di Cinzia Marongiu
Prigionieri delle loro torri d’avorio, staccati dalla massa e quasi incapaci di comunicare con gli altri nel loro sdegno inconfessato per tutto ciò che è contemporaneità, peggio se popolare. Oppure invasi e invasati da quella mondanità chiassosa che tra un moijto e un prosecco ti ruba l’anima, tra “grandi bellezze” e riedizioni vintage di quel radical chic che non passa mai di moda. Per gli intellettuali di casa nostra la via di mezzo è una rarità, di sicuro non gratuita, che ha l’aria di appartenere ai più generosi nel dare e nel darsi. Uno di questi è sicuramente Marcello Fois, scrittore sardo trapiantato da 30 anni a Bologna, tradotto in 14 lingue, autore oltre che di romanzi e saggi, anche di soggetti e sceneggiature per cinema e tv e di testi per il teatro. E soprattutto così poco concentrato su di sé da essere artefice di uno dei più bei festival letterari italiani, quell’Isola delle Storie che anche quest’anno come da 13 anni a questa parte ha portato a Gavoi, nel cuore della Barbagia, migliaia di appassionati lettori e tanti autori, famosi ma anche lontani dal mainstream letterario. Insomma Fois, converrà che uno scrittore che si occupa di far conoscere e mettere in luce gli altri scrittori ha qualcosa di inusuale, se non di strano.
“Questo fatto rende evidente che molti di noi non fanno il loro mestiere. Dal mio punto di vista è naturale stare in mezzo alla gente, inserito e immerso in un lavoro che senza gli altri non esisterebbe, non avrebbe senso. È un tale privilegio per me fare lo scrittore che mi sembra il minimo restituirne la condizione di grazia condividendola con gli altri”.
Ma io mi riferivo a suoi colleghi che lei invita a Gavoi: immaginare autori divisi da rivalità e invidie non deve essere così lontano dalla realtà. Chi glielo fa fare? “Credo che un atteggiamento di questo tipo sia meno altruista di quanto sembri. Formare dei lettori consapevoli dà un senso al mio lavoro. Nella vita faccio due cose con grande passione, oltre la scrittura. La prima è proprio quella di organizzare questo evento annuale facendo in modo che per gli scrittori non sia una mera promozione di se stessi, come avviene in tanti altri Festival, ma una promozione della lettura e della scrittura. La seconda è andare nelle scuole per plasmare nuove sensibilità. Credo che costruire il tuo pubblico sia doveroso anche se qualche volta finisci per farlo contro te stesso perché il lettore creativo è un’arma a doppio taglio. È lui a scegliere. Non si fa teleguidare o omogenizzare. Tu che lo hai formato in antitesi alle mode sei soltanto responsabile di quel senso di libertà che naturalmente comporta dei rischi, magnifici comunque da correre. Perché poi i tuoi lettori cresceranno ma non ti abbandoneranno mai”.
È questo atteggiamento a rendere unico il Festival di Gavoi? “In Italia ogni anno vengono organizzati oltre 1200 festival letterari e Gavoi, per importanza e prestigio, è nel ranking dei primi 10. Un risultato ancora più eclatante se si pensa che invece da un punto di vista dei finanziamenti, siamo al novecentesimo posto, visto che ne riceviamo davvero pochi. E comunque non troverete mai nemmeno una mia frase di protesta rispetto al fatto che a Gavoi vengano dati meno contributi di tanti altri Festival sardi. La forza del nostro Festival sta nel non farne un prolungamento televisivo dei consigli per gli acquisti. Sta nella consapevolezza di avere di fronte dei lettori e non dei telespettatori o, peggio, dei consumatori. Una griffe inimitabile per cui mentre gli altri devono pagare per avere certi ospiti, noi abbiamo chi fa la fila per venire. L’importanza di un Festival la stabilisce chi vuole andarci. E il più ricco non coincide quasi mai con il più importante”.
