione Culturale Tra Parola e Musica “Casa di Suoni e Racconti” di cui coordina attività e progetti. Mi occorre di dire che quando al rombo della chitarra si mischiano le parole stentoree di Camilla che dicono dell’alienazione dell’operaio non meno triste di quella del pastore, uno poteva diventare bue muliache al paese ma diventerà sicuramente un cacciavite a Sarrok, la metafora che svela una Sardegna stuprata per l’ennesima volta si fa manifesta. “Che ci fa a Sarrok Moratti? Se ne vada a Milano, tuona nell’intervista Ciccittu Masala, la raffineria la impianti a Milano,sporchi l’aria milanese, Sarrok era il posto più bello di Europa, io l’ho visto quando avevo sette anni, ottant’anni fa, è il posto dove si rifugiarono i re di Savoia quando Napoleone li cacciò via da Torino, si rifugiarono nella villa dei Manca, era tutto un giardino, di fiori e di frutta. Adesso Moratti sta riducendo questa terra meravigliosa a deserto…manco le tasse in Sardegna paga… che se ne vada, non me ne frega niente, che se ne vada, le scorie che se le tenga lui a Milano, devono essere soffocati dalle scorie…”. Giovanni Manca ci tiene a ricordare che quando Masala gli concesse l’intervista abitava a Cagliari, in un attico con una vista meravigliosa sul golfo degli Angeli, e la ciminiera sempre accesa della raffineria che si stagliava a rompere il profilo del paesaggio, era come una spina nel fianco che accendeva la rabbia del vecchio poeta. E anche la sua tristezza: Sebastianu Murgia era morto a sessant’anni (il suo libro uscirà postumo) come il figlio di Masala: “No ba più cosa che unu babbu interra su fizzu. No ba dolore più mannu. A mie è toccatu cussu”. Nè potevano consolarlo le vicende politiche che stava attraversando il paese: “…proprio allora uscivo dalla guerra fascista, dolorosamente, ferito e congelato, camminavo col bastone ancora…Berlusconi oggi ha esaltato il fascismo, evidentemente non sanno cos’è il fascismo, io lo so perché ero studente all’università di Roma quando Mussolini proclamò la guerra dai colli fatali di Roma per conquistare il mondo assieme a quell’altro porcaccione di Hitler…perché il governo che c’è ora, la classe politica che c’è ora ci sta facendo dimenticare il dramma dell’Italia durante il fascismo, dice avranno mandato in villeggiatura Matteotti e Gramsci e Gobetti… “. Masala per tutta la sua vita è stato sardista, indipendentista, non ha peli sulla lingua quando dice che Lussu ha tradito, quando nel dopoguerra “ha portato il Partito Sardo d’Azione nel Socialismo”, in Russia nella guerra del Duce si prese una pallottola nella gamba e fu uno dei molto pochi che tornò indietro dopo la rotta italiana di Nikolaevka. Il suo capolavoro letterario tratta di questo: sos laribiancos sono quelli che hanno le labbra bianche per la fame, is poveros dei paesini sardi di inizio novecento. Dice Masala, sempre nell’intervista, che il termine esiste solo nel suo vocabolario,l’aveva sentito per la prima volta sulla bocca di alcuni ricchi, sos riccos, che entrarono in una bettola del suo paese dove lui stava bevendo del vino con dei compagni di scuola elementare: fragamuros (muratori n.d.r.), pastores, calzolajos, seu buffnede binu, binu ‘e gazzosa…ci guardano e narrana: sos laribiancos, issu puru buffa su inu, li vedi quelli dalle labbra bianche, anche loro bevono vino. Noi ci alzammo e li picchiammo, io mi ricordo ancora, li picchiammo a lungo, proprio li picchiammo sonoramente, era il gruppo dei ricchi e il gruppo dei poveri perché al mio paese allora, durante il fascismo, due erano i partiti: il partito dei ricchi e quello dei poveri…non è una parola nata da me ma nel vocabolario politico del paese”. Quando il libro uscì per Feltrinelli nel’62 vendette centinaia di migliaia di copie e Franciscu Masala entrò di diritto nel numero degli intellettuali a cui era riconosciuta autorità culturale in campo nazionale, non solo sardo. E questa autorità lui la ribadì per tutto il resto della sua vita con tutta una serie di lavori, di articoli, di libri che vertevano sopratutto sui temi dell’identità, della lingua. Mai Ciccittu Masala dimenticò quel maestro elementare che picchiava le mani dei bambini che si esprimevano in sardo e non in italiano, che erano ovviamente quelli provenienti dalle famiglie più povere, coi genitori spesso analfabeti. La lingua sarda, brodo di co
ltura della nascita della nazione. Non a caso fu presidente del “Comitadu pro sa limba”, che fu promotore della “Proposta di legge di iniziativa popolare per il bilinguismo perfetto in Sardegna” da cui scaturì la Legge della Regione Autonoma della Sardegna n.26 del 15 ottobre 1997. Del libro del nuorese Bastianu Murgia, mastru ‘e ascia de altu livellu (falegname n.d.r.) scritto in sardo, apprezza sopratutto la freschezza linguistica, la scelta di parole che fanno parte del lessico locale: “isperratroddias”, che sarebbe: dividi-scorreggie, quella cinghia di cuoio che passava tra le natiche e serviva a tenere ferme sa ragas, i calzoni del costume antico sardo, un’altra che esiste solo nel vocabolario di Nuoro: badaluccu, passatempo, divertimento. Questo libro di Basianu Murgia fa il contraltare a quello, grandissimo, di Salvatore Satta: Il giorno del giudizio, dove la storia nuorese è vista dalla parte de “sos riccos”, stavolta sono “sos laribiancos, sos poveros” a dire la loro. E pure noi “lettori” recitiamo poesie dei laribiancos: “Cantone de su campanarzu de Arasolè”, “Cantone pro sa morte de unu soldadu iscimpru”. Questo Sciarlò, muratore di Arasolè, “un villaggio così piccolo che l’odore dell’incenso che esce dalla vecchia chiesetta di Prete Fele arriva fino alle ultime case”, saltò su di una mina, correndo dietro alla lettera della fidanzata che una folata di vento aveva fatto volare fuori dalla trincea, laggiù in terra di Russia. Pro cussu si ch’est mortu Sciarlò, soldadu iscimpru, fizu ùnicu de una mama viuda de gherra.
Il Presidente e Direttivo tutto, vi augurano buone festività a tutti voi e le Vostre famiglie.
Sempre d’accordo per parlare e sentire parlare di Francesco Masala in ogni momento per qualche ragione che sia; io, in Francia, non lascio passare l’occasione di segnalare i libri di Ciccitu che ho fedelmente tradotto in francese: “Storia dei vinti” (in francese “Le Braconnier et autres poèmes de Sardaigne”, 1984), Il Dio Petrolio/Il parroco di Arasolè (in francese “Le Curé de Sarrok”, 1989), “Quelli dalle labbra bianche” (in francese “Ceux d’Arasolé”, 1999, 2005), “Il riso sardonico” (in francese “Le Rire sardonique”, 2014); ho appena compiuto la traduzione (con Susy Lella) della sua “Storia del teatro sardo”… che aspetta solo un Editore!
Bonne Année à tottus!
Claude SCHMITT
arasole@orange.fr