di Dolores Turchi
Quasi certamente di origine protosarda, a giudicare dai numerosi resti archeologici presenti nel suo territorio, il nome di Oliena viene legato a un gruppo di troiani, che dopo la caduta di Troia presero il largo cercando lidi più sicuri. Una parte di costoro pare sia sbarcata in Sardegna, dando vita al popolo degli Ilienses. La notizia viene riferita da Sallustio e Pausania e l’Aleo aggiunge che il luogo in cui si sistemarono definitivamente fu chiamato Iliena, in ricordo della patria perduta: Ilio. Da questo nome deriverebbe Oliena. Naturalmente vi sono anche altre ipotesi, di interpretazione più recente, che non elenchiamo per ragioni di spazio.
Oggi gli abitanti pronunciano indifferentemente Oliana o Uliana, ma negli antichi documenti compare sempre Oliana. Nel “Codex diplomaticus” risulta Doliana, che il Tola interpreta come “d’Oliana – de Oliana”.
Nella diocesi di Galtellì compare Olliana. In “Rationes Decimarum Sardiniae”, a. 1342, sta scritto “de Olian” (n. 1053).Poiché nel territorio di Dule vi era un presidio romano da cui potevasi dominare un buon tratto del Cedrino (dalla cui foce si suppone potessero essere penetrati i conquistatori seguendo il corso del fiume), non è improbabile che Oliena fosse inizialmente una postazione romana cui confluirono successivamente i vari nuclei ribelli che popolavano la valle di Lanaitto.
C’è chi vorrebbe il suo nome derivato dai numerosi olivi o dall’olio, ma questa interpretazione non ha fondamento, in quanto l’impianto maggiore di oliveti si è avuto in tempi recenti.
Gli abitanti erano per la maggior parte dediti alla pastorizia e i terreni coltivati erano pochi, in prevalenza a cereali. L’incremento alla coltivazione dell’olivo ebbe inizio con l’avvento dei gesuiti e soprattutto con le incentivazioni da parte degli Spagnoli e dei Savoia, che promettevano titoli nobiliari a chi innestava alcune migliaia di olivastri. Agli inizi del 1300 Oliena risulta direttamente sottoposta al dominio di Pisa, nel giudicato di Gallura, nella curatoria prima di Posada, poi di Galtellì.
Il centro doveva essere allora abbastanza consistente, a giudicare dalla rendita che le era stata assegnata rispetto ad altri paesi vicini. Possedeva un castello alto medievale, sito in località “Su Carmene”, già in rovina nel XVII secolo se i gesuiti, secondo quanto afferma la tradizione popolare, ne fecero asportare le pietre per costruire il convento e successivamente la chiesa di S. Ignazio di Loyola.
Nel 1325 la villa di Oliena con il suo territorio veniva assegnata a Berengario Carroz insieme al villaggio di Calagonis (Gologone), oggi scomparso.
Nella statistica pisano-aragonese del 1322 questo villaggio viene citato come “villa Golcone”. Viene menzionato anche dal Fara, ma ai suoi tempi (XVI sec.) era già abbandonato”.
Secondo la tradizione orale sorgeva presso la chiesa di S. Giovanni de sa vena e non doveva essere troppo piccolo a giudicare dalle quattro chiese che si trovavano nei dintorni: S. Giovanni, N. S. della Pietà, S. Lucia e S. Milianu, che si ergeva aldilà del Cedrino, di fronte alla sorgente del Gologone.
Di Golcone non sappiamo quasi nulla. Se ne fa cenno nel “Compartiment de Sardenya”, un documento del XIV sec. che elenca i centri abitati del giudicato di Gallura. Il documento, ordinato da Pietro IV il Cerimonioso, fu compilato nel 1358; è una rassegna, suddivisa per feudi, delle ville che in Sardegna si trovavano sotto il dominio aragonese. Vi sono scritte le rendite di ciascuna di esse. Tale rassegna si basa sui registri delle rendite compilati precedentemente dai pisani, quando ne erano ancora in possesso, nel 1322. In tale documento compaiono Oliena e Golcone, appartenenti al giudicato di Gallura, tra le ville che costituivano il feudo di Berengario Carroz.
Golcone aveva una rendita di £ 8 annue. Da tale cifra, confrontata con quella pagata da Oliena (£. 53 annue), se ne deduce che doveva trattarsi di un piccolo nucleo abitativo ormai in via di estinzione. Infatti nelle ultime decadi del XIV secolo non viene più menzionato. Il Dipartiment però non specifica dove era ubicata Golcone, benché tutto lasci credere che fosse una frazione di Oliena. Ma la tradizione olienese sembra sicura nell’indicare un paese distrutto presso la chiesa di S. Giovanni de sa vena. Di questa chiesa ci resta un libro dei conti datato 1595.