Dopo 13 anni densi di incontri, spettacoli, mostre, eventi, che cosa si è appuntato sul cuore? “Tutte le volte che riusciamo a portare in una piazza 10 mila persone per un autore sconosciuto e fuori dal circuito dello star system letterario io mi sento felice. Abbiamo portato lo scrittore cinese Mo Yan l’anno prima che vincesse il Nobel, abbiamo invitato Paolo Giordano quando ancora nessuno sapeva chi fosse”.
Quindi a parte Gavoi gli altri Festival letterari sono tutti venduti allo star system letterario? “Beh, no. Mantova ad esempio ha un progetto. È un luogo di ideazione e non di passerelle. D’altra parte a Mantova come a Gavoi si vendono tanti libri. Negli altri Festival ben pochi”.
L’edizione di quest’anno, ha previsto degli omaggi a Umberto Eco, al maestro Albino Bernardini e alla scrittrice algerina Assia Djebar, è dedicata a Pinuccio Sciola, l’autore delle “sculture sonore” recentemente scomparso. L’ha conosciuto? Se sì, di cosa era fatta la vostra frequentazione? “Vorrei precisare che è una dedica soprattutto alla persona che è stata Pinuccio Sciola perché non sempre a un grande artista corrisponde una grande persona. Con Pinuccio ci vedevamo raramente, ma siamo stati molto solidali. Nel senso che a ogni mia o sua esternazione, in entrambi i casi piuttosto rare, ci davamo manforte a vicenda. Mi ricordo, ad esempio, l’ultima volta che ci siamo sentiti. Mi aveva chiamato e aveva esordito così: “Grande Marcello, hai scritto proprio quello che penso io. Anzi, mi sembra quasi di averlo scritto io da tanto mi ci riconosco”. Si riferiva alla mia risposta alle bestialità sostenute dal procuratore Roberto Saieva che all’apertura dell’anno giudiziario aveva parlato di “istinto predatorio tipico della mentalità barbaricina che stava alla base dei sequestri di persona”. Un pregiudizio legale che ci riportava al tempo di Lombroso e che io, in un articolo sul Corriere della Sera, portavo alle estreme conseguenze logiche: “Giusto per capirci è come se io procuratore generale a Palermo avessi detto che i siciliani sono gelosi o a Milano avessi definito i milanesi mafiosi o tangentisti, anzi endemicamente tangentisti”. Ecco, Pinuccio rideva contento di quello che avevo scritto. Era una persona priva di schermi, quasi infantile nella sua assoluta purezza che a volte, in pubblico, gli poteva procurare qualche grattacapo: in certi ambienti radical chic lui si alzava senza curarsi di niente e di nessuno e magari li smontava così: “Non ho capito proprio niente. Ma di che state parlando?”. Un matto vero che disseminava l’Italia con le sue opere senza curarsi di altro se non dell’essere. Eravamo diametralmente opposti per formazione, cultura, estrazione, come accade tra barbaricini e campidanesi ma gli ho voluto molto bene”.
Mi illustra i due opposti, tanto più che sta parlando con una campidanese? “Lui campidanese, e quindi con un’abitudine alla mescolanza, con un’idea più ampia del mondo. Io barbaricino, più chiuso e diffidente, ma non meno tollerante. Voi campidanesi siete più scafati, avete più sapienza del mondo. La Storia vi ha approcciato. A noi tutt’al più ci ha dato un buffetto. Non si tratta di differenze genetiche ma culturali. Sono sedimenti che hanno a che fare con l’imponderabile, con una visione del mondo. Pinuccio aveva di sé l’idea di essere un perfetto ignorante, “sono le mie mani che fanno tutto”, diceva. Io sono un calvinista incapace di organizzare niente se non con la testa. Diversi e complementari, io e Pinuccio. Così come sappiamo essere noi sardi quando ci troviamo fuori dalla Sardegna. Il patrimonio letterario e quello creativo ed espansivo uniti in una generazione di eccellenze pazzesche non solo nella letteratura, ma anche nell’arte, nella musica, di cui Gavoi finisce per essere un grande ricettacolo e allo stesso tempo un ponte verso il mondo. Quest’anno tutti i palchi del Festival saranno dedicati alla strage di Orlando e alla comunità LGTB.”.
