di Stefano e Antonello Gregorini
Il Trattato di Amsterdam del 2.10.1997 ha introdotto nell’ordinamento comunitario delle novità rispetto al regime riservato alle regioni insulari, sia attraverso l’art. 158 CE (ex 130A TCE), sia attraverso la “Dichiarazione relativa alle regioni insulari” allegata allo stesso Trattato.
Queste novità si inseriscono in un annoso filone del diritto internazionale che, dalle pronunce della Corte Permanente di Giustizia Internazionale (Avis consultatif del 6.4.1935), passando attraverso la Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare (Montego Bay, 10.12.1982), ha riconosciuto alle isole un regime differenziato.
In ambito comunitario, a parte alcuni riferimenti relativi alle regioni ultraperiferiche (peraltro solo in parte insulari), si trovano dei regimi specifici riservati alle isole nei Trattati di adesione di Danimarca, Irlanda e Regno Unito (22.5.1972) in relazione alle isole Faeröer, alla Groenlandia, alle Isole Normanne e all’Isola di Man; così anche nel trattato di adesione di Spagna e Portogallo (12.6.1985) per Azzorre e Madera e per le Canarie.
In quest’ultimo Trattato e nella Dichiarazione comune allegata, si rinvengono alcuni dei fondamentali principi che hanno ispirato lo status comunitario delle regioni insulari nell’Unione europea ove si riconoscono esenzioni e deroghe rispetto al regime ordinario comunitario, con la finalità di raggiungere l’obiettivo fondamentale della coesione economica e sociale.
Inoltre, anche nel Trattato di adesione di Austria, Finlandia e Svezia è accordato un regime differenziato alle isole Åland, regime che viene inserito nell’art. 299 CE (ex 227 TCE). Gli atti di diritto comunitario derivato concernenti l’insularità consistono prevalentemente in risoluzioni del Parlamento europeo (11.5.1979, 14.10.1983, 15.9.1987) e del Consiglio dei Ministri (15.2.1992), oltre che in pareri del Comitato Economico e Sociale (31.8.1987), i quali riconoscono la particolare vulnerabilità dei territori insulari; lo stretto rapporto tra politica di coesione economica e sociale, da un lato, e regole e misure specifiche nei confronti delle isole, dall’altro; la necessità di integrare gli aiuti finanziari con “deroghe” alle generali regole di diritto comunitario.
Orbene, l’art. 158CE (ex art. 130A TCE), così come modificato ad Amsterdam, riconosce che l’insularità di una data regione è di per sé un elemento suscettibile di ostacolare la coesione all’interno della Comunità e, in conformità al successivo art. 159 CE, occorre quindi tenere conto dei riflessi che, sul piano della coesione economica e sociale esercitano le politiche e le azioni comunitarie nel loro insieme, comprendendo quelle che si svolgono attraverso i Fondi a finalità strutturale i quali, peraltro, non esauriscono il campo di applicazione dei richiamati articoli.
Conviene precisare che una corretta interpretazione degli articoli 158 e 159 CE deve prendere in considerazione la Dichiarazione sulle regioni insulari allegata al Trattato di Amsterdam in cui si enuncia il principio dell’esistenza di “svantaggi strutturali” di cui “soffrono”, a motivo della loro “insularità”, tutte “le regioni insulari” (e non solo le regioni meno favorite come risulterebbe da un’interpretazione letterale della versione inglese dell’articolo 158 CE).
Sulla base del principio di insularità, infine, l’inserimento delle regioni insulari nell’ambito di quelle condizionate da “svantaggi strutturali” (che l’Unione europea, in virtù dei Trattati, è tenuta a rimuovere) non dovrebbe essere sottoposto al requisito del PIL pro capite (come avviene di norma per l’inserimento nelle aree di applicazione dell’Obiettivo 1), ma dovrebbe essere immediato, conseguente alla sola constatazione dello stato di insularità al quale i Trattati ricollegano automaticamente la condizione di svantaggio strutturale permanente cui deve fare fronte il ricorso a “misure specifiche” nei loro confronti.
Sulla base della definizione di isola adottata da Eurostat e con l’utilizzo di alcune convenzioni aggiuntive, si giunge a identificare un elenco di 286 territori insulari popolati da quasi 10 milioni di abitanti su una superficie di 100 mila chilometri quadrati: rispettivamente il 3 e il 3.2% dei corrispondenti valori dell’Unione europea. Il prodotto interno lordo di questi territori rappresenta il 2.2% del prodotto interno lordo dell’Unione europea, mentre il prodotto interno lordo per abitante raggiunge circa il 72% della media dell’Unione.
