di Pia Deidda
Laura la protagonista del suo romanzo, donna giovane e indipendente che vive e lavora a Torino, decide di tornare in Sardegna dove è nata, alla ricerca di una verità che le tormenta l’animo e le disturba i sogni. Dove le è venuta l’idea di questa storia che fluttua fra realtà e mistero? L’idea di questo romanzo è nata dalla complessità e dalla difficoltà di discernere la verità da ciò che solo apparentemente appare reale. I luoghi dell’anima, che cercano e trovano altri luoghi in cui fermarsi a realizzare i propri sogni e a costruirne degli altri, mi affascinano sin da quando ero bambina. Ho sempre pensato al mondo interiore come ad un luogo in cui le persone si incontrano senza conoscersi. Il luogo in cui si scoprono e si confrontano i desideri più profondi. Ma l’universo interiore è anche lo spazio in cui ci si nasconde agli altri, non necessariamente per mancare sul piano dell’onestà intellettuale, più spesso e più semplicemente, per non permettere a chicchessia di invaderci e costringerci a mostrarci in tutta la nostra umana vulnerabilità. Il mistero come dimensione da indagare, per conoscere coloro che ci circondano.
Opera giovane e fresca ma con un elemento arcaico che aleggia: la figura della vecchia che è al contempo personaggio degli incubi onirici e misterioso incontro fra realtà e arcano. Una domanda che faccio spesso agli autori sardi è se è possibile oggi conciliare la modernità con elementi tematici ancestrali che ancora ci legano, come sardi, alle nostre tradizioni isolane. Sì, a mio avviso, sì, è possibile conservare i legami con le tradizioni, confrontarli e arricchirli con tutti gli elementi sociali culturali che sono presenti nella contemporaneità, in ogni realtà altra, a partire dalla quotidianità. La capacità di restare saldamente legati alle nostre origini ci consente di vivere ogni aspetto sociale con la consapevolezza che i miti ci accompagnano e ci raccontano uno spaccato di quelle società che cambiano, in un modo piuttosto che in un altro, proprio per la presenza di caratteristiche arcaiche singolari. Esiste un legame tangibile tra mito e realtà, sul piano iconografico, mi fa pensare a un albero con lunghe, robuste e profonde radici che innalza i suoi rami fluenti verso il cielo, non sempre e non necessariamente azzurro. È nelle radici di quell’albero che continuano a vivere tutti gli aspetti più ancestrali e misteriosi della nostra Terra, presenti nei racconti dei nostri genitori, dei nostri nonni, dei vecchi seduti sul ciglio del marciapiede, ai bordi della strada. In alcuni paesi ci sono ancora e se posso mi fermo a guardarli e a sentirli sussurrare quelle storie. Il nuovo convive con il vecchio, la modernità con l’antichità. È il mito che sopravvive.
Storia anche di profumi. Perché noi sardi siamo così legati al senso olfattivo tanto da farne sublimi momenti descrittivi della nostra terra? La nostra è una Terra silenziosa e nel silenzio è più facile comprendere le sue specificità, attraverso i suoni, i profumi. In ogni eco risuona un canto, ogni profumo rimanda ai colori della natura e ai giorni della nostra esistenza. Laura, la protagonista del romanzo, comincia a ritrovare se stessa quando scende dall’aereo, nel profumo pulito e pungente del maestrale, in cui è possibile cogliere il fruscio del cisto e del lentischio.
La storia si svolge fra Torino e la Sardegna. Ho ritrovato un tratto che ci accomuna: l’amore per la terra d’origine ma il legame anche per questa città che continua ad affascinarci. Come vive questo rapporto? Inizialmente c’era la spensieratezza per le cose nuove, ma anche il dolore profondo per la lontananza da casa, avevo solo diciotto anni quando sono arrivata a Torino, però mi è piaciuta subito. È una città ospitale, i suoi abitanti non sono invasivi, qui ho incontrato e conosciuto persone straordinarie, che hanno compreso i miei silenzi e mi hanno offerto affetto e stima; è così che ho potuto conservare la mia autenticità. Ho scoperta di amarla un po’ per volta, percorrendo a piedi le sue strade, i suoi quartieri quadrati, i suoi mercati giornalieri. Tutto mi incuriosiva: i monumenti, i parchi, le chiese, i cortili delle case, soprattutto quelli del centro storico con i ballatoi – in quegli ingressi comuni si muovevano i personaggi dei libri di storia, della grande emigrazione dal Sud, nella città delle fabbriche e della turnazione -. Quando li trovavo aperti entravo e li fotografavo con gli occhi. Qualche volta lo faccio ancora.
Lei è anche una docente di italiano. La professione d’insegnante ostacola o concilia la creatività? Pensa che la conoscenza della grande letteratura possa essere un elemento di condizionamento? Qualche volta me lo sono domandato, soprattutto di fronte al rischio di essere troppo rigida nell’osservanza delle regole linguistiche, con il tempo ho imparato a conciliare i due aspetti: insegnare è un lavoro che mi appassiona, ma è pur sempre un lavoro; scrivere è passione allo stato puro.
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