In questi mesi mi sono ammalata di molte passioni: tutte contagiose. Altamente contagiose. Quella che più delle altre tarderà a guarire è la febbre alta per le erbe officinali sarde, spontanee, isolane.
Sono una collezionista, una collezionista seriale. In qualche libro di antropologia letto durante gli anni dell’università si parlava di gente come me, dei collezionisti – raccoglitori. Cercavano, si diceva, di portare in casa propria tutto quello che trovavano perché il loro intento, implicito, non sempre razionale e consapevole era quello di riprodurre in ambito domestico il mondo secondo la loro visione.
Sono io: raccolgo, curo, faccio crescere tutte le piante che incontro nei miei lunghi pellegrinaggi, a patto che mi parlino. Durante queste tre settimane di corso intensivo sulle piante officinali isolane e durante le escursioni (due, una fatta e una da fare) alla scoperta di alcuni angoli campidanesi, te lo immagini tutto quel che ho collezionato?
Bene, diamoci da fare. La mia ipotesi di viaggio oggi ti porterà lontano, al colle di Sant’Ignazio, che poi forse tu lo chiami colle di Sant’Elia e non so chi abbia ragione e chi torto. Quel che so è che si tratta di un angolo d’Olimpo, di una gemma calcarea caduta direttamente dalla luna e ora nostra, tutta nostra su cui dominano le erbe officinali sarde, silenziose e austere, in grado di salvarti e in grado di ucciderti.
Il percorso è facilissimo, fattibile anche in ballerine tanto per capirci. Parcheggi poco distante dal ristorante Lo Scoglio, respiri una soffiata di mare e sali su quel colle che dicono di Sant’Ignazio per via del forte mai ultimato che è di Sant’Ignazio. Ma al forte ci arriviamo fra un attimo.
Lungo la salita incontri la torre de su perdusemini (del prezzemolo), piccoletta ma coraggiosa e il faro di Sant’Elia.
Sali ancora, non parlare, respira, riempiti gli occhi di natura crudele e bella, ventosa e profumata, colorata di colori violenti e densi. E’ paradiso questo luogo.
Il faro lo vedi praticamente subito e immediatamente dopo ti affacci in una meravigliosa insenatura che ti mostra ordinati stagni dal colore
rosa, quasi che i fenicotteri li avessero macchiati e Poetto, liscio e stirato in quel giorno da un forte vento di maestrale. Questo a destra, ed è stato stupore per me e per la mia reflex, ma poi a sinistra è stata meraviglia.
Cagliari e alcuni dei suoi colli (mi è stato detto siano 10) mi si sono srotolati davanti. Due bassi campanili, poche case, il lungo mare, piccole collinette mai vedute da quella prospettiva. Mi mancava il respiro. Non era solo la luce del pomeriggio, non era solo quella visuale insolita, non era solo la bellezza di quel luogo che mai avevo visto. Era soprattutto la sorpresa: ho scritto di questo colle molte volte, senza mai averlo veduto realmente. Mia nonna nella primissima infanzia ci è cresciuta e questo
mi è bastato per interessarmene. Non lo avevo mai veduto fino a pochi giorni fa eppure lo immaginavo esattamente uguale a quel che è, come se io lì, in quel colle che io dico di Sant’Ignazio ma che forse è di Sant’Elia ci fossi già stata.
Ultima sorpresa architettonica il forte di Sant’Ignazio. Doveva essere un forte ma non è stato mai ultimato ed è stato ospedale per i malati di peste e ricovero per i frati. E’ candido di un candore accecante e le sue grandi finestre sono dei quadri che incorniciano il mare, il faro, l’orizzonte. Te li vorresti portare a casa. Posso giurarci.
Prenditi un attimo. Distendi le braccia. Non ti sembra di volare?
La discesa è stata ugualmente intensa. Il sole fa così, si sposta e trasforma il paesaggio e il paesaggio in due ore si è trasformato. Io pure, te lo confesso mi sono trasformata con lui.
Non che non amassi Cagliari prima, ma ora, ora sono un po’ più città del sole anche io, ora il mio cuore è un poco più di calcare, un poco più turchese, un poco più lucido come di maestrale che dentro si agita.
Erbe officinali sarde a Sant’Elia
Erbe… di erbe andavamo in cerca. Avevo una sacchetta in tela sulla spalla e delle piccole forbici che è così che si raccolgono le erbe officinali sarde (e non solo). Ce ne sono un’infinità. Ho scoperto il volto dell’assenzio marino: pare che quello di Sant’Elia sia uno dei migliori. Ho conosciuto il timo a mazzetti, ritrovato la ruta, raccolto l’elicriso già in fiore, profumato di liquirizia. Ho assaggiato l’alimo e il finocchietto marino, la rucola comune e quella selvatica, odorato il finocchietto selvatico, ritrovato il lentisco e l’inula viscosa.
Tutto in due ore. E quelle due ore sono state piene come una vita.