Secondo uno degli ultimi rapporti dell’Istituto Superiore di Sanità, i sardi sono tra i più depressi d’Italia e, nello specifico, i territori maggiormente interessati sono quelli del nuorese e più in generale delle zone interne della Sardegna. I più colpiti sono coloro che hanno superato i 65 anni e i ragazzi tra i 15 e i 24 anni. Gli indicatori del disagio psicologico scelto da importanti istituzioni (Istituto Superiore della Sanità; Regione Sardegna, Assessorato alla Sanità) sono stati il suicidio e il consumo di psicofarmaci. L’Italia ha un tasso basso di suicidi rispetto ad altri paesi europei, in Sardegna, invece, la lettura dell’andamento del fenomeno ha dimostrato che in 20 anni il tasso si è mantenuto su numeri tre volte superiori a quelli nazionali. Sulle malattie mentali: sono più diffuse in altri paesi europei, l’Italia ha un tasso complessivo del 3 per cento (basso), la Sardegna in un’indagine epidemiologica condotta su un’area significativa ha mostrato un tasso del 6,5 per cento.
Sul consumo dei farmaci: l’Italia è al 9º posto in Europa per l’uso di antidepressivi e all’ultimo posto nella spesa per gli antipsicotici. In Sardegna, invece, si registra dal 10 al 30 per cento in più di interventi medici nel settore psichiatrico, un ruolo importante lo svolge il medico di medicina generale che sempre più di frequente prescrive psicofarmaci. Questi dati, risalenti al 2014, sono stati confermati di recente dall’Osservatorio Nazionale Salute che in un suo interessante report ha affermato, tra le altre cose, che i sardi consumano più antidepressivi rispetto ai connazionali delle altre regioni d’Italia. Il rapporto è di 44 dosi giornaliere ogni 1000 abitanti della Sardegna, a fronte di 39/1000 a livello nazionale.
Tra le cause principali che sono state individuate, relativamente al problema della depressione che colpisce queste fasce di età, spicca per gli anziani la perdita del loro ruolo sociale e per i giovani l’estrema fragilità psicologica di questa età. Si potrebbe obbiettare che tale condizione non riguarda solo gli anziani sardi, ma che, purtroppo, è una condizione che accomuna gli over 65 di tutta Italia. la differenza sostanziale sta nel fatto che mentre nelle altre regioni italiane, soprattutto quelle centro – settentrionali, l’idea di “collocare” in una casa di riposo un anziano si è ormai fatta strada da anni, in Sardegna tale pratica si è diffusa in tempi più recenti per cui i sardi che hanno raggiunto e superato la fatidica soglia della terza età non hanno avuto ancora il tempo di metabolizzare questa nuova realtà (ma è mai possibile metabolizzarla?), quindi il “trasferimento” in una casa di riposo è vissuto in maniera molto più drammatica che nel resto d’Italia dato che si tratta di un evento completamente nuovo e devastante.
L’anziano in Sardegna, ma anche nelle regioni meridionali, nel passato recente, continuava a svolgere il suo ruolo all’interno della famiglia assumendosi il compito di somministrare saggezza e pacate riflessioni ai parenti più giovani che si accingevano ad affrontare le burrasche della vita. Purtroppo anche nell’isola sta cominciando a cedere quella rete protettiva che un tempo era garantita da forti legami famigliari e che consentiva all’anziano di continuare a sentirsi utile anche dopo aver superato la soglia della terza età. In sostanza possiamo dire che i “progressi” portati dal modello estremamente selvaggio del nostro sistema capitalista, sono sbarcati anche in Sardegna e, come in altri luoghi, stanno provocando enormi danni dal punto di vista della coesione sociale.
Per quanto riguarda i giovani, possiamo sviluppare una riflessione che nel metodo ha molte cose in comune con ciò che abbiamo detto per la popolazione anziana ovvero esistono, per quanto riguarda il fenomeno depressivo, delle cause scatenanti che sono comuni ad altre realtà nazionali e che si possono sintetizzare nell’estrema vulnerabilità psicologica e biologica di questa età. In Sardegna però tutto questo tende ad amplificarsi in maniera esponenziale in quanto il senso di frustrazione e le aspettative deluse, assumono, soprattutto nel centro dell’isola, proporzioni angoscianti a causa delle disastrose condizioni economico – sociali che in confronto alla situazione delle altre regioni italiane sembra essere veramente senza speranza. Per essere più precisi bisogna dire che, nonostante la devastante crisi economica, nelle regioni “continentali” si ha la sensazione che esistano gli strumenti per una rinascita non a lunghissimo termine.
Per quanto riguarda la Sardegna, invece, essa sembra essere completamente priva di una prospettiva futura che possa alimentare in qualche modo i sogni e le aspirazioni dei giovani. Tutto questo trova una triste conferma nei tragici episodi di suicidio che hanno raggiunto livelli allarmanti a partire almeno dal 2014 quando in rapida successione alcuni imprenditori del territorio nuorese (Macomer, Orotelli, Mamoiada) hanno deciso di porre fine alla propria esistenza proprio perché, probabilmente, non vedevano davanti a loro nessuna possibilità di potersi riprendere da una crisi economica che in Sardegna ha assunto dimensioni spaventose. Stiamo parlando d’imprenditori, di persone che erano abituate a convivere con le difficoltà tipiche di un’attività che porta con sé, inevitabilmente, ampi margini di rischi anche se calcolati.
Quindi se il disagio interiore derivante dalla situazione economica è stato così dirompente per individui maturi e ricchi di esperienza, immaginiamoci quali effetti devastanti possa provocare sui nostri giovani. Le responsabilità principali di tutto ciò non possono non essere addebitate all’imbarazzante miopia politica della classe dirigente sarda e nazionale che hanno abbandonato l’isola a se stessa quando si trattava di intervenire per migliorarne le condizione economico – sociali, ma che non si sono fatte scrupolo nel depredarla vergognosamente quando si trattava di realizzare i propri interessi di “casta”.
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