di Francesco Cancellato
«Il ricco vuole tutto e subito. Io so bene come ragiona chi ha molti soldi: non vuole prati né musei ma lusso, servizi impeccabili e tanta movida. Masserie e casette, villaggi turistici, hotel a due e tre stelle, tutta roba che va bene per chi vuole spendere poco, ma non porterà qui chi ha molto denaro». Così, in estrema sintesi, è stato riportato il Briatore pensiero sul turismo in Italia. Pensiero esternato durante il convegno dal titolo “Prospettive a Mezzogiorno”, a Otranto, a pochi chilometri di distanza da dove l’imprenditore piemontese aprirà uno dei suoi locali, il Twiga. Apriti cielo. Le sue parole hanno fatto gridare allo scandalo gli amministratori e i vip locali come Albano Carrisi e una miriade di commentatori, soprattutto pugliesi, che si sono sentiti offesi – per amor patrio – da Briatore. Per i toni accesi, per il luogo in cui le ha pronunciate – sparare ad alzo zero su masserie, ulivi e cultura a Otranto è come bestemmiare in chiesa – e forse anche perché lui, Flavio da Verzuolo, Cuneo, è l’emblema dell’italiano cafone, del self-made man senza cultura. L’ultimo, insomma, che dovrebbe permettersi di parlare delle nostre bellezze naturali, artistiche, storiche e di come valorizzarle. Però, forse, occorrerebbe andare oltre le apparenze e problematizzare le affermazioni che Briatore ha fatto in quella sede e, pochi giorni dopo, in un’intervista a Il Giornale. Ad esempio, chiedersi se i fatti le suffraghino o meno. Se davvero, come dice, «se volete cambiare il tipo di turismo dovete puntare sui marchi». O ancora, se davvero in Italia c’è davvero penuria di strutture adeguate al nuovo turismo globale ad alta capacità di spesa (stiamo parafrasando, sia chiaro). Se, più in generale, la nostra strategia ci relega nella nicchia del turismo di fascia bassa, quello che, dice lui, «getta i sacchetti di plastica ai piedi degli ulivi». Ecco, senza voler deludere nessuno, né tantomeno circoscrivere l’ambito dell’analisi alla sola Puglia, i fatti e i numeri tendono a dare ragione a Briatore. Perché è vero, l’Italia ha un problema di strutture alberghiere obsolete e non in linea con gli standard del turismo di lusso, che infatti tende ad andare altrove. Perché molto spesso la miopia della politica, la ritrosia delle amministrazioni – e delle popolazioni – locali, la burocrazia lente e inefficiente non hanno permesso di cogliere opportunità che hanno fatto la fortuna di altri Paesi. Perché la concorrenza tra Regioni e l’assenza di una regia nazionale non permettono all’Italia di vendere adeguatamente il proprio brand turistico all’estero. Andiamo con ordine, però. E partiamo dal punto più dolente. Il turismo italiano non se la passa benissimo. Negli ultimi trent’anni siamo scesi dal primo al quinto posto per numero di arrivi internazionali. Ancora: nel 2007 il turismo pesava il 5% del Pil italiano, nel 2015 – senza che l’economia sia cresciuta, anzi – siamo scesi a poco più del 3%. Ergo: il turismo italiano è uno dei settori che più hanno sofferto la crisi finanziaria ed economica degli ultimi otto anni. Il problema, semmai, è che il mondo non è rimasto fermo. E il turismo è continuato a crescere: secondo i dati dell’Organizzazione Mondiale del Turismo nel 2015 gli arrivi internazionali sono stati 1.186 miliardi con un incremento pari al 4,6%, 52 milioni in più rispetto al 2014. Una crescita che ha coinvolto soprattutto le Americhe (5,9%) l’Asia e il Pacifico (5,6%), ma anche le l’Europa, che è cresciuta del 4,7% e che è ancora l’area più visitata del mondo. Nel contesto continentale anche l’area dei paesi mediterranei è cresciuta molto, con 10,4 