di Natascia Talloru
Paola Bacchiddu, è una giornalista di origini sassaresi. Sin da bambina vive in diverse città italiane con la famiglia e dopo una parentesi cagliaritana, si stabilisce a Milano, dove si forma e studia, conseguendo la laurea in lettere moderne all’Università degli Studi di Milano. Ha lavorato come giornalista, video maker, web video reporter, co-founder e stockholder con diverse testate tra cui Panorama, L’Espresso, Il Foglio, Agenda Digitale, Linkiesta e L’Unione Sarda. Responsabile comunicazione per la lista Tsipras nel 2014, a partire da settembre dello stesso anno fa parte della squadra di Michele Santoro nel programma televisivo Servizio Pubblico. Attualmente vive tra Milano e Roma e si occupa della rubrica di politica “La velina” sul quotidiano online Affaritaliani. Con lei parleremo del suo percorso professionale, di giornalismo, e del suo duplice amore per la Sardegna e Milano.
Sarda di nascita, milanese d’adozione. Più volte hai dichiarato apertamente la tua passione per Milano. Ti senti dunque più sarda o continentale? No, mi sento sardissima, le radici, la genetica e il carattere della Sardegna sono molto forti. Tra l’altro ho i miei parenti e amici, ho una casa al mare e ci vado sempre. Insomma non rinnego le mie origini sia chiaro. Milano secondo me è l’unica città in Italia che si può considerare di respiro europeo, quest’anno in particolare, con Expo si è parlato di Rinascimento milanese. In realtà amo Milano da tempi remoti, tutti la odiano ma secondo me è pieno di stereotipi. E’ una città che dà una possibilità a tutti, se ti dai da fare ovviamente.
In questi anni ti sei distinta per essere un personaggio diretto e tagliente, volendo definirti cosa penseresti di Paola Bacchiddu? Oddio, che domanda complicata! Cosa direi? Mah, forse che è un po’ provocatrice. Se non mi conoscessi penserei questo.
Un tempo il giornalista imparava il mestiere come si dice “a bottega”, oggi invece, anche in questo lavoro, sono fondamentali titoli e preparazione. In quale delle due versioni di giornalista ti ritrovi e cosa ha permesso, nel tuo caso, il raggiungimento di questi risultati così giovane? Ah grazie per il giovane, ho quarant’anni (ride, ndr). Forse la flessibilità lo ha permesso, se si può parlare di grandi risultati, non voglio fare la modesta ma mi sento sempre in cerca di una riqualificazione. Riconosco di essere molto più flessibile e curiosa rispetto ad altri miei colleghi. Questo mi ha consentito di cambiare modalità di lavoro, ogni volta, tuffandomi dentro. Credo sia una dote diventata indispensabile oggi. Inizialmente non era una caratteristica così diffusa, per niente. Anzi, era il 2008 quando ho iniziato a montare in digitale e a riprendere con la telecamera, tutti mi prendevano in giro, mi dicevano che io non ero una giornalista vera…poi invece!
Ho letto che hai subito un processo, sei stata rinviata a giudizio e in seguito assolta con formula piena per un articolo pubblicato su Linkiesta. In quel caso la posizione del direttore fu assolta a monte per mancata responsabilità. Ritieni via siano ancora delle differenze legislative tra carta stampata e online e, di questi tempi nei quali dovrebbe già essere tutto regolamentato, cosa si potrebbe fare a tal proposito? Si può fare molto, c’è un vuoto drammatico! All’epoca chiamai in causa il direttore, e forse fui fraintesa, non per dire dovete punire anche lui, come alcuni hanno accusato, ma per dire che la responsabilità o è di tutti o non è di nessuno, il singolo giornalista non può essere lasciato solo perché scrive su un giornale online. Cioè mi assumo la mia responsabilità ma non da sola. Purtroppo oggi si discute ancora in Commissione della riforma di legge sulla diffamazione, e credo sia passata al Senato adesso, ma trovo che non si risolverà la questione perché politicamente non c’è un alto interesse a risolverla. Da questo punto di vista siamo in ritardo.
Recentemente sul tuo profilo Facebook hai pubblicato questa frase: un giornalista non deve piacere, un giornalista deve informare. Credo si possa ricollegare alla caratteristica in sé che un buon giornalista dovrebbe possedere, quella del distacco emozionale. In questa affermazione c’è del personale oppure è riferita a qualche fatto in particolare? C’è del personale, riferita alla mia esperienza e a quella di altri, ma è legata a una cosa che ho scritto e che non è piaciuta politicamente, sono stata attaccata, ma non succede solo a me. Penso che in Italia ci sia troppa piaggeria tra i giornalisti, e forse chi ha fatto più carriera, e lo dico con molta franchezza, non è per motivi legati al merito. Questo mi dispiace perché l’Italia è un paese meraviglioso che avrebbe bisogno di libertà di informazione e indipendenza. Ci sono tantissimi giornalisti, invisibili, che non sono star in televisione o persone conosciute ma che fanno egregiamente il loro lavoro. Questo vorrei dirlo perché molto spesso ci trattano come un blocco unico. Ma non è vero, ci sono persone coraggiose e bravissime.
