di Salvatore Dedola
A meno che la lingua dei Sardi non venga salvata da un “Deus ex machina” potente, volitivo, misericordioso, capace di suscitare una riscossa di massa oggi inimmaginabile, non c’è lume che possa far presagire la nuova alba del nostro pensiero. Il più delle volte l’ignoranza inveterata e belluina entro cui le accademie ci hanno imbragato ci rintana nella moda del pensiero “coloniale” (un vizio che non sappiamo evitare), e ciò che somiglia alla lingua italiana ci appare come prodotto d’importazione. Ma non è così, quasi mai lo è. Questa prospettiva deve essere ribaltata nella coscienza che nel Tirreno già da 10-30-40.000 anni fa esisteva una lingua comune, e che oggi non c’è alcun male a notare parole uguali provenienti dalle due sponde.
MESI E LADÁMINI indica il mese di ‘Ottobre’ ed è parola molto antica, parola sarda, anche se percepita con fastidio per quel ladámini contiguo all’it. letame. Fin dalle arcaiche procedure del Neolitico, nel mese di Ottobre si cominciò a distribuire il letame sui campi. Ed è proprio la forma ladámini a fare scoprire la genuina antichità del nome sardo, la più vicina alla fonte originaria, che è la voce assira (w)al?dum ‘to give birth, dare la vita, generare’. Già decine di millenni addietro si aveva coscienza che il letame genera nuova flora dai pascoli. Parola talmente importante, questa, che diede il nome alla “tomba dei giganti”, nel centro-nord chiamata lada, ossia ‘colei che genera la vita’. Infatti la “tomba dei giganti” divarica religiosamente le sue tornite gambe verso sud-est, laddove il Dio Sole s’alza giocondo a seminare vita sulla Terra, e quella porticina al centro dell’esedra del gigantino non è altro che il delicato e pudico ingresso della vagina della Dea Tellus, la Dea Madre dell’Universo che riceve la vita dal Sole e rigenera tutto il creato, nell’eterno ciclo di nascita e morte, la Metempsicosi mediterranea.
Sono i Latini ad aver conservato male l’originaria parola (w)al?dum, e fin dal 200 avanti l’Era Volgare lo confusero con laetus e scrissero laetamen, chiamando ager laetus ‘campo lieto, felice’ il campo fecondato dal letame. È da là che s’instaurò l’it. letame. Ma ancora una volta è la Sardegna ad aver conservato molte più forme per l’identico concetto, spia dell’enorme importanza che i Sardi annettevano all’evento, ed anche spia della ripartizione dell’isola tra potenti tribù. Era talmente importante l’aspetto della “fecondazione” che i quattro cantoni sardi (che possiamo considerare i Quattro Giudicati ante litteram) diedero quattro nomi diversi al solo mese di Ottobre.
RUZZITTU è l’altro nome, diventato persino cognome; arcaico nome sardiano avente base nell’antico babilonese rub?u(m) ‘letame d’animali; lettiera’ + sumerico itud ‘mese’, col significato appunto di ‘Mese del letame’. Ma dopo la dominazione romana arrivarono i preti bizantini con la loro foia “civilizzatrice”, mirante a far sparire ogni e qualsiasi aspetto dell’antica civiltà isolana, considerata indegna d’una nuova spiritualità avulsa dalla “corposità” che i nostri avi tenevano nei rapporti con Dio, una novità in cui l’astrazione re-indirizzava ogni pensiero ad immagini eteree, sradicate dai bisogni dell’umanità e ricche di parole formalizzate dove imperava la rigorosa separazione dell’uomo da se stesso. Era cominciata l’era dei santi. Ora si può notare il raffinato impegno dei preti a mistificare ogni aspetto della civiltà sardiana, stravolgendolo e reimpostandolo con linguaggio ipostatico, dove gli antichi vocaboli riemergevano come nuova epifania del “divino”, luminosa dimostrazione della “predestinazione” del popolo sardo verso la nuova santità che gli era riserbata fin dai millenni trascorsi.
SANTUAÍNI in tal guisa, in molti villaggi dell’isola, diviene il nome del mese di Ottobre. Il quale con San Gavino non ha niente da spartire, avendo la stessa etimologia già vista per l’Autunno della Gallura (Vagghjmu).
Infatti la sua base etimologica è il sumerico ua ‘approvvigionatore, rifornitore’ + gin ‘grass, erba’: ua–gin ‘approvvigionatore di erba’, ed in Sardegna l’erba comincia a crescere proprio con le prime piogge autunnali, che normalmente cadono all’inizio di Ottobre (Sant-ua-[g]ìni). Non mette conto fare osservare l’apposizione di quel Sant-, che i monaci bizantini inventarono per ogni occasione, senza che in questo caso si tenesse conto che santu Aìni (san Gavino) a Porto Torres, luogo del suo martirio, si festeggia nel mese di Maggio, non ad Ottobre. Ma tant’è. I preti avevano l’imperiosa esigenza di seminare ignoranza tra un popolo analfabeta, dimostrando che l’antico linguaggio, reinterpretato foneticamente, era la via profetica che spianava “le vie del Signore”. In modo identico procedettero anche in un altro cantone.
SANTU MIÀLE (san Michele) è nome del mese di ‘Ottobre’ nel centro-Sardegna. Tenuto conto che in questo periodo cominciano le grandi piogge, possiamo ricavare l’etimologia dall’assiro šatûm ‘bere’ + alû ‘Toro celeste’ (ipostasi del Dio Sommo, colui che fa cadere lo “sperma” divino ossia la pioggia: da confrontare col romano Giove Pluvio). In composto fece šatûm alû, ed al genitivo šatûm al?, col significato di ‘piogge del Dio Toro’. Non è un caso che la festa di S. Michele Arcangelo (ricorrenza bizantina) in mezza Sardegna ricada il 29 settembre, si può dire “a bocca di pioggia”. I Bizantini stavolta avevano azzeccato anche le date, giungendo al clamoroso risultato di “non cambiare nulla per cambiare tutto”.