LA GRANDE BUFALA DEI CERVELLI IN FUGA? IL TASSO D’EMIGRAZIONE DELL’ITALIA E’ INFERIORE RISPETTO A QUELLO DEGLI ALTRI GRANDI PAESI EUROPEI


di Gianni Balduzzi

Viviamo in un mondo globale in cui è sempre più possibile e frequente prendere la valigia e la propria professionalità e metterla a frutto laddove può essere più apprezzata. È quello che sta accadendo a molti italiani, ora più di prima. E tuttavia l’allarme generalizzato sulla “fuga dei cervelli” italiana è obiettivamente esagerato. Il numero di laureati che emigra, infatti, è inferiore alle 20mila unità e scende a 12mila se contiamo i 7mila italiani laureati che invece ritornano. Un esempio per dire che no, non c’è nessuna fuga di massa: la proporzione di italiani che emigra è inferiore, e non di poco a quella di francesi, spagnoli, tedeschi, inglesi che lasciano i rispettivi Paesi. Si tratta, semmai, di una convergenza verso i dati degli altri grandi Paesi europei. In Germania, per esempio, nonostante il record epocale di occupati e il raggiungimento, di fatto, della piena occupazione, il numero di emigrati è aumentato negli ultimi due anni, superando i dati pre-2004, periodo di stagnazione e alta disoccupazione. Sono stati quasi150 mila i tedeschi che si sono trasferiti all’estero. Per la Francia gli ultimi dati disponibili sono quelli del 2013, e nonostante il lieve calo dal picco del 2011 si superano i 200 mila emigrati, record europeo, e anche qui i valori sono superiori a quelli degli anni 2000. Certo, nelle statistiche entrano anche gli ex immigrati con nazionalità francese che tornano in patria, come accade nei Paesi di vecchi immigrazione, o i tanti ebrei che si trasferiscono in Israele, ma siamo pur sempre a valori più che doppi rispetto a quelli italiani. In Spagna come in Italia è in atto un aumento delle partenze, e nel primo semestre 2015 vi è stata un’ulteriore impennata. I dati annuali assoluti si avvicinano a quelli italiani, nonostante la popolazione sia inferiore. L’unico Paese in cui vi è stato un calo dell’emigrazione, almeno rispetto ai picchi di metà anni 2000 è stato il Regno Unito, Paese in boom economico rispetto al resto d’Europa e principale polo d’attrazione dei talenti del continente. Anche in questo caso tuttavia nel 2014 sono partite 128 mila persone, 40 mila più che in Italia. Nel complesso, volendo considerare solo questi grandi Paesi l’Italia risulta quello con il tasso di emigrazione inferiore: 1,46 abitanti per 1000 contro l’1,73 della Spagna, l’1,83 della Germania, l’1,98 del Regno Unito, e addirittura il 3,09 della Francia. Dovremmo quindi tirare un sospiro di sollievo? Pensare che allora in fondo le cose non vanno poi così male? In realtà il movimento di una parte dei laureati e dei lavoratori all’estero è fisiologico in una società moderna e dinamica. Si pensi alla grande finanza a Londra, che attira personale da tutto il mondo. Forse il bassissimo tasso di emigrazione che ha caratterizzato l’Italia di ieri non era segno di benessere, ma di poca integrazione con il resto del mondo avanzato. Allora non vi è tanto da lamentarsi tanto del fatto che alcuni talenti trovino la propria strada all’estero, quanto del fatto che non riusciamo a nostra volta ad attirarne altrettanti. Basti osservare il dato secondo cui l’Italia è il paese europeo con il minor numero di immigrati laureati.

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