milioni di arrivi in più (4,8%). Il problema, quindi, è che a crescere maggiormente sono state la Spagna e i paesi balcanici, non l’Italia, che si ferma a un +4,4%. Soprattutto – e anche qui ha ragione Briatore – a preoccupare sono gli introiti, nella cui classifica l’Italia scivola dal quinto al settimo posto. Dai 50,5 miliardi di dollari incassati nel 2014 siamo infatti passati ai 39,4 miliardi del 2015. La Spagna, per dire, è a quota 56,5 miliardi, la Francia – che ci ha superato, così come la Thailandia e il Regno Unito, è a quota 45,9. Procapite, un turista straniero in Italia spende 112 euro al giorno. A darci dentro sono giapponesi, cinesi, americani e russi. Peccato che i principali visitatori del nostro paese, americani a parte, siano tedeschi, francesi e inglesi. E che siano proprio russi e giapponesi a far segnare il calo più consistente di presenze, perlomeno tra il 2013 e il 2014. Perché? «Non esiste una compagnia di alberghi di lusso italiana. Abbiamo Roma, Firenze, Venezia, ma non abbiamo un marchio alberghiero di alta gamma», denuncia Briatore. E in effetti l’European Hotel Valuation Index di HVS, che considera il valore degli alberghi a 4 e 5 stelle di 33 città europee, indica che le più elevate performance di crescita sono state registrate nel sud Europa e nel Regno Unito: le cinque città dove il valore per camera è cresciuto maggiormente nell’ultimo anno, a causa di un significativo incremento della domanda, sono infatti Madrid (+14,3%), Manchester (+13,5%), Dublino (+13,2%), Birmingham (+11%) e Lisbona (+10,3%). L’Italia? Non pervenuta, evidentemente. Colpa del fatto che «l’Italia ha settemila chilometri di costa e 100mila posti barca, mentre la Francia ne ha 3200 e 450mila», come dice Briatore? Forse. Anche perché è proprio il turismo nel meridione – il più marittimo che c’è – che per Briatore è «indietro di trent’anni». Non ci sono dati per quantificare l’arretratezza, ma di certo c’è che per trovare la prima regione meridionale nella classifica degli arrivi stranieri del 2014 – la Sicilia, per la cronaca – bisogna scorrere la classifica fino al settimo posto, dopo Veneto, Lombardia, Toscana, Lazio, Trentino Alto Adige ed Emilia Romagna. La Puglia, che pure svetta nella crescita con un lusinghiero +9.5% rispetto all’anno precedente, si ferma al quattordicesimo posto. E, ancora peggio, scivola al sedicesimo (quintultimo) posto per percentuale di turisti stranieri sul totale: 19,2%. Peggio fanno solo Marche, Abruzzo, Basilicata e Molise. Cosa servirebbe per invertire la rotta? «Se vogliono fare il salto di qualità e guadagnare di più, devono fare degli investimenti», dice Briatore. E anche in questo caso, è difficile dargli torto. Secondo il rapporto 2015 del World Travel & Tourism Council siamo il 137 paese al mondo (su 184 considerati) per percentuale di investimenti sul turismo in rapporto al Pil. E nelle previsioni al 2026 scivoleremo al 171esimo. Risultato? Nella crescita a lungo termine del turismo, il nostro paese, che oggi nel ranking elaborato dal Wttc è all’ottavo posto, è posizionato in 179esima posizione. Prepariamoci a essere scalzati da un bel po’ di Paesi al mondo. Alla faccia delle nostre bellezze naturalistiche, storiche e artistiche, della nostra enogastronomia senza pari. E della nostra spocchia. Che ci fa fare orecchie da mercante a consigli sacrosanti, solamente perché escono dalla bocca di Flavio Briatore. Avanti così.
Nessun’ altro , meglio dei sardi sa che siamo terra di conquista, amministrata da decenni , da politici nuovi e vecchi presuntuosi ed incapaci . Purtroppo siamo noi sardi che continuiamo a votarli e a farci del male.