La maggior parte delle isole si trova nel Mediterraneo (Italia e Grecia). La ripartizione della popolazione per territorio mostra al primo posto la Sicilia, con il 53% del totale, seguita dalla Sardegna con il 17%. Mentre la ripartizione della popolazione per paese evidenzia come oltre l’80% degli isolani si trovano in Italia. Al di là di alcune eccezioni, la situazione economica e sociale delle isole appare meno buona sia rispetto a quella del paese di appartenenza che rispetto alla media dell’Unione europea. La maggioranza di questi territori presenta una struttura produttiva a carattere monosettoriale e, dunque, più soggetta a variazioni cicliche.
Gli indicatori socio economici (reddito pro capite, tasso di disoccupazione, dotazione infrastrutturale, livelli di istruzione, ecc.) pongono, in generale, le isole in una posizione di maggior svantaggio. La prosecuzione dell’analisi mostra, tuttavia, che a queste caratteristiche comuni si contrappone, sotto altri aspetti, una situazione piuttosto differenziata. Le isole d’Europa presentano un notevole grado di eterogeneità dal punto di vista demografico, orografico, della dimensione, della distanza dal continente, oltre che da quello politico amministrativo.
La richiesta di riconoscimento dello status di insularità, a partire appunto dai documenti della programmazione dello sviluppo in Europa, è fondata e necessita ora, dopo i lavori della Convenzione, di una valutazione della bozza di Trattato che istituisce la Costituzione europea.
L’argomento dell’insularità viene trattato, infatti, solo sul versante della condizione di disagio, da cui ne conseguono appunto interventi finalizzati al recupero del divario e delle condizioni di arretratezza. La nostra richiesta è che si trovi un più saldo aggancio costituzionale e politiche europee più coerenti e integrate.
Due sono gli aspetti che vanno ricondotti ad un solido aggancio costituzionale: l’insularità e gli statuti speciali nella Unione europea, l’insularità come proposta di statuto positivo.
I presupposti per rafforzare questa riflessione in Europa e per garantirle uno status costituzionale stanno nel riconoscimento già in essere nel preambolo del Trattato laddove:
– si sottolinea l’esigenza dell’affermazione della legittimità delle diverse identità e culture dei popoli,
– si fa riferimento all’articolazione regionale e territoriale degli Stati membri,
– si evidenzia in positivo la specificità insulare.
Ovviamente resta forte e valida la richiesta della permanenza delle Isole nelle regioni dell’Obiettivo 1; proprio n virtù della insularità e del fatto che le differenze tra le aree europee permangano ben oltre quanto rivelino gli indicatori del PIL (prodotto interno lordo) pro capite.
Il coordinamento delle isole del Mediterraneo e dell’Europa, è un esperienza già consolidata sul versante istituzionale per rafforzare la cooperazione economica e culturale e per sostenere le ragioni della propria specificità.
Il Coordinamento dei sindacati delle Isole del Mediterraneo e dell’Europa rappresenta un ulteriore e importante contributo alla costruzione dell’Europa, alla cooperazione sociale, economica e culturale, allo sviluppo del partenariato, all’integrazione tra le diverse esperienze di rappresentanza sociale, al progresso sociale ed economico delle isole.
Il Consiglio europeo di Nizza del 7/11 dicembre 2000 ha approvato una dichiarazione sulle Isole che ribadisce la necessità di azioni specifiche, nei limiti delle disponibilità di bilancio, a favore delle regioni insulari conformemente all’articolo 158 del Trattato della Comunità europea, a motivo di loro svantaggi strutturali che ne penalizza lo sviluppo economico e sociale.
La Dichiarazione è stata approvata sulla base della Dichiarazione n. 30 allegata al Trattato di Amsterdam. In questa direzione va anche la Dichiarazione di Cagliari approvata a conclusione della Conferenza «Le Isola dell’Unione Europea dopo Nizza», tenutasi a Cagliari il 23 e 24 febbraio 2001, su iniziativa dell’Intergruppo delle Isola del Parlamento europeo e delle Isole del Comitato delle Regioni.
