Quando si parla di terremoti si cita spesso il “modello Friuli” come esempio di efficienza nella ricostruzione, anche se la tragedia che colpì il Nordest risale al 1976. All’epoca, come in molte altre occasioni, il governo italiano fece fronte ai danni aumentando le accise sui carburanti. Ma alla fine della fiera l’Erario ci rimise o ci guadagnò? Quaranta anni dopo, e con la mente al terremoto del Centro Italia, il Centro Studi della Cgia di Mestre ha fatto i conti scoprendo che il saldo è abbondantemente in attivo. Come riporta anche Il Messaggero Veneto, il guadagno è pari a più di quindici volte di quanto speso per la ricostruzione del Friuli.
Il metodo accise Quello di introdurre nuove accise ai distributori è uno dei metodi classici utilizzati dai governi – della Prima e della Seconda Repubblica – per finanziare le opere, salvo poi dimenticarsi di levare i rincari una volta assolto il loro compito. Dal sisma del Belice, 1968, a quello dell’Emilia Romagna, di quattro anni fa, in ben cinque occasioni su sette – sono esclusi solo i terremoti di Marche e Umbria (1997) e Puglia e Molise (2002) – palazzo Chigi ha innalzato l’imposizione fiscale sui carburanti per trovare il denaro necessario a coprire i costi delle ricostruzioni.
In Italia il “temporaneo” diventa definitivo Aumenti che dovevano essere temporanei –come le tasse introdotte per la guerra di Abissinia (1935), la crisi di Suez (1956), il disastro del Vajont (1963) e perfino il rinnovo del contratto degli autoferrotranvieri (2004) –, ma che invece continuiamo a pagare, tutti noi, ogni volta che andiamo a rifornirci di carburante. E che queste tasse siano diventate definitive è stato pure sancito dall’esecutivo presieduto da Mario Monti che nel 2013 ha reso permanenti le accise introdotte per reperire le risorse necessarie alla ricostruzione delle zone devastate dai terremoti.
I costi del terremoto in Friuli Entrando nel dettaglio dei dati ufficiali raccolti dalla Cgia, troviamo che per finanziare la rinascita del Friuli – l’allora esecutivo di Aldo Moro – introdusse l’accisa più alta tra quelle finora conosciuta per quanto riguarda un post-sisma. Nel 1976, infatti, ci fu un aumento di 99 lire al litro che sino alla scorso anno ha garantito all’erario un gettito fiscale pari a 78,1 miliardi di euro a fronte di un costo complessivo per la ricostruzione friulana – e in questo caso il calcolo è stato effettuato dal Centro Studi del Consiglio nazionale degli ingegneri – di 4,78 miliardi, cioè oltre 15 volte in meno rispetto ai fondi messi in campo dallo Stato.
Quanto ci è costato il Belice Attualizzando gli importi – rivalutando cioè i costi dell’epoca in base ai coefficienti forniti dall’Istat – la spesa per la ricostruzione è stata di 18,5 miliardi di euro, mentre il gettito fiscale complessivo supera i 146 miliardi. Una pioggia di soldi simili a quella degli altri terremoti per i quali si è intervenuti sulle accise. Prima del Friuli, infatti, lo Stato ha dovuto fare i conti con il sisma del Belice nel 1968. Alla guida del governo c’era sempre Aldo Moro che introdusse un’accisa sui carburanti pari a 10 lire. Dal 1970 fino al 2015 l’Erario ha incassato 8,6 miliardi di euro nominali – cioè l’ammontare pagato in quel periodo senza valutare l’effettivo valore odierno – mentre la ricostruzione ne è costata 2,2. In valori attualizzati al 2016, quindi, il costo è stimabile in 9,1 miliardi di euro e la copertura ricavata dal gettito fiscale di 24,6 miliardi.
Sisma d’Irpinia Se passiamo all’Irpinia, quattro anni dopo il Friuli, l’allora premier Arnaldo Forlani autorizzò un’accisa da 75 lire al litro per la ricostruzione. Ma la riedificazione di immobili e infrastrutture è costata 23,5 miliardi di euro (52 se traslati sul 2016) a fronte di un incasso complessivo di 86,4 miliardi.
Gli ultimi ritocchi per Abruzzo ed Emilia Romagna Meno significativa la situazione relativa ai terremoti dell’Abruzzo e dell’Emilia Romagna. Partiamo dal 2009 quando, per L’Aquila e le altre zone colpite, il governo di Silvio Berlusconi diede il via libera a un ritocco minimo di 4 millesimi di euro al litro per benzina e gasolio. A fronte di una spesa ipotizzata – visto che la ricostruzione è ancora in corso – di 13,7 miliardi di euro nominali, lo Stato ha incassato finora 539 milioni (540 attualizzati). Per quanto riguarda l’Emilia Romagna, infine, l’esecutivo guidato da Monti decise di aumentare le accise sui carburanti di 2 centesimi per cui valutando un insieme di uscite che dovrebbe aggirarsi attorno ai 13,3 miliardi, il gettito riscosso fino adesso è stato di quasi 2,7 miliardi.
Il costo totale della ricostruzione che non c’è In totale “ogni volta che facciamo il pieno – sottolinea il coordinatore dell’Ufficio Studi Paolo Zabeo – 11 centesimi di euro al litro ci vengono prelevati per finanziare la ricostruzione delle zone che sono state devastate negli ultimi decenni da questi eventi sismici. Con questa destinazione d’uso gli italiani continuano a versare all’erario circa 4 miliardi di euro all’anno”, ma L’Aquila – giusto per dirne una – è ancora un cantiere.