di Mario Borghi
Manuel Attanasio, artista sardo poliedrico e decisamente sui generis, ha accettato di rispondere ad alcune domande (anche private e indiscrete). Eccovelo.
Ciao Manuel, grazie per la disponibilità. Partiamo subito con la domanda di rito: potresti raccontarci il maggior numero di cose di te nel minor numero di battute possibili, gossip compresi? Nato nel 1978, morto all’età di 29 anni a Porto Torres, rinato dopo un anno e mezzo a Milano, dopo aver visto la mostra dei 25 anni di Laurie Anderson; morto ancora dopo la morte di mio padre nel 2006. Rinato dopo la nascita di mia figlia nel 2007. Ancora vivo, residente a Sassari. In linea di massima sono un bravo ragazzo.
Sei un artista affermato. Adesso ti faccio una domanda indiscreta: si può vivere con l’arte (e quindi d’arte)? La questione pare molto complicata, ma in realtà è semplice rispondere se tracciamo dei parametri rispetto al concetto di “viverci, dall’arte”. Se, per vivere d’arte, intendiamo avere i soldi (guadagnati dai concerti, dalle mostre o dalla vendita delle opere) per pagare affitto o mutuo, avere un mezzo per spostarsi, fare la spesa e avere vestiti… be’, non ci vivo! Ma ho sempre inteso la condizione d’artista come un modo di vivere e percepire la vita, perciò tutto il resto del lavoro che compio quotidianamente è basato sull’essere e sentirsi artista. La scelta che ho fatto da principio, cioè quella di non scendere a compromessi col mercato, né con le mode, mi ha portato a fare sempre quello che ho voluto e con la massima liberta d’espressione. A 24 anni facevo concerti in solo, utilizzando solo la voce, poi i vari progetti che son seguiti hanno avuto sempre la peculiarità di essere alternativi, di nicchia (in Sardegna, perlomeno), perciò la possibilità di esibirsi o altro è venuta sempre meno.Ciò ha creato, però, una qualità del lavoro elevata e ora, dopo anni, se ne vedono i benefici.
Come intendi tu l’arte e con quali “modalità” ti/la esprimi? L’arte per me è un mezzo per comunicare bellezza, per risvegliare alla bellezza delle cose. L’arte deve smuovere… qualsiasi cosa; l’arte deve farti discutere, dialogare anche con te stesso, deve mandarti a casa diverso (possibilmente sereno o felice) deve spingerti, proiettare il tuo sguardo altrove, o non riuscire più a staccarlo da ciò che sta guardando.
I modi in cui ho operato in questi anni hanno toccato la musica, utilizzando principalmente la voce come strumento, il disegno e il suono nelle installazioni sonore nelle varie mostre. Ho sempre cercato un coinvolgimento multisensoriale nell’arte visiva, componendo o facendo comporre tracce sonore che completassero il lavoro visivo e cercando una qualità audio sempre migliore, in modo da indurre l’utente a provare il più possibile ciò che sentivo io davanti all’opera. I miei primi cinque o sei anni di attività artistica, quando avevo più o meno diciannove/venti anni, si sono concentrati nel cagliaritano, dove ho avuto la possibilità di investire nella posa di installazioni sonore, sempre molto elaborate sotto l’aspetto tecnico, con l’uso dell’acqua, dei suoni della terra, eccetera. Poi la musica, la voce e l’elettronica hanno contaminato i miei spazi e il mio modo di lavorare fino al 2012, con la mostra “La prima stanza” in cui ho disegnato, tornando all’aspetto analogico del mezzo “voce”, non più microfoni o opere da toccare, ma un qualcosa da guardare e da ascoltare. Ho concluso un mese fa un grande periodo di studio sull’installazione analogica con una mostra tenuta a Cagliari, e mi appresto a immergermi nel meandrico mondo dell’automazione elettronica applicata all’arte stessa. Credo comunque che tornerò presto con opere visive (solo da guardare!).
Hai dei maestri o dei capisaldi ai quali t’ispiri? Come artista attualmente non ho maestri, ma compagni di viaggio, defunti e non, che costantemente nel tempo hanno ispirato il mio modo di lavorare: Demetrio Stratos è stato un incontro fondamentale, poi ci sono Laurie Anderson, Steve Piccolo e Gak Sato (fondamentali per la mia ricerca nei suoni dell’installazioni), oltre a Fatima Miranda, ad Arvo Pärt, a Venetian Snares, adAlec Empire, a Berio, a Maderna, a John Cage, all’ermetismo nord europeo e alla buona pazzia della gente comune.
