di Massimiliano Perlato
Il Giappone è necessariamente una terra che va vissuta con passione, altrimenti rischia di rimanere indigesta per la sua distanza siderale dalle nostre abitudini. Questa passione continuo e continuerò a portarmela dentro, anche se mai per la mia carriera di ricercatore, dovessi in futuro lasciare questo paese.
Sono le parole di Guido Cossu, classe 1980, originario di Pozzomaggiore dove ha vissuto sino ai tempi delle scuole superiori. Parla spesso della sua Sardegna anche ora che vive “dall’altra parte del mondo”: della sua adolescenza, della piazza principale del paese con la sua chiesa dedicata a San Costantino. Dei suoi amici, della sua famiglia.
L’isola per me è sempre stata una costante oltremare prima e oltreoceano poi.
Per Guido, prima del Giappone è arrivata l’Università a Pisa. Lì, all’ombra della torre pendente, gli anni trascorsi sono stati diversi: tutto il percorso universitario e il successivo dottorato.
La scelta di Pisa è stata quasi naturale per uno che vuole studiare fisica, visti gli illustri precedenti della città nel campo. Scelta agevolata anche dalla presenza di parte della famiglia nei dintorni. La dimensione della città è quella che ritengo ideale per muoversi senza una macchina, mezzo che cerco di evitare, e in ottima posizione per viaggiare, seconda passione che gareggia con la fotografia e tutto quello che gira intorno alle arti visuali. Pisa inoltre, essendo importante città universitaria attira tradizionalmente molta immigrazione che permette la creazione di numerose associazioni culturali regionali. Sin dai primo periodo all’università sono entrato in contatto con l’Associazione “Grazia Deledda” che negli anni è diventata un importante centro di promozione della nostra cultura e di interazione tra i molti sardi che vivono in Toscana. Gli eventi ai quali ho partecipato negli anni mi hanno mostrato quanto sia apprezzata una cultura sulla quale avevo sentimenti altalenanti nel periodo in cui la vivevo da dentro. E’ stato un cambio radicale di prospettiva; un tipico esempio di cliché sul distacco che aiuta a comprendere meglio precedenti legami.
Parlaci del tuo percorso lavorativo come Fisico?
Il lavoro che si sceglie chi studia Fisica, e quello di ricercatore in genere, porta a spostarsi frequentemente nel mondo, in particolare nei primi anni successivi a laurea e dottorato. Non solo è necessario per la formazione di conoscenze ma anche auspicato per lo sviluppo di un network di conoscenze e collaborazioni. Il mio caso è in media anche se con una eccezione,perché rimasto sempre nello stesso istituto di ricerca, all’estero, da ormai sei anni. Dopo il dottorato presso la Scuola Normale Superiore di Pisa ho preso al balzo l’occasione di una posizione aperta nel paese che mi ospita da tanto tempo, in uno dei suoi più grossi centri di ricerca, vicino ad una delle città più difficili da descrivere che abbia mai visitato. Tokyo, Giappone, estremo oriente, circa dodici ore di volo dal più vicino aeroporto in Italia.
Perché il Giappone e come si è sviluppata la tua occupazione?
A parte le forti motivazioni personali, sapevo che avrei trovato un ambiente con mille possibilità nel mio ambito professionale. Il mio lavoro è in poche oscure parole: fisico teorico delle alte energie. E, per rendere ancora più oscura la materia, ci aggiungiamo anche l’uso di potenti supercalcolatori per condurre gli studi. In breve, con il team dei colleghi del KEK di Tsukuba, tramite l’uso di simulazioni al computer che possono anche occupare edifici interi, studiamo le proprietà delle particelle fondamentali che compongono il nostro universo, le loro interazioni e il loro comportamento in varie condizioni “ambientali”, sino al periodo immediatamente successivo al Big Bang. Gli stadi della ricerca, oltre all’intuizione fisica, richiedono le capacità tecniche di creare i programmi che dovranno eseguire, anche per mesi, i complessi calcoli che ci permettono di avere gli elementi per confermare o smentire le ipotesi di lavoro. La potenza di calcolo richiesta è enorme e i costi salgono di conseguenza. Approdare in Giappone per un lavoro che richiede computer di dimensioni importanti è molto naturale, essendo una delle “superpotenze” nel campo.
E con la lingua, come ti sei trovato? Non è stato un ostacolo per l’assunzione?
La lingua, soprattutto quella scritta, è ancora a volte un ostacolo che comunque è superato grazie allo staff dei laboratori del KEK. Prima assunto come post-doc, quindi con un contratto che doveva finire in due anni e mezzo, successivamente mi è stato chiesto se volevo far parte del progetto del Joint Institute for Fundamental Sciences per ottimizzare l’utilizzo dei supercalcolatori nell’ambito di vari campi scientifici e veicolare queste conoscenze tra i ricercatori del Giappone. Il progetto, legato al supercomputer K (leggi ‘chei’) di Kobe, dura cinque anni e io ho aderito entusiasticamente. Questo mi ha permesso di mettermi a lavorare con più tranquillità sulla transizione ad un nuovo codice che abbiamo sviluppato insieme ad un collega e del quale sono il primo responsabile per la struttura e l’ottimizzazione. La mia passione per le due materie, fisica e informatica, ha fatto il resto e in questi anni avremo i primi risultati degli studi. L’ambito scientifico, le connessioni, e i mezzi a disposizione per il nostro lavoro sono all’avanguardia, come lecito attendersi da una nazione come il Giappone.
Seppur a migliaia di chilometri di distanza, comunque la Sardegna è sempre presente.
La Sardegna si è ripresentata anche in quest’isola così distante ma alla fine così simile. Circa quattro anni fa abbiamo fondato il primo circolo sardo di Tokyo, l’associazione Isola-Giappone (www.isolagiappone.com) con gli amici Valeria Pirodda, Eva Cambedda e Giovanni Piliarvu. Negli anni stiamo portando avanti, con entusiasmo, una serie di attività per mettere in contatto i due mondi, per aprire un ponte sino all’estremo oriente. In Giappone sono molto attratti dalla cultura straniera, specie se “esotica” come appare la nostra, essendo poco o per nulla conosciuta (talvolta ignorata dalle mappe dell’Italia). Perciò abbiamo gioco facile a far appassionare i partecipanti agli eventi alla natura, alle lontane tradizioni della cultura sarda. Abbiamo parlato di cucina, grazie ad un ottimo ristorante sardo proprio a Tokyo, di carnevale, di musica e letteratura, presentando un libro di Milena Agus recentemente tradotto in giapponese e portando il jazzista nuorese Angelo Lazzeri sino a Tokyo. Così come la presentazione dei “Quaderni Giapponesi” con Igort Mangaka.