UNO STADIO AL CANTO DEL CIGNO E UNA TIFOSERIA CHE SI RITROVA: IL CAGLIARI, IL SANT’ELIA E IL BALLO PER LA SERIE A


di Vincenzo Sardu

Fa un po’ effetto vedere da vicino il Sant’Elia “affettato” e sapere, soprattutto, che da qui a tre anni e mezzo sarà finalmente soppiantato da un impianto moderno, bello e da frequentare ogni santo giorno. Per chi ci è quasi nato con questo gigante davanti agli occhi, e che lo ha “combattuto” nel nome di una clamorosa inadeguatezza negli ultimi anni sconfinata con la precarietà, il pensiero induce a fermarsi a osservarlo. Strano a dirsi, per tanti anni è stato la casa di pochi intimi, oggi è pieno. Non arriva la Juventus, non c’è il Milan, le squadre “straniere” nell’immaginario del sardo ultraordotosso non fanno parte del programma. C’è la Pro Vercelli, con tutto il rispetto possibile non un richiamo potenzialmente così attraente. Si potrà dire, è merito del periodo di festa, oggi è domenica. Mah, in passato è capitato di giocare di questi tempi eppure così pieno…

Ok, mano al biglietto. Ma prima voglio dare un’occhiata in giro. Manca più di un’ora al via, una passeggiata ci sta. L’organizzazione sembra buona, all’esterno. Si tarda ad aprire i tornelli, chissà come mai, all’una e venti ancora erano chiusi in vari punti dello stadio. Fa niente. Due o tre parcheggiatori abusivi (“L’auto è di mia madre, io ti dò qualche spicciolo ma te dacci un’occhiata per davvero di tanto in tanto”, faccio. “Tranquillo, non te la tocca nessuno”) una moltitudine rossoblù sciama dai vari punti di accesso. Mi avvicino a un capannello. “Mera genti oi” (tanta gente oggi, slang del posto). “Sì – rispondono – si spicciassero a farci entrare…”. Ma come mai così tanti spettatori? “Seus primusu e oi si binciri (siamo primi e oggi si vince, ndr). Bello però rivedere lo stadio pieno. “Tu lo chiami ancora stadio questo? Per fortuna sta cantando i titoli di coda (neologismo da brividi, ndr) ma oggi ci sta che la gente venga. I prezzi dei biglietti sono a portata di quasi tutte le tasche (verissimo, ndr) poi voglio vedere se anche oggi si gioca undici contro dodici”.

Ahi, territorio minato. Meglio svicolare e dare un’occhiata negli altri settori. Aggiro l’angolo ex maratona, fra il lato tribuna e la curva nord e lentamente procedo. Noto una lunga fila in paziente attesa davanti ai tornelli, a quel punto aperti. E’ la curva cosiddetta “calda” del tifo cagliaritano, facile supporre che i controlli siano un pochetto più pignoli. Resto a osservare e noto la pazienza di tutti coloro che attendono il proprio turno. Faccio ricorso allo slang: D’ogna borta aicci? (Ogni volta così?). “In questo posto le barriere fra tribune e campo non ci sono da anni e qui non è mai successo nulla” mi fa un signore di mezza età, sciarpa rossoblù di ordinanza. Vero, e annuisco. C’è capitata pure una retrocessione ma nessuno ha mai avuto mezzo problema. Cori e pernacchie sono una cosa, non mancano in nessuno stadio, il resto è un comportamento ineccepibile. Annuisco ancora, e faccio per andar via quando sento la stessa voce: “Scrivilo però”. Sgamato, mi volto, strizzo l’occhio e sorrido, ricambiato. Vado verso i distinti.

Altro angolo, stesso fiume di allegre sciarpe rossoblù. Famiglie. Allargo verso i parcheggi e vengo travolto da profumi che grattano nella mia memoria sensazioni conosciute domenicalmente trenta, quaranta anni fa. Salsicce calde, pane sardo tagliato a fette e cannonau. Succedeva così anche all’Amsicora, quando il Cagliari vinse lo scudetto. Rito beneaugurante? Osservo le targhe delle auto da cui esce quella bontà: province del centro e nord Sardegna: questo Cagliari sta riconquistando i sardi a ogni latitudine, sarà contento il presidente Giulini. Non puoi dire no a chi ti offre un bicchiere di vino e una fetta di pane. Spunta fuori l’immancabile pecorino semistagionato: sì, questa è davvero la Sardegna che conosco io. Passa uno sconosciuto ma ce n’è pure per lui. Scambio due battute, due auto, otto persone fra adulti (5) e ragazzi (3), tutti da Nuoro. Tutti hanno un sogno: finire la giornata con un balletto alla Tello. Non è un caso.

Aggiro la zona spogliatoi, fosse mai che sbuca qualcuno che mi conosce, preferisco la domenica in solitudine. Proseguo e volto verso la curva sud. Gli spazi sono più stretti, lì mi becca una vecchia conoscenza. Baci e abbracci, da quanto tempo: mento spudoratamente, devo andare in tribuna stampa, due chiacchiere per raccontarsi gli ultimi quindici anni e via. L’arrivo è in vista. Altro angolo, fra la sud e la tribuna centrale, lì mi accorgo dell’immane spreco di spazio che il nuovo stadio riempirà di cose più utili e sfruttabili. Osservo a lungo e penso, cosa avevano in mente i progettisti di questo vecchio gigante malato? Erano gli anni della grandeur rossoblù, c’era uno scudetto da celebrare in un nuovo stadio e nessuno avrebbe mai pensato alle partite in diretta tv. In quegli anni tutto nasceva e finiva con “Tutto il calcio minuto per minuto” che poi neanche tutto era, visto che cominciava con i secondi tempi.  Radio e basta. E’ la modernità, ragazzi, facciamocene una ragione.

Fra una chiacchiera e l’altra, pane e salsiccia più il cannonau, la circumnavigazione del recinto esterno del Sant’Elia mi ha preso quasi un’ora. Mancano quaranta minuti scarsi al fischio d’inizio. E’ tempo di entrare a vedere la partita.

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