Se tu dovessi rinunciare a una delle tue attività artistiche, a quale diresti “addio”? Rinuncerei senza dubbio alle arti visive. La musica è la forma d’arte che più delle altre ho seguito e sulla quale ho investito maggior risorse, oltre a essere quella che mi smuove di più dentro.
Ci sono dei progetti, o collaborazioni, cui sei particolarmente affezionato o che ti hanno dato qualcosa in più? La collaborazione con Roberto Schirru, in arte Mow, che potete vedere nella foto accanto in un momento d’arte, è la più importante ancora in atto: insieme, abbiamo condiviso diversi progetti, sia in ambito musicale (menootto, iskeed, e ora mowman), sia installazioni sonore e tantissime altre cose. Ritengo Mow uno dei musicisti più raffinati e sofisticati allo stesso tempo, abbiamo raggiunto un metodo di lavoro estremamente personale. Marta Raviglia, poi, in ambito vocale, è la mia compagna di viaggio, assieme abbiamo registrato il disco Morfeo, una vera pazzia a due voci, e adesso stiamo portando avanti un progetto dal titolo Gli oscillanti; raramente due cantanti decidono di condividere lo stesso strumento nello stesso progetto, però questa unione ha funzionato fin dal primo momento in cui ci siamo incontrati.
La collaborazione con la coreografa Alessandra Mura è stata fondamentale per il coinvolgimento del corpo nel lavoro della voce, della musica sperimentale all’interno della danza; una collaborazione che va avanti da anni e che ha visto dato vita a diversi spettacoli. Inoltre, ricordo con immenso piacere Eugenio Colombo, che ha diretto l’orchestra Franco Ferguson, alla “Casa del jazz a Roma”, in cui cantavo come corista.
Ricordo con piacere anche Vincenzo Vasi e Francesco Cusa, conosciuti nell’ambito della registrazione di Flower in the Garbage, disco di sole voci diretto da Cusa. Ma anche tra gli amici ricordo con piacere le esperienze avute con Alessandro Zolo, Alessandro Carta – con cui ho collaborato tanto tempo fa, in alcune “improvvisate” – Simone Sassu e l’esperienza fatta con l’omaggio a John Cage, con Patrizio Fariselli e Alessandro Spanu, regista e fotografo fondamentale per la realizzazione del video Finex dei Mowman.
Per esperienza, come ti sembra che l’arte, in primis la tua, venga percepita dal pubblico? Potevo fare il cantante pop, o dipingere cose vendibilissime, ma non mi è mai interessato… e mi son preso sempre la responsabilità di tutto ciò. Non puoi piacere a tutti, soprattutto quando fai cose diverse dal solito. Ci sarà sempre qualcuno pronto a giudicare negativamente il tuo lavoro, questa è la normalità. Son spinto da altre motivazioni. Se il mio fare arte fosse solo relativo alla risposta positiva del pubblico, avrei gia smesso da tempo. A volte il pubblico non è pronto per accogliere la tua arte, ma non è detto che tu stia sbagliando o che tu non sia capace.
E dal governo? Avresti qualcosa da dire o suggerimenti? Un governo che investe così miseramente nell’arte ha bisogno di un solo suggerimento: lascio alla fantasia del lettore indovinare quale. Da poco, discutendo con un amico Sindaco, parlavo del fatto che a volte gli assessorati, come quello della cultura, che io ritengo il più importante – non perché io sia un artista, ma perché osservo come in tanti altri paesi l’aver investito in cultura abbia giovato a tutto il resto -, siano affidati a persone incapaci, che ben poco sanno delle dinamiche inerenti al movimento dell’arte. Questo, se rapportato a livello nazionale, è ancora più dannoso. Viviamo in un paese dove mancano solide realtà che ruotino attorno all’artista. Strutture che sostengano l’artista, che possano attutire la grande differenza che esiste tra essere un artista ed essere un artista in un’isola. L’artista non può far tutto da solo e in linea di massima sono pochi gli artisti con grandi capacita imprenditoriali.
Cosa vorresti fare “da grande”? Voglio dire, hai già in mente qualcosa, qualche direzione alternativa, o… Vorrei continuare a fare ciò che sto facendo in modo molto più intenso, trovare sempre più tempo per dedicarmi alla musica e allo studio di questa.
Grazie Manuel per il tempo che ci hai dedicato e non posso fare altro che augurarti un artistico ad majora
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