Ci ha lasciato in punta di piedi, così come era arrivato. Estate 1964: il Cagliari promosso per la prima volta in Serie A cercava rinforzi di spessore. Andrea Arrica, general manager e parecchio altro di quella Società, si rivolse alla Juventus. L’anno prima i bianconeri avevano reclutato tale Claudio Olinto De Carvalho, calcisticamente noto come Nené, un giocatore molto alto, soprattutto se considerato con gli standard dell’epoca, proveniente dal Santos. In realtà la Juventus aveva cercato con insistenza un compagno di squadra molto illustre: Pelè. Essendo O’Rey tesoro nazionale dunque irraggiungibile, Boniperti aveva virato su Nené: tanto brasiliano era brasiliano e giocava nel Santos, qualcosa voleva pur dire. Tuttavia Nené non aveva suscitato grande impressione. Schierato centravanti, era andato in gol soltanto 11 volte. Non una miseria, ma alla Juventus ci si attendeva molto di più. Così a Torino furono ben lieti di liberarsi di questo Nené mai troppo convincente. Arrica e Silvestri ci credevano. Avevano trovato la chiave di volta. Nené come punta centrale poteva avere tecnica e fisico, ma era come ingabbiato. Necessitava di spazi ampi per distendere la sua falcata da quattrocentista. Ecco allora l’idea di posizionarlo a centrocampo, o in alternativa sull’out di destra del reparto offensivo. La scoperta dell’acqua calda. Nené esplose letteralmente, diventando in fretta uno dei punti di forza della squadra.
In Sardegna aveva trovato l’ambiente giusto, sentiva fiducia e la ricambiò con prestazioni da otto in pagella. I piedi erano veramente da brasiliano, ma alla tecnica univa la facilità di corsa e la concretezza europea. Un giocatore modernissimo, in avanti coi tempi. Quando poi si trovava nei pressi della porta non dimenticava i trascorsi da attaccante e faceva partire autentiche bordate che piegavano le mani ai portieri. A fine allenamento i giocatori rossoblù si intrattenevano in un gioco attuale anche oggi: centrare la traversa da fuori area. Nené era tra i più precisi. Non sbagliava un colpo. Mirava e colpiva. All’interno dello spogliatoio era l’anima allegra. Sorrideva o rideva sempre, e faceva ridere i compagni, con le sue battute di spirito, il suo candore, la sua simpatica ingenuità. E la sua proverbiale distrazione.
Era un estroso, dentro e fuori dal campo, ma conservava una educazione impeccabile. Se parlava dei suoi vecchi allenatori e dirigenti, al nome faceva precedere un “signor”: il “signor Scopigno”, il “signor Silvestri”, il “signor Arrica”, il “signor Boniperti”. Il suo “apelido”, Nené, glielo aveva dato sua madre, “perché da bambino piangevo sempre, “ne-ne”, “ne-ne”. Sul campo dava spettacolo. Il primo ricordo è la sua incredibile galoppata sulla fascia destra all’Olimpico di Roma. Per le nuove generazioni, il video è disponibile su YouTube. Nené prende palla fuori dalla sua area di rigore e inizia a correre verso la porta avversaria, tutto spostato sulla destra. Un fulmine, una gazzella impazzita. I difensori della Roma non riescono a stargli dietro, vengono seminati uno dopo l’altro. Ad un certo punto uno prova a stenderlo con un colpo da kung-fu: niente da fare, non lo prende. A bordo campo segue la corsa l’allenatore, Oronzo Pugliese: lo provoca, gli urla contro di tutto in dialetto pugliese, quasi entra sul rettangolo verde anche lui per cercare di fermarlo. Finito il campo, Nené alza la testa, guarda al centro e centra per Riva che aspetta, l’espressione stupita: cross a mezz’altezza, Gigi non deve fare altro che appoggiarlo in rete. E poi non festeggia nemmeno, corre dal compagno e lo indica, sorridendo, come a dire “Il gol è tuo, hai fatto tutto tu”. E la corsa del povero Pugliese? “Divertente”, commentò laconicamente Nené.
In Sardegna è rimasto per dodici stagioni, sino all’amara retrocessione del 1975-76. In pratica, protagonista sino alla fine del ciclo del grande Cagliari dello scudetto. La Società gli regalò il cartellino, lui smise e si dedicò a fare l’allenatore. Aveva indossato la maglia rossoblù per 311 volte in Serie A, record assoluto, con 23 gol. Un primato battuto soltanto da Daniele Conti. Il dopo calcio non è stato felice. Fare l’allenatore richiede anche doti da domatore che non gli appartenevano. Meglio come tecnico delle giovanili e istruttore dei bambini. Tra i tanti, ricordiamo un piccolo Claudio Marchisio, che l’ha ricordato con affetto su Twitter. Un maestro di vita, Nené, una leggenda rossoblù. Quando si ammalò, i compagni si presero cura di lui, con affetto e dedizione. Erano rimasti una squadra, anche se non prendevano più a calci un pallone su un prato verde. Nené è stato un simbolo di un’epoca. Adesso che non c’è più, ci sentiamo tutti un po’ più soli. Ciao, Claudio.
RIPOSA IN PACE GRANDE CAMPIONE ⚽