Durante il regno di Vittorio Emanuele II, la tanto agognata e attesa Unità d’Italia aveva fatto passare in secondo piano tutte le problematiche sociali che affliggevano in particolar modo il Meridione e la Sardegna, colpiti da gravi problemi di sotto sviluppo economico e sociale.
Questi problemi, per il neo governo italiano, apparivano insormontabili tanto da abbandonare l’isola a se stessa. In Sardegna analfabetismo, povertà, economia inesistente, epidemie e malaria la facevano da padroni. I deputati sardi presenti nel governo del tempo portarono in sede di parlamento tutte le problematiche, chiedendo finanziamenti pubblici per risanare la situazione che si era creata.
A loro non venne mai dato ascolto e le loro richieste caddero praticamente nel nulla. Nel 1865 venne emanata una legge reale che prevedeva il frazionamento e la privatizzazione dei terreni che fino a quel momento erano stati sfruttati in maniera collettiva. Questo fenomeno portò ad un azione di disboscamento dell’Isola, tutto a vantaggio dei Piemontesi i quali iniziarono una feroce occupazione isolana e un utilizzo sconsiderato del patrimonio boschivo, utilizzandolo soprattutto per la realizzazione delle reti ferroviarie europee. Tutto ciò non poteva non portare ad una sollevazione popolare e tre anni dopo l’emanazione della legge sui terreni adempirvi, la rivolta dei sardi arrivò.
La sollevazione de “SU CONNOTU” rappresentava a pieno il malcontento dei sardi dimenticati in un periodo tra i più difficili della loro storia. Con la loro protesta esprimevano tutto il malcontento per ciò che a loro è stato tolto e che da sempre avevano conosciuto. La rivolta guidata da Paschedda Zau portò all’assalto del Municipio nuorese e alla distruzione di tutti i documenti che avevano sancito tale legge. Era questo un messaggio forte che i sardi vollero mandare al Governo Italiano, il quale si rese conto finalmente della necessità di istituire una Commissione di inchiesta voluta e guidata da Agostino De Pretis. Il De Pretis instaura delle relazioni di collaborazione con gli esponenti e rappresentanti dell’isola, Francesco Cocco Ortu e Ignazio Aymerich. I due politici locali analizzarono e valutarono la situazione isolana, stilarono una accurata relazione, esponendo in essa tutta la tragica situazione economica che sottoposero al De Pretis.
La relazione probabilmente non venne nemmeno letta e nessun provvedimento, nessuna strategia vennero adottati per migliorare la situazione isolana. Come se non bastassero già i gravi problemi esistenti, tra il 1865 e il 1870 iniziò un selvaggio sfruttamento delle risorse minerarie dell’isola sempre da parte dei Piemontesi i quali approfittando della scarsa competenza delle maestranze locali presero il totale controllo della situazione e avviarono così lo sfruttamento dei minatori sardi, spesso sostituendoli con minatori arrivati dal continente.
Tutto ciò non poteva che indebolire e impoverire ulteriormente l’isola. Tra il 1887 e il 1891 si arriva al fallimento delle banche sarde portando alla rovina tutti i risparmiatori, rendendo la Sardegna la regione più povera d’Italia. I moti de ” SU CONNOTTU “, la crisi agraria, la crisi mineraria incrementarono il fenomeno del banditismo. Il ruolo del bandito è evidente: combattere i soprusi attuati dai potenti e dare dignità a chi ha poca voce nella Sardegna del tempo. Il bandito si oppone al potere, uccide e poi si dà alla latitanza. La popolazione è consapevole di ciò e lo aiuta rispettando quelli che sono i canoni del ”CODICE BARBARICINO” che prevede la libera proprietà e non quella privata, che ammette l’abigeato solo in condizioni di necessità, che toglie le offese e tutela l’onore personale. Il fenomeno del banditismo nasce e si sviluppa soprattutto nel Nuorese, maggiormente nel territorio di Orgosolo.
Dei banditi e delle loro efferatezze si parlerà a lungo e molto verrà scritto delle loro azioni. Fra i grandi che scrissero dei banditi ricordiamo Antonio Gramsci che subì notevolmente il fascino di Giovanni Tolu e Sebastiano Satta che scrisse a lungo, sia nei suoi appunti e racconti sia nei suoi componimenti poetici, delle storie di banditi, esaltando spesso le loro azioni e dando loro un carattere di umanità intensa e struggente. Intanto nel resto della Penisola si vanno affermando le teorie di Alfredo Niceforo a sua volta allievo di Cesare Lombroso che sostenevano l’innata caratteristica dei Sardi dell’essere criminale a priori, partendo da un’analisi dei tratti somatici e definendoli criminali e votati naturalmente al malaffare, classificandoli come uno dei popoli più selvaggi e primitivi.
Un ruolo importante nel banditismo in Sardegna alla fine del 800 fu giocato dalle conseguenze della guerra doganale tra Italia e Francia del 1890. Questa proteggeva la nascente industria del Nord e I grandi latifondisti del Sud che formavano un blocco sociale dominante. In Sardegna vi fu un crollo economico che colpì tutti.i settori poiché la Francia era il paese principale dell’esportazioni dalla Sardegna in particolare pelli bovine e vino (Le esportazioni calarono in un anno da circa 400.000 a poche migliaia di lire ). Lo stato italiano reagì con metodi polizieschi ( la retata a Nuoro dei capi famiglia nella cosiddetta notte di S. Bartolomeo. “In sa marina frisca sunt carrigende s’oro/ Nugoro no est prus Nugoro ca mancant sos zigantes. ).
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