A proposito cosa ne pensa della nuova legge sulle unioni civili? “Una soluzione piuttosto blanda. Evidentemente è quello che ci possiamo permettere in questo momento ma non abbiamo finito qui”.
Nella maglietta dei volontari del Festival quest’anno c’era scritto “Odio gli indifferenti”, famoso incipit di un brano di Antonio Gramsci. Perché questa scelta? “Perché mi ci riconosco. Perché sono gramsciano, perché oggi più che mai non ha senso non prendere posizione e soprattutto non ha senso non avere una posizione. Tutte le posizioni sono lecite a patto che ci siano. Basta con questa melma in cui siamo immersi e in cui non esercitiamo il nostro dovere di cittadini. Mi riconosco nei valori di sinistra e credo che il sono di sinistra ma anche no” di veltroniana memoria abbia prodotto non pochi danni. Sono di sinistra? E allora non mi possono andare bene delle cose che sono di destra. Basta con il “ma anche”, con il “sì, però”. Ma perché? Ma dove? Ma quando? Non dico che non si possa cambiare idea ma da qui ad ammettere tutto e il suo contrario ce ne passa. Io resto con Gramsci. Un po’ di chiarezza, per favore”.
Fois per quanto lei non ami lo star system letterario non potrà negare di essere diventato uno scrittore molto amato e conosciuto. E visto che noi lettori siamo terribilmente curiosi mi piacerebbe sapere quando scrive dove sta. Se ha dei riti oppure no. E quale stato d’animo l’attraversa. “Come scrittore sono un secchione, uno che non è mai contento di ciò che ha scritto e che appena ha finito di scrivere un libro viene assalito dall’ansia: “Riuscirò mai a scriverne un altro?”. In quanto al luogo fisico, non ho regole di questo tipo. Quando devo scrivere lo so. Semplicemente. Sento una vocina che mi dice: “Marcello, ok, procedi”. Oltre che uno scrittore, poi, sono un padre e un marito. E a casa mia non vige nessuna regola del tipo “zitti tutti che papà sta scrivendo”. Zero. E devo dire che questo mi aiuta a separare le cose e a vivere in un’altra dimensione. Non ho mai permesso che lo scrittore prendesse il sopravvento. Sono felice di fare questo mestiere. Ma se mi generasse infelicità smetterei subito. Appartengo a quegli scrittori che hanno passione per il mondo, per la gente, per la vita, che amano farsi influenzare e contaminare. Se sono felice non scrivo. Preferisco vivere. Solo di leggere non smetterei mai”.
Già alla sua passione per la lettura ha dedicato anche il suo ultimo libro che si intitola Manuale del lettore creativo (Einaudi). Nell’introduzione c’è una sua divertente descrizione in quanto lettore onnivoro che in bagno, in mancanza di meglio, è capace di studiarsi la composizione di detersivi e bagnoschiuma. In tanti ci si sono riconosciuti. “Come lettore credo di avere pochi rivali. È quello il mio vero grande talento”.
Mi dà alcune sue coordinate esistenziali in tema di lettura? “Nell’area infantile “L’isola del tesoro” e “Cuore”. Nell’area più giovanile, “I tre moschettieri” e “Le città invisibili” di Calvino. Nell’area più vicina al me di oggi, “Il giorno del giudizio” di Sebastiano Satta e i “Quattro quartetti” di Eliot. Ma in realtà me ne vengono in mente a centinaia di libri”.
E ora cosa sta leggendo? “Uno scrittore norvegese Karl Ove Knausgard. Ha scritto un’opera colossale. Ho appena finito di leggere “La morte del padre” e “Un uomo innamorato”. Al mare mi porterò “L’isola dell’infanzia”, perché poi sempre lì si torna”.
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I Gavoesi sparsi x il mondo lo saranno senz’altro. Noi siamo molto attaccati al nostro paese e alle nostre tradizioni. Il festival dell’isola delle storie ormai è diventato importante e seguito in tutta la Sardegna e non solo visto anche i personaggi che partecipano all’evento dando lustro alla manifestazione. Ne eri al corrente spero .