MARCO STORARI SARA’ IL NUMERO UNO ANCHE IL PROSSIMO ANNO A CAGLIARI: “STO BENE E MI DIVERTO: VOGLIO GIOCARE ANCORA A LUNGO”

ph: Marco Storari


di Francesco Caruso

I sogni e le speranze dei tifosi rossoblù passavano dai suoi guantoni. Questo campionato ha dato l’ennesima conferma: mani d’oro. “Marc-One” Storari non ha deluso le aspettative. Divo a Cagliari, ma non se la tira, anzi. Durante la festa promozione ha lasciato in anticipo il pullman rossoblù, per scendere tra la “sua” gente e raggiungere casa a piedi. Legame fortissimo con la città: “Io mi ero già innamorato di Cagliari nel 2008” – racconta Storari – “E l’ho trovata addirittura migliorata, anzi, rinnovata. Ho preso la decisione di vivere in centro perché mi piace, memore della prima esperienza. Magari c’è qualche difficoltà per il parcheggio, ma vuoi mettere? Si sta benissimo, mi piace la città, vivere nel cuore pulsante. E’ tutto a portata di mano e ti da belle sensazioni, sono sempre accolto benissimo e c’è sempre festa per le strade”. Spiegaci un po’: pisano o romano? “Semplice (ride). I miei vivevano a Roma. Però mio padre è di Genova e mia madre di Pisa. Quando rimase incinta prese la scelta di far nascere me e mia sorella gemella a Pisa, dai parenti. Dopo un mese però tornammo a Roma, per cui io sono pisano perché ce l’ho scritto sulla carta d’identità, ma mi sento a tutti gli effetti romano”. Portieri si nasce? Storari sembra confermare la tesi: “Mi sono iscritto a scuola calcio a 6 anni, trascinato dal mio migliore amichetto. La scelta del ruolo è nata dal fatto che mio padre faceva il portiere, anche se a livello dilettantistico, e quando ero piccolo mi metteva in porta: mi è piaciuto fin da subito. Il primo attaccante che ho dovuto affrontare è stata mia sorella: quanti gol ho preso da lei! “.

Poi? “Poi la Roma, che però mi scartò. Sogno infranto? Io sono romano, cresciuto nel settore giovanile della Roma e la passione per i colori giallorossi mi fu trasmessa da mio padre, che tifava sia per la Roma che per il Genoa. Poi è normale che nel corso degli anni, cambiando tanti club, questa passione per la squadra della tua città ti passa un po’. Ammetto che mi sarebbe piaciuto vestire quella maglia. Non ho avuto la possibilità di esordire in prima squadra, pazienza. Sono lo stesso contento della carriera che ho fatto. Accettai l’offerta del Ladispoli, che giocava in D, dove vinsi il campionato Juniores, suscitando l’interesse del Perugia. Da lì sì, iniziò il percorso tra i professionisti”. Ancona e Napoli per farsi conoscere, poi l’esplosione a Messina: “E’ stata fondamentale per diversi motivi. Lì conobbi mia moglie,  anzitutto, e trovai la mia dimensione. I primi sei mesi mi guadagnai la conferma. L’anno successivo diventai titolare e  vincemmo il campionato di B, riportando i giallorossi in A dopo quarant’anni. Anni bellissimi, settimo posto in massima serie, grandi soddisfazioni. Mi consacrai con due stagioni fantastiche dopo che qualche anno prima la mia carriera era stata messa a rischio da un grave infortunio”.

