In questi mesi, in Sardegna, si è fatto un gran parlare dell’isola gemella, la Corsica, sia per la vittoria elettorale della coalizione corsa guidata da Simeoni, sia per lo scambio di visite istituzionali tra i vertici delle due regioni mediterranee. Se n’è parlato anche perché, passata la sbornia amicale, sono iniziate subito le diffidenze in relazione alle note polemiche sui confini marittimi, forse più strumentali che reali.
In questi vertici sono stati presi accordi che riguardano svariati ambiti economici, come l’energia e i trasporti, anche pensando di poter utilizzare i vantaggi che offre la Comunità Europea in termini di cooperazione.
Vi sono punti in comune tra la storia e le vicende delle due isole. La Corsica ha gravitato attorno all’orbita della penisola italiana per secoli, fino a che non è passata alla Francia, che ha intrapreso una pressante opera di francesizzazione. La storia della Corsica è di una costante tensione verso l’indipendenza in una situazione, però, di debolezza politica accentuata, peraltro ingenerata dallo storico sfruttamento delle sue risorse. Una tensione che, nel dopoguerra, ha visto il terrorismo e lotta armata imperversare, ottenendo, per contro, una dura reazione francese. Solo successivamente, negli anni ’80 e ’90, la Corsica ha potuto ottenere una blanda autonomia legislativa, e soltanto ora, i partiti corsi, abbandonate le divisioni laceranti, l’estremismo e persino la lotta armata, hanno potuto vincere le elezioni regionali. A differenza della Corsica, la Sardegna ha potuto godere sin dall’immediato dopoguerra di uno statuto autonomo. La genesi dell’unità d’Italia, inoltre, vede la Sardegna assorbita pacificamente nello stato unitario ed anzi, il Regno di Sardegna e la “fusione perfetta” col Piemonte, al di là del valore storico che si voglia dare a questo ultimo evento, mostrano comunque il ruolo da protagonista dell’isola, sempre occultato, peraltro, nella genesi unitaria. Ma nel corso di questo processo politico, la Sardegna ha subito una costante rapina delle risorse ed un utilizzo, da parte dello Stato nelle sue componenti egemoniche, come la borghesia industriale del Nord, del suo territorio sacrificante per l’economia e persino per la salute pubblica. Da questo punto di vista, pur non arrivando quasi mai allo scontro violento, il rapporto con lo Stato italiano assume similitudini con l’isola gemella. Tuttavia, Sardegna e Corsica, nonostante notevoli affinità culturali e linguistiche, si sono sempre un po’ ignorate. Entrambe vengono usate rispettivamente come modello un po’ mitizzato. I sardi vedono nella Corsica un modello di orgoglio nazionale, di capacità di far valere le proprie ragioni, anche in modo deciso, nei confronti dello Stato centrale. I corsi vedono nei sardi coloro che sono riusciti a conquistare degli obbiettivi, come una certa autonomia, che a loro vengono negati. E’ probabile che entrambe le visioni siano più deformate dall’ideologia e dalla strumentalizzazione che reali. Però la continuità culturale tra le due isole, una sorta di sfumatura nella gradazione degli istituti culturali e dei costumi esiste, come se lo stretto di Bonificio, in realtà, non fosse così burrascoso e profondo come sembra. Questa continuità culturale, pur nella diversità, rappresenta, secondo me, un grande patrimonio da studiare e da valorizzare, insieme alle straordinarie peculiarità ambientali. Non possono che essere accolti positivamente, dunque, questi accordi, insieme alla ripresa di un dialogo tra le due isole. Tuttavia mi piacerebbe che entrambi i governi colgano, finalmente, le straordinarie specificità che la collaborazione di queste due regioni potrebbe dare. A mio parere, questo rapporto si dovrebbe sostanziare, oltre che negli accordi in itinere, anche e soprattutto nei due ambiti che renderebbero le isole centrali rispetto all’Europa, e che invece sono, regolarmente, i più trascurati. Sarebbe ora che le due isole, sulla base delle loro straordinarie prerogative ambientali e culturali, si facessero avanguardia europea di un nuovo modo di valorizzare l’ambiente e la cultura. Mi spiego con due esempi, che poi sarebbero due proposte, ovviamente destinate a restare inascoltate. La prima proposta che faccio vedrebbe l’istituzione di un comitato per la dichiarazione di Patrimonio dell’Umanità delle Bocche di Bonifacio, comprendente l’Arcipelago della Maddalena, le isole di Lavezzi e Cavallo, Bonifacio, e magari gli entroterra delle due isole con le rispettive culture, come quella degli stazzi galluresi. Un’area che, date le caratteristiche ambientali e storiche, avrebbe concrete probabilità di cogliere l’obbiettivo. Si aggiunga, inoltre, che l’Unesco approva in modo particolare i patrimoni internazionali. La dichiarazione di patrimonio dell’Umanità garantirebbe un ritorno di immagine, e dunque economico, straordinario, al netto dei finanziamenti vari garantiti dall’Agenzia dell’Onu. La seconda proposta che faccio, che potrebbe anche essere collegata alla prima, è la nascita di un centro studi che si occupi della storia, della lingua e della cultura non solo delle due regioni, ma anche di tutte le minoranze etniche d’Europa e del mondo.
Partendo dall’esperienza storica e politica di minoranze corse e sarde, si potrebbe dar vita ad un centro parificato, una vera e propria università, con corsi di laurea e master che metta insieme le amministrazioni pubbliche, le regioni, le università e possibilmente istituti privati e sponsor. Un centro insomma che ponga le due isole in una posizione di avanguardia su questi studi antropologici, sociologici e di geopolitica, che funga da riferimento di livello internazionale in un’epoca, come la nostra, di grande disordine e di barriere e incomprensioni tra nazioni, specie nel “Mare Nostrum” mediterraneo. Queste proposte le faccio perché si fa un gran parlare di ambiente e di cultura, ma poi in concreto si fa poco o nulla. Le idee, invece, non mancano.
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