IL SECONDO INVERNO DI GUERRA, TRASCORSO CENT’ANNI FA DAI FANTI DELLA BRIGATA SASSARI

La prima medaglia d‘Oro alle bandiere del 151° e del 152° Fanteria.


di Dario Dessì

Sull’Altopiano di Asiago i fanti sardi, rimasti in linea sino al 1° settembre 1916, avevano subito le seguenti perdite 106 feriti e 4 dispersi tra gli ufficiali, 486 morti, 2317 feriti e 158 dispersi nella truppa.

Durante l’autunno e l’inverno periodi di venti giorni di riposo si erano alternati a  venti giorni di servizio in trincea.

Per tanti quel secondo inverno prealpino, apparve senz’altro preferibile a quello carsico.

Il freddo era intenso, ma nelle trincee non c’era fango. Le trincee nemiche erano lontane e la linea del fronte non era minimamente interessata a  qualsiasi tipo di attività bellica. L’unica situazione di disagio era  dovuta al lavoro che bisognava fare all’aperto mentre infuriavano le tormente di neve. Di notte, per abitudine, i fanti non  dormivano mai, e trascorrevano il tempo sgombrando la neve,  ricostruendo le trincee,  riempiendo e sistemando i sacchetti di terra,  trasportando  i viveri, le munizioni e tutto ciò che era indispensabile per qualsiasi attività bellica.

Spesso  le loro fatiche erano mitigate da una nenia sussurrata a bassa voce:

“In su monte ‘e sa Serra                                               Nel monte della Serra

Appo abidu disizu                                                Ho avuto il desiderio

De cogliri unu fiore                                             Di cogliere un fiore

In su monte ‘e sa Serra                                       Nel monte della Serra     

Biancu candidu lizu                                             Bianco candido giglio

Sempre vivu est s’amore                                               Sempre vivo è l’amore

Mancari sia in gherra                                         Anche se sono in guerra

De cogliri unu fiore                                              Di cogliere un fiore

Biancu candidu lizu                                             Bianco candido giglio

Como chi sò in gherra                                         Ora che sono in guerra

Cumbatto cun onore.                                         Combatto con onore

Appo abidu disizu                                                Ho avuto il desiderio

Si nde morzo in sa gherra                                 Se muoio in guerra                     

Non disperes bellu fiore                                     Non disperare bel fiore

Vive pro su caru fizu”.                                        Vivi per l’amato figlio”.

Il Natale del 1916

  “A tie mama pensende                                     Pensando a te o mamma.

   Custa notte, in trincea                                        Questa notte, in trincea

   In mesu a bentu e nie                                          In mezzo al vento e alla neve

   Mi  est bennida un’idea                                      Mi è venuta un idea

   Cherzo cantare a tie                                            Voglio rivolgere un canto a te

    A tie ch’in su partire                                           A te che mentre partivo

   Mi has  nadu: Oh fizu meu!                               Mi hai detto o figlio mio

   Pro cantu es mannu Deu                                               Per quanto è grande Iddio

  Sa Patria no traire”.                                             La Patria non tradire”.

Natale in  trincea di Pompeo Calvia.

Eppure  a parere del  Comando Supremo quell’inverno era stato terribile:

In meno di quattro mesi i giorni di precipitazioni nevose furono almeno cinquanta. L’altezza della neve aveva raggiunto in alcuni luoghi i cinque metri, in altri addirittura i dieci. Le temperature, eccezionalmente basse, arrivarono a toccare i 28° sotto zero. Tale situazione climatica aveva comportato la caduta di frequenti e rovinose valanghe.

Il 13 dicembre 1916  furono segnalate ben 105 valanghe, di volume tale da produrre lo slittamento di milioni di metri cubi di neve. Quelle frequenti e abbondanti nevicate riempivano le trincee e i camminamenti, seppellendo i reticolati ed imponendo dovunque la rettifica continua del fronte allo scopo di evitare l‘insidia delle valanghe oltre a un estenuante lavoro di sgombero della neve. In qualche punto più esposto alle frane e alle valanghe furono addirittura scavate delle gallerie nella viva roccia.

 

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