Il 12 giugno scorso il commissario europeo per la politica regionale, Michel Barnier, ha presentato al Parlamento europeo lo studio dal titolo: «Analisi delle regioni insulari dell’Unione europea». Scopo dell’analisi è quello di fornire una diagnosi della situazione delle Isole d’Europa e proporre linee d’intervento utili per la formulazione, nel 2004, della terza relazione sulla coesione e, in prospettiva, per la formulazione della politica di coesione dopo il 2006. In sostanza, lo studio costituirà il documento base per le proposte della Commissione in materia di insularità.
(07/2011)
Nelle ultime settimane, è con particolare insistenza che esponenti del mondo politico, sindacale, del sistema produttivo hanno sottolineato la necessità e l’urgenza di un riconoscimento di quel principio di insularità che i Trattati europei avevano formulato già nel lontano 1997, all’atto della firma del Trattato di Amsterdam.
Purtroppo per la Sardegna, non diversamente dalle sollecitazioni degli scorsi anni anche quelle più recenti appaiono destinate a cadere nel vuoto, nell’assoluta assenza di segnali positivi da parte sia delle istituzioni dell’Unione, sia dello stesso Governo di Roma.
Certo, non si può dire che il momento attuale sia particolarmente favorevole all’applicazione di detto principio: come è noto, dopo l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona (1º dicembre 2009) il suo fondamento giuridico risulta piuttosto indebolito, ed alquanto ridotta appare la sensibilità di molti dei nuovi Membri dell’Unione europea nei confronti della specifica situazione delle regioni insulari.
Occorre però non dimenticare che resta comunque sempre saldo nel diritto dell’Unione un fondamentale principio, quello di non discriminazione: il principio in base al quale, se situazioni analoghe non devono essere trattate in modo diverso, neppure situazioni diverse possono essere trattate in modo analogo.
Del tutto in linea con tale principio risulta poi la “Dichiarazione relativa alle regioni insulari”, secondo cui gli handicap strutturali connessi allo status di insularità sono fattori che condizionano lo sviluppo di tali regioni, rendendo quindi giustificate l’adozione di specifiche misure nei loro confronti.
Il richiamo al principio di non discriminazione non deve apparire superfluo, ove si consideri la ben scarsa disponibilità finora mostrata dalle istituzioni dell’Unione, ed in particolare dalla Commissione europea, ad accogliere le legittime richieste delle regioni insulari. E appare verosimile che, in futuro, le modifiche introdotte con il Trattato di Lisbona renderanno una simile chiusura sempre più netta.
Stando così le cose, non è più alla Commissione che dovrebbero indirizzarsi le istanze delle regioni a favore dell’insularità. Trattandosi di una questione chiaramente politica, anche se non priva di motivazioni di natura giuridica, è piuttosto in seno al Consiglio europeo che la soluzione deve essere trovata.
Non va dimenticato che già all’epoca del Trattato di Amsterdam l’accordo in merito al riconoscimento del principio di insularità era stato raggiunto a livello degli Stati membri, così come in seno al Consiglio europeo avevano trovato accoglimento le principali richieste delle regioni “ultraperiferiche” dell’Unione, attualmente titolari di uno status ben più favorevole rispetto a quello della generalità delle regioni insulari. Due sono però le condizioni che devono sussistere perché il Consiglio europeo possa prendere a cuore la questione dell’insularità: da un lato, che vi sia almeno un Capo di Governo che si faccia convinto interprete delle richieste delle regioni insulari; dall’altro, che ad avanzare tali richieste la Sardegna non si trovi isolata, ma possa contare su un’attiva partecipazione delle altre regioni insulari dell’Unione, oggi escluse da quelle specifiche misure di cui godono invece i territori “ultraperiferici”. Per quel che riguarda questa seconda condizione, qualcosa sembra finalmente muoversi, a seguito della firma, nell’aprile di quest’anno, di un “Patto delle isole”, volto a consacrare la volontà di 46 regioni insulari dell’Unione di puntare verso politiche di sviluppo sostenibile, segnatamente attraverso un maggiore ricorso all’ energia alternativa.
Deludente è invece il quadro relativamente alla prima condizione: a quanto è dato sapere, non rientrerebbe infatti nelle intenzioni del nostro Presidente del Consiglio farsi paladino a Bruxelles della causa insulare. Sarebbe allora il caso che qualcuno si decidesse a sollecitare un intervento del Governo in sede europea, volto a risolvere una questione che da troppo tempo si è voluta ignorare. La “sessione europea” del Consiglio regionale, ora prevista dalla legge n. 13 del giugno dello scorso anno, potrebbe essere a questo fine una preziosa occasione, assolutamente.