RISCHIO AMBIENTALE E INDUSTRIALE: I DATI DELL’ITALIA IN PERICOLO CON IL “CASO SARDEGNA”


di Lucia Schirru

Alluvioni, frane, esondazioni, smottamenti. E vittime, purtroppo. Basta guardare le cronache di questi giorni per capire come il cosiddetto “rischio idrogeologico” in Italia sia concreto e drammatico, con il tributo di vite e danni che ogni anno la popolazione è costretta a pagare. Ma che succede se questo rischio ambientale viene incrociato con un altro dato, quello della presenza di impianti produttivi pericolosi sul territorio? Quanto aumenta l’esposizione potenziale al pericolo per gli abitanti delle zone nelle quali i diversi elementi di criticità – quelli naturali e quelli creati dall’uomo – si sovrappongono? È possibile determinare un indice di pericolo complessivo? Sono tre le regioni italiane, tutte del Nord, a salire sul poco invidiabile podio delle popolazioni esposte in contemporanea a più pericoli: la Val d’Aosta, la Liguria e l’Emilia Romagna. Ma tutta l’Italia deve difendersi da frane e alluvioni che spesso espongono al peggio persone, scuole o beni culturali, e anche dagli stabilimenti industriali con pericoli di incidente rilevante. E dai terremoti, impossibili da controllare. Lo rivela il nostro indice di pericolo per la popolazione ottenuto elaborando, su base territoriale, i dati riportati sull’ultimo Annuario dei dati ambientali 2014 – 2015 redatto e presentato dall’Ispra, l’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale, ente pubblico di ricerca sottoposto alla vigilanza dal ministero dell’Ambiente. Un lavoro capillare quello dell’Ispra, realizzato da un team di ricercatori e composto da migliaia di pagine, che permette di associare i dati della pericolosità naturale dovuta a frane e ad alluvioni, e il pericolo antropico dovuto alla presenza degli stabilimenti industriali suscettibili di causare un “incidente rilevante” (RIR), fotografando così l’esposizione globale di un territorio e della sua popolazione al pericolo. Affiancando infine la sismicità delle città, il quadro del pericolo italiano per la popolazione viene completato. Perché sia importante incrociare i dati del pericolo naturale e di quello antropico in un territorio come quello italiano, lo spiega Francesco Astorri, esperto del servizio Rischio Industriale di Ispra: «Perché l’Italia,  a causa della sua  conformazione geologica-geomorfologica e socio economica, è  un Paese dove notoriamente sussiste una “coabitazione” di aree  esposte a pericoli di origine naturale (frane, alluvioni e terremoti), aree densamente popolate e  aree industriali che comprendono anche gli stabilimenti con pericolo di incidente rilevante». Il Nord più esposto al rischio Secondo l’indice di pericolosità per la popolazione, dunque, le tre regioni italiane più esposte devono fare i conti con un rischio maggiore, anche se per il solo pericolo alluvioni la testa della classifica spetta proprio all’Emilia Romagna (col 63,6% di popolazione a rischio). Ma la distanza tra il podio e le otto regioni che, in blocco, si susseguono nella classifica dell’indicatore, è veramente minima: Friuli Venezia Giulia, Lombardia, Molise, Piemonte, Sardegna, Toscana, Umbria e Veneto, si trovano infatti sullo stesso livello di pericolosità, anche se a determinare il rischio non sono sempre gli stessi fattori. In Toscana a incidere sul valore è la percentuale di persone esposte al pericolo di alluvione (il 26%), mentre in Friuli e in Sardegna è il pericolo antropico ad avere un peso maggiore. Eccezione tra le regioni del Nord è invece rappresentata dal Trentino Alto Adige. La popolazione corre infatti meno rischi rispetto alle regioni limitrofe, posizionandosi in coda alle classifiche di pericolo in due su tre degli indicatori che compongono l’indice. C’è poi il caso Sardegna. Se la natura preserva il territorio sardo almeno dai terremoti,– si contano ancora i danni dell’evento alluvionale di pochi giorni fa e quello del 2013 che causò la morte di quasi 20 persone – l’uomo contribuisce invece a esporlo al pericolo. La Sardegna è una regione con un livello di rischio naturale mediamente basso, ma un’elevata pericolosità antropica. Il numero di stabilimenti RIR, che in assoluto è abbastanza ridotto, diventa rilevante se rapportato alla popolazione residente. L’Isola è al terzo posto per rischio antropico, preceduta solo da Valle d’Aosta (altra regione a bassa densità di popolazione) e la Lombardia. L’indice non tiene conto della distribuzione disomogenea degli stabilimenti RIR nelle varie regioni, ma nel Sud Italia la componente antropica del pericolo risulta comunque più bassa (ci sono meno stabilimenti), con un conseguente rischio totale anch’esso inferiore. Ciò è frutto del fatto che, nel Meridione e nelle Isole, gli stabilimenti RIR sono concentrati in corrispondenza dei grandi poli industriali; il che si traduce in una riduzione, in termini assoluti, della popolazione esposta al pericolo dovuto ad attività umane.

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