di Pierpaolo Fadda
C’è un sapore di Sardegna nella lontanissima e misteriosa terra nipponica. A Tokyo un gruppo di emigrati, Valeria Pirodda, Eva Cambedda, Giovanni Piliarvu e Guido Cossu, attraverso l’Associazione Isola Sardegna-Giappone, promuove le bellezze della nostra terra “attraverso l’organizzazione di mostre, degustazioni e altri eventi culturali”. Li abbiamo voluti conoscere meglio intervistando la fondatrice Valeria Pirodda.
Quando hai deciso di fondare l’Associazione? L’idea di creare un legame tra Sardegna e Giappone l’ho sempre avuta. La prima volta che ci sono andata per lavoro, nel 2003 – in quel periodo insegnavo italiano per pagarmi vitto, alloggio e scuola di lingua per ripassare il giapponese -, ho iniziato a sondare il terreno tra conoscenti, studenti e amici di amici, ma ogni volta mi nominavano altre isole italiane, se non addirittura la Corsica, per questo ho pensato che urgeva una qualche azione, ho quindi deciso di impegnarmi per provare a cambiare le cose, come fosse quasi un obbligo!
Ci racconti come vi siete ritrovati, tra sardi, in terra giapponese? Quando mi sono trasferita a Tokyo, poco meno di cinque anni fa, reduce da un’avventura solitaria con base a Cagliari dettata dalla mia sardità – avevo provato a portarmi il lavoro a casa, con buoni risultati, ma troppe spese da affrontare – ho ripreso i vecchi contatti, in realtà mai lasciati, del 2004, e c’è voluto ben poco per procurarmene di nuovi attraverso conoscenze comuni. Ma è stato soprattutto grazie a internet che sono stata “trovata” anche da chi i social non li ha mai usati.
Immagino che esista una grande distanza tra cultura nipponica e sarda:riesci a trovarmi almeno un punto in comune? Siamo due mondi in apparenza paralleli che, se messi a confronto, si presentano: qui tutto ordinato e rigidamente perfetto, in Sardegna tutto per aria e quasi raffazzonato. In realtà siamo molto vicini, sebbene in Giappone secoli di chiusura al mondo esterno si riflettano nella vita quotidiana, tant’è che inizialmente prevalgono diffidenza e timore per il “nuovo” o “diverso”. Da parte loro c’è, allo stesso tempo, un forte desiderio di conoscere lo straniero, la sua vita, le sue abitudini, e questo l’ho notato anche nei sardi, ospitali e generosi come pochi.
Descrivici i progetti realizzati finora come associazione. Abbiamo compiuto tre anni lo scorso 23 settembre, siamo a quota tredici eventi, rigorosamente autofinanziati. Abbiamo esordito con un concorso fotografico, “La Sardegna vista dai giapponesi”, esibendo le foto fatte dai partecipanti durante il loro viaggio e intervistandoli riguardo alla loro esperienza e alle emozioni provate quando hanno scattato quella foto. Ogni volta presentiamo un tema diverso, che si tratti di cultura, usi o costumi. Finora, grazie alla disponibilità di operatori locali, abbiamo presentato il carnevale sardo, Sant’Efisio, il libro della Agus tradotto in giapponese, una mostra di ceramiche sarde, la lavorazione dei gioielli, il pane, dai tempi dei nuraghi fino a quello realizzato per le feste. Inutile dire che ogni volta richiamiamo tanti curiosi, sempre più numerosi, sia giapponesi che italiani. Sarebbe bellissimo riuscire a coinvolgere direttamente i sardi nelle nostre iniziative, e già alcuni residenti a Tokyo, ma anche della Sardegna, ci hanno aiutato contribuendo con sponsorizzazioni di prodotti che abbiamo utilizzato come regali o “ricordi” dell’evento per partecipanti.
Voi vi autofinanziate completamente: immagino sia davvero difficile tenere in piedi l’Associazione. La mancanza di fondi preclude la possibilità di organizzare eventi in posti diversi dal ristorante – ma qui il pubblico si deve prendere per la gola – e invitare personaggi reali: gruppi folk, musicisti, artisti, artigiani ecc. L’ideale sarebbe avere una sede “ISOLA” dove poter avere un’esposizione permanente e organizzare mostre periodiche di vario genere, anche per attirare più turisti. Finora ci siamo difesi egregiamente perché utilizziamo le ferie, o altre occasioni che ci portano sull’isola, per prendere contatti diretti e farci conoscere, per poi realizzare il tutto una volta rientrati qui. Ci aiuta il fatto che i locali che ci ospitano ci conoscono, sanno che organizziamo belle feste e portiamo gente sempre nuova, ci offrono un menu ricco a un prezzo abbordabile – per questa città – ed è comunque pubblicità anche per loro.
Avete tradotto un articolo di Antas sui Giganti di Mont’e Prama in giapponese. Una sfida. La storia giapponese ha visto un passaggio di vari popoli, accumunati da tecniche di sopravvivenza simili, che non hanno lasciato tracce, se non vasellame di vario pregio e, in tempi relativamente recenti – 5.000 a.C.-, delle statuette probabilmente legate al loro culto religioso, ma sono niente se paragonato a quello che abbiamo in Sardegna. Per questo penso che far conoscere la cultura nuragica ai giapponesi sia un motivo in più di vanto per la ricchezza della nostra isola.
Come ci vedono i giapponesi? I giapponesi ci vedono prima come italiani, poi iniziano a fare le differenze. Nel mio caso, essendo una persona discreta e riservata, mi sento spesso dire che sono “poco italiana”, allora rispondo che sono sarda.
Un sogno nel cassetto? Tornare a casa e portare tutto quello che ho imparato con me, vorrei realizzare a Cagliari un centro di studi giapponesi, in chiave semi seria, aperto a tutti, intenditori o meno, che faccia avvicinare queste due splendide terre e culture.
http://www.antas.info/
Inostri amati figli! Madre terra sarda vi ringrazia….speriamo che anche i nostri politici sostengano queste iniziative sardo culturali portate avanti con grinta, professionalità e tanta caparbieta. Brava Valeria, Eva ,Giovanni e Guido