Si spalancano le porte dei grandi club e tu scegli il Milan: pentimenti? “Lo rifarei senza dubbi. Lì ho conosciuto campioni del livello di Maldini e Costacurta e mi sono confrontato con grandi portieri come Abbiati e Dida. Inoltre sono stato allenato da Ancelotti, che mi ha fatto capire cosa significa essere il portiere di una grande squadra, sia a livello mentale che di allenamenti. Anche se nel 2007 non ho giocato molte partite, sono cresciuto tantissimo in rossonero. Ho vissuto la gioia di vincere la Champions. Anzi, l’unico rammarico è quello di non aver avuto quella possibilità prima”. Nel 2009 ti è capitata un’altra grande possibilità, vero? “Sì, ma io sono uno di quelli che crede che le cose vanno come devono andare. E’ vero, potevo giocare nel Chelsea, era tutto fatto. Però è andata in un altro modo e l’anno seguente ho avuto la possibilità di giocare titolare nel Milan, ed è stato fantastico. Indubbiamente mi sarebbe piaciuto giocare per i “blues”, anche perché quell’anno a Firenze c’era Sebastian Frey in uno stato di forma mostruoso. Corvino non mi ha lasciato andare, perché anche se non giocavo mi riteneva indispensabile. Ci ero rimasto male, ma è andata bene comunque”.

Sei mesi alla Sampdoria, quindi la Juve. Storia di un grande amore? “Tantissimi ricordi. Vado fiero in particolare per la Coppa Italia vinta l’anno scorso: nelle bacheche bianconere mancava da 10 anni e l’ho vissuta da protagonista. Inoltre l’avevo persa il primo anno di Conte in finale con il Napoli. E’ il trofeo che sento più ‘mio’, perché sono stato sempre titolare, e quindi alzarla al cielo da protagonista è un momento che non dimenticherò mai. Il giorno dell’addio ho ricevuto tanti sms, tutti i miei amici me ne hanno mandato. Però quello che mi ha fatto commuovere è di Claudio Filippi, ‘il maestro’,  l’allenatore dei portieri della Juventus. Anche quelli dei miei compagni di squadra, come Buffon, erano carini, ma il suo era in assoluto il più bello”. A proposito, sei scaramantico? “No, però ho i miei rituali, che variano a seconda della partita, ma non la definisco scaramanzia. Sono legato al 30 perché lo porto da parecchi anni ed è un numero che mi ha sempre portato bene e l’ho scelto perché mi piace proprio come è fatto. Il 23 è un altro numero fortunato e, tra le altre cose, è il numero di mia moglie, quello che l’ha sempre accompagnata nella sua vita e da qui la mia predilezione”. Senti, ma perché “Er Dandi”? “Mi chiamavano così a Firenze (ride di nuovo). Ci eravamo  appassionati a una serie tv, Romanzo Criminale. Un personaggio, ‘Er Dandi’ appunto, era un po’ ‘fricchettone’, aveva un modo particolare di vestirsi, come me, e così i compagni mi misero questo nomignolo. Qui, con Colombo, sono il più vecchio, ma non sono cambiato. Mi piace sempre fare scherzi, mi piace ridere, vivere in modo positivo lo spogliatoio. Siamo un grande gruppo, una famiglia e questo indubbiamente ci ha aiutato”. Con la famiglia vera, invece, come passi il tempo? “Il mio hobby preferito è giocare a pallone con miei figli. Quest’anno ho avuto un po’ più di tempo, però tra gli allenamenti e le trasferte, non è mai tantissimo. Quando non sono impegnato sono tutto per loro e dato che gli piace giocare a calcio ci organizziamo partitelle ovunque”.

Futuro? “Anzitutto sono contentissimo di aver fatto 42 partite su 42 e devo ammettere che mi aspettavo di riuscirci. Se ce ne fossero state cinquanta ne avrei fatte cinquanta, perché sto bene e in questi anni ho giocato solo la prima metà di stagione del campionato 2010-2011, quando Gigi si era fatto male. Mi sono sempre allenato regolarmente e, facendo i dovuti scongiuri, non ho mai avuto problemi. Ho un altro anno di contratto, ho intenzione di giocare ancora, perché mi diverto e dato che in questi ultimi cinque anni mi sono riposato ho intenzione di recuperarli tutti”. Per la felicità dei tifosi rossoblù…

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