Dal 1326 Oliena e Golcone (Cologone) divennero pertanto feudo di Berengario Carroz, costituendo in questo modo le ultime propaggini del marchesato di Quirra, il feudo più esteso della Sardegna. Allora la villa era inclusa nella curatoria di Dore. Scrive il Floris: “Il grosso villaggio di Oliena e quello di Cologone, nella curatoria di Dore, furono concessi in feudo more Italiae; la concessione prevedeva che i vassalli pagassero il feudo in danaro”. Tale feudo passò successivamente da un proprietario all’altro, con alterne vicende e varie liti fino al 1805, quando fu definitivamente assegnato a Filippo Carlo Osorio, che avviò la procedura per il riscatto. Questo avvenne nel 1840.
Nel 1388 Oliena compare tra le ville firmatarie del trattato di pace tra Eleonora D’Arborea e il re d’Aragona: “Item a Petro Penna, majore ville Doliana (d’Oliana), Busuqueso Penna, Petro Mamusi, Barisono Pedes et Simeone Murgia Juratis, Laurencio Mamusi, Nicolao Penna, Joanne Mugioni et Basilio Penna habitatoribus in dicta contrata et alia multitudine hominum in ea et in villis eius”.
Nel XVI secolo la villa seguì la sorte di tutti gli altri paesi della Sardegna, interamente sottomessi al dominio spagnolo.
La situazione non doveva essere delle migliori, a giudicare da una lettera del 1581 che l’arcivescovo di Cagliari invia ai curati di Oliena, Orgosolo e Locoe, nella quale afferma di essere stato informato dal Conte di Quirra della grave penuria di frumento che vi è in questi paesi, e poiché i poveri da molti giorni non mangiano pane, ma solo erbe, ordina che, per far fronte a tanta necessità, si macelli a Oliena. Nonostante durante la Quaresima sia proibito il consumo della carne, in via eccezionale concede che i poveri e coloro che non hanno frumento mangino carne e formaggio in quei giorni, perché Dio non vuole la morte, ma la vita degli uomini. Nel XVII secolo a Oliena si stabilirono i gesuiti, che diedero impulso a diverse attività ed iniziarono a costruire il collegio e l’attuale chiesa parrocchiale.
La grande carestia del 1680, che aveva dimezzato buona parte della popolazione dell’isola, non risparmiò il paese. Infatti nel 1678 risultavano 402 fuochi, mentre dieci anni dopo erano ridotti a 205 (360 maschi e 567 femmine), con un totale di 927 abitanti. Nel 1698 l’incremento demografico, dopo la drastica diminuzione, tende a risalire e i fuochi diventano 296, mentre la popolazione si riequilibra in 627 maschi e 629 femmine, con un totale di 1256 abitanti.
Da una relazione fatta nel 1746 dall’intendente De Viry per conoscere la situazione eco-nomica e sociale dell’isola, Oliena risultava avere 1820 abitanti. Aveva “eccellenti vini, grano, ottime acque, aria buona”. Possedeva un ufficio per l’insinuazione degli atti. Meno di un secolo dopo, esattamente nel 1833, scriveva Vittorio Angius che la popolazione olianese si componeva di 679 famiglie, con un totale di 3075 abitanti. “I vegetali più sparsi in questo territorio sono gli olivastri, il ginepro che trovasi a ogni passo nella montagna ed il tasso, che i paesani dicono enix o enis”.
Sappiamo che molti olivastri furono innestati a olivi, ma il ginepro che si incontrava “a ogni passo nella montagna” è quasi totalmente scomparso, come pure il tasso. “Conviene indicare tra i ghiandiferi il leccio, continua l’Angius, che è assai frequente sulla montagna, ma che di giorno in giorno si va facendo raro nella distruzione che operano sia i pastori caprari risecandone i rami più prosperi per alimentare con le foglie i loro branchi, sia gli altri per provvedere al focolare o per procurarsi un po’ di cenere del suo legno a confettare le uve passe. Se non soccorresse la nuova provvida legge sulle foreste, verrebbe un giorno in cui il bosco ghiandifero sarebbe totalmente annullato”.
Notando quanto poco rimanga dei boschi di cui scrive l’Angius, crediamo che “la provvida legge sulle foreste” sia stata poco o nulla applicata in questo territorio.
Quando l’Angius scriveva era passato poco più di un decennio dalla legge delle chiudende. Riguardo al territorio di Oliena osserva: “Solo un ventesimo del territorio è stato finora chiuso, per avere un pascolo riservato al bestiame domito; ma poiché nelle medesime vi sono molti olivastri e cominciasi a intendere il beneficio che può venire dall’innesto, prevedo che fra non molto si abbrevierà lo spazio lasciato agli animali. II terreno chiuso per la pastorizia del bestiame manso si calcola di circa 16.000 starelli”. L’Angius aveva previsto bene. Infatti anche Oliena non fu immune da ripetute lotte, talvolta finite tragicamente, proprio a causa della legge delle chiudende.