Paola, nel 2014 sei stata la responsabile comunicazione per la lista Tsipras, oggetto di critiche per una scelta provocatoria che facesti a suo tempo. Ti sei pentita di quel fatto e pensi sia stata utile al raggiungimento del tuo scopo?E’ possibile si debba arrivare a esporre un sedere per poter attirare l’attenzione sulle vicende politiche e come vedi oggi la politica in Italia? No, non mi son pentita e assolutamente lo rifarei. E penso abbia contribuito al lavoro di tanti altri. Sai meglio di me che il lavoro di tanti, se è invisibile a livello mediatico, è come se non esistesse, purtroppo aggiungo. Poi, esporre un sedere…! A me sembrava una mia foto al mare, certo un po’ provocatoria e quello era l’intento. E’ vero, ci siamo ridotti a questo! La politica è diventata urlata, molto repressista, la sostanza delle notizie si perde. Ma questo è il nostro contemporaneo. Noi dobbiamo lavorare e operare in questi tempi quindi o ti adegui in qualche modo oppure è difficile.
Tempo dopo sei stata assunta nel programma televisivo di Michele Santoro. Cosa ha rappresentato per te questa esperienza in TV? C’è stato qualcosa che non ti è piaciuto? Ha rappresentato un’ottima opportunità. Lavorare con Michele Santoro è lavorare con la serie A, quindi sono grata a lui che mi ha assunto e mi ha dato questa occasione. Forse oggi ciò che non mi piace della televisione, e non parlo di Michele Santoro in particolare, è la superficialità. A me piace l’approfondimento ma i talk-show oggi mi sembrano troppo superficiali. Ho accusato questa cosa quando ho lavorato in TV, non per Michele Santoro, ma per tutto il sistema in generale. Lui con intelligenza ha pensato di non proseguire con il talk-show, e credo sia stata la scelta giusta.
Ho sbirciato il tuo blog unacronistasullaluna.wordpress.com che ho trovato tra l’altro parecchio divertente, nel quale parli con sarcasmo degli uomini. Parresti un tantino femminista dai contenuti. Ti consideri in questo modo? No, mi ritengo realista (ride, ndr). Trovo che l’Italia sia un paese estremamente e gravemente sessista. In realtà ho degli amici maschi meravigliosi, splendidi, forse alcuni persino più delle amicizie femminili, perché magari non ci sono le solite cose che ci dividono a noi donne, stupidamente. Ma questo è un paese ritagliato attorno agli uomini e per gli uomini, una donna fa molta fatica. Infatti mi sorprendo quando spesso si parla di attualità o anche della cultura di alcuni paesi islamici, perché in fondo non dico che siamo simili, ma per certe cose credo che tutto questo grande progressismo nei confronti della donna sia inesistente.
A proposito della Sardegna, cos’è per te in poche parole e come la vedi osservandola dall’esterno? La Sardegna ha una natura meravigliosa, orgogliosa, dignitosa, tenace soprattutto. Forse quello che compromette la Sardegna è questa mentalità assistenzialistica dove si pensa che qualcun altro debba venire a risolvere le questioni. Tutti sono separati dentro, sono un po’ invidiosi. Purtroppo quest’estate è successa una cosa spiacevole, per farti capire. Io ho una casa al mare a Santa Teresa di Gallura. Un giorno mi sono arrabbiata perché vedevo che alcuni locali praticavano prezzi diversi a seconda di chi ci passasse, se del posto oppure no. Mi sono così arrabbiata che ho pubblicato un pezzo su L’Unione Sarda, con gli scontrini e i differenti prezzi. E’ successo il finimondo, mi hanno querelato, adesso vedremo se arriverà, e poi minacce, insomma le solite cose, puoi immaginare! Mi ha molto ferito. Mi hanno considerato così, una che arriva da fuori e si permette di…Allora anzitutto io sono sarda e anche se non lo fossi avrei tutto il diritto di annunciare questa cosa. Ecco, vedo che la Sardegna soffre in queste divisioni. Se ci fosse più unione e un saper anche guardare i propri difetti in questo caso forse sarebbe diverso.
Domanda di rito, che consiglio ti senti di dare a chi oggi vorrebbe fare il giornalista come mestiere?Si può vivere di giornalismo? Si, si può vivere di giornalismo. E penso che le persone più giovani di me sappiano benissimo già cosa fare. Il mestiere è molto cambiato, il linguaggio pure. I giovani sono nativi digitali insomma. Consiglio di non arrendersi se questo è un sogno, ci sono tante difficoltà per tutto quello che uno vuole nella vita, non è solo il giornalismo, ma non bisogna mollare. Le cose che devono rimanere ferme sono la passione, il senso della notizia, il senso dell’onestà nei confronti delle persone che si informano. Ecco, queste non sono cambiate e non cambieranno mai, per chi vuole fare questo mestiere.