di Enrico Fabretti
Chi l’avrebbe mai detto che la strada che porta a Rio de Janeiro e alle Olimpiadi del prossimo agosto passa anche per il Po di Volano? Quel ramo secondario del delta del Po, che attraversa Ferrara e che ai ferraresi sembra poco più di uno stagno sporco e maleodorante, è, in realtà, uno dei campi d’allenamento di canottaggio migliori d’Italia dove, negli ultimi mesi, si è allenata la giovane promessa del canottaggio italiano, Stefano Oppo. Il canottaggio è uno sport particolarmente complesso, per cui, prima di raccontare la storia di Stefano, nato a Oristano nel 1994 cominciando a gareggiare nelle acque di Torregrande, credo sia necessario fare una doverosa premessa tecnica, se non altro per cercare di chiarire le idee a me stesso. Al di là dell’aspetto più superficiale (bisogna remare e fare fatica), questo è uno sport che prevede una serie impressionante di specialità, legate alle diverse tipologie di imbarcazioni e al numero di remi che il vogatore governa, oppure al peso degli atleti. Si va da barche con un solo vogatore, fino a equipaggi da otto, con la presenza del timoniere, oppure no (da qui la dicitura “con” o “senza”);ciascun membro dell’equipaggio, inoltre, può governare un remo piuttosto che due (e si dice, perciò, voga “di punta” o “di coppia”). Poi ci sono le categorie “Senior”, che non prevedono limiti di peso, e “Pesi Leggeri”, con limiti molto stringenti. Insomma, un labirinto in cui è facile perdersi per chi non sia un addetto ai lavori. Al canottaggio Stefano si avvicina quasi per caso, seguendo le orme del fratello maggiore, Matteo, che l’ha praticato a livello amatoriale nella loro città d’origine, Oristano. «La passione per il canottaggio deriva dal fatto che nasci sul mare e hai, quindi, subito un legame molto stretto con l’acqua», racconta Stefano. «Io ho iniziato all’età di nove anni e, quando ne avevo quindici, ho partecipato, senza particolari aspettative, a un bando della Federazione Nazionale per la riapertura del College Remiero Giovanile a Piediluco. Con mia sorpresa, i test fisici sono andati molto bene e così, in terza superiore, mi sono trasferito in Umbria». Inizia per Stefano una vita scandita da ritmi quasi da caserma e da levatacce alle quattro del mattino per potersi allenare, prima di prendere la corriera che lo porta a scuola a Terni. E, poi, ancora allenamenti nel pomeriggio. Tanti sacrifici, però, sono presto ripagati e nel 2011, a soli sedici anni, Stefano partecipa al Campionato Europeo Junior e vince nella specialità dell’otto pesi leggeri: «Per me è stata davvero una sorpresa – si schernisce – si può dire che neanche sapevo cosa stessi andando a fare». Successi che si ripeteranno negli anni successivi, a livello europeo e mondiale, soprattutto in quella che diventa la sua specialità, il quattro senza. Nel frattempo, finite le superiori, s’iscrive alla facoltà di Scienze della Comunicazione all’Università di Ferrara, seguendo il consiglio del fratello Matteo, che in città frequenta Architettura, oltre alla locale sezione canottaggio del Cus. «Stefano poteva scegliere vari posti in cui andare ad allenarsi – commenta Matteo Oppo – qui a Ferrara ha trovato una buona società e, in più, la città è piccola e tranquilla». Quand’è a Ferrara, nelle poche settimane libere dai raduni della Nazionale, Stefano si allena nel centro di via Darsena, coi ragazzi di Gabriele Braghiroli. «Allenarmi a Ferrara mi piace – confessa Stefano -. Gabriele è un allenatore molto preparato e, inoltre, ci sono delle ottime barche. Mi piace, poi, l’idea che, finiti gli allenamenti, posso uscire e fare quello che fanno tutti gli altri ragazzi, mentre quando sono con la Nazionale, a Sabaudia o a Piediluco, al termine di una giornata passata in barca, non resta molto altro da fare». La cosa più sorprendente, però, almeno per un ferrarese medio come me, è sentire un campione come Stefano, che ha vinto tutto a livello nazionale e internazionale e che ha regatato nei migliori campi gara del mondo, tessere le lodi del Po di Volano: «Il Po di Volano è un campo d’allenamento perfetto – dice- moltissimi atleti d’alto livello lo considerano uno dei migliori posti in Italia dove allenarsi. Gli unici inconvenienti sono la nebbia e il freddo, tanto che a gennaio è capitato che alcune volte, per poter uscire, abbiamo dovuto letteralmente rompere il ghiaccio che copriva la superficie. Però l’acqua è sempre calma, non ci sono correnti, e si può andare in barca tutti i giorni dell’anno». Ora l’obiettivo di Stefano è far bene nelle gare che si svolgeranno in primavera, per essere selezionato a far parte della squadra che volerà, in estate, a Rio de Janeiro e poter ripetere i successi di quello che è stato il suo allenatore al College di Piediluco, Agostino Abbagnale: «Dei fratelli Abbagnale, Agostino è, forse, il meno conosciuto, ma è quello che ha vinto più di tutti. E’ un tipo particolare, molto sulle sue, uno che parla poco ma, nei tre anni che l’ho avuto come allenatore, da lui ho imparato tanto». Gli insegnamenti del più giovane dei leggendari fratelli Abbagnale, gli serviranno per affrontare i prossimi mesi in cui si decideranno i quattro che guideranno la barca azzurra alle Olimpiadi; se le gare fossero oggi, Stefano su quella barca ci sarebbe sicuramente. «Quando nel 2012, l’anno in cui ho vinto il primo Mondiale, mi dicevano che sarei andato alle Olimpiadi, non ci credevo proprio. Ricordo che in camera, i compagni di allenamento mi avevano appeso un cartello con scritto “Aspettando Rio” e io mi mettevo a ridere. Oggi, invece, questo sogno sta diventando realtà e mi sembra incredibile. Per un ragazzo di ventuno anni raggiungere un traguardo così importante è una cosa abbastanza rara; nel nostro sport la maturità agonistica si raggiunge intorno ai ventisei, ventisette anni».Inevitabilmente, l’approssimarsi di un impegno tanto importante sta assorbendo quasi completamente la vita di Stefano; tra ritiri con la Nazionale, gare e allenamenti, gli rimane poco tempo per tutto il resto: «Durante il primo anno di università sono riuscito a frequentare le lezioni con una certa regolarità e a fare la vita universitaria. Poi, dal 2013, una volta che sono entrato nel gruppo olimpico della Nazionale, c’è stato spazio solo per gli allenamenti e le gare. Dopo le Olimpiadi, semmai ci dovessi andare, vorrei riavviare il mio percorso universitario, riprendendo seriamente a studiare». Il canottaggio, anche se praticato a livello professionistico, non è uno sport che dia di che vivere; perciò Stefano, come tanti altri atleti che praticano discipline meno “visibili”, ma che, di solito, portano tante medaglie nelle gare internazionali, è affiliato a un gruppo sportivo militare: «Io gareggio per la Forestale e questo mi permette di mantenermi. In più, in base ai risultati che ottieni, la Federazione Canottaggio ti paga dei premi. In questo momento, come barca quattro senza pesi leggeri stiamo cercando degli sponsor, ma è veramente difficile trovarne». Non ci resta, quindi, che aspettare agosto e tifare, davanti alla tv, per Stefano e per il quattro senza azzurro. E chissà se, come per gli Abbagnale, sentiremo Giampiero Galeazzi gridare al microfono: «Non li prendono più, non li prendono più!».