TUTTO CIO’ CHE (NON) ABBIAMO IMPARATO DALL’ALLUVIONE TRAGICA DEL NOVEMBRE 2013

Il ponte sul rio Siligheddu a Olbia


di Nardo Marino

Il ponte sul rio Siligheddu è un maledetto tappo. Lo era anche nel novembre del 2013, tant’è che venne semidistrutto dalla furia dell’acqua. Lo ripararono a regola d’arte. E il ponte tornò esattamente come prima. Non notate qualcosa di strano? Se quel ponte si è rivelato un tappo, chi è il cretino che ha deciso di rifarlo identico? La responsabilità è nella filiera che accompagna certi iter burocratici. E’ successo più o meno questo. Siccome i fondi della protezione civile stanziati per le emergenze non prevedevano costruzioni ex novo ma il solo ripristino delle opere danneggiate, quei soldi sono serviti a contribuire a un nuovo disastro. Me lo ha spiegato il sindaco di Olbia, rispondendo a precisa domanda. Lui ha pure provato a convincerli a costruire un ponte diverso, con una sola arcata, in grado di far defluire l’acqua senza ostacoli. Gli è stato risposto che i soldi avevano una destinazione diversa. Ripristinare, non costruire ex novo. La morale è un piatto tipico di questo cazzo di Paese: ci sono norme scritte con i piedi che non tengono conto del buon senso. Il conto, però, lo pagano i cittadini. E oggi, quel ponte, viene demolito. Con buona pace di chi, magari, avrebbe speso altri soldi per … ripristinarlo. Chi amministra le città, spesso, deve fare i conti con regole che sembrano appartenere a un mondo che non c’è. La natura se ne sbatte dei tempi tecnici. Se qualcosa di urgente e vitale deve essere fatto, allora sarà bene farlo subito, non “una volta concluso l’iter”, soprattutto se il suddetto iter prevede lunghi anni di attesa. Dopo l’alluvione del 2013, l’amministrazione di questa città è riuscita a preparare e farsi approvare un progetto destinato a mettere in sicurezza la città, attraverso la costruzione di vasche di laminazione. Hanno trovato anche i soldi, 120 milioni di euro. I primi cantieri apriranno all’inizio del 2016. Gli amministratori hanno sottolineato a più riprese come Olbia sia riuscita a concludere l’iter e trovare i danari in così poco tempo. In qualche misura è vero, nel senso che conosciamo bene la tempistica delle cosiddette grandi opere.  Eppure non è bastato, non è servito. L’alluvione odierna serve a ribadire un concetto semplice semplice: quando c’è un’emergenza, va risolta subito, soprattutto se sei consapevole che potrebbe verificarsi di nuovo e in qualunque momento e che potrebbe mettere nuovamente a repentaglio la vita delle persone. Molte famiglie, oggi, si ritrovano nella stessa condizione di due anni fa. Chi era riuscito a risollevarsi spendendo soldi e facendo sacrifici, si ritrova nel fango. Vorrei dare un consiglio all’amministrazione comunale riguardo la questione dei contributi di solidarietà. Impedite alla Croce rossa di raccogliere soldi. Hanno impiegato due lunghi anni per distribuire oltre 5 milioni di euro donati dai cittadini italiani, facendo infuriare tutti con una sfilza di lungaggini. Un buon motivo per trovare altre soluzioni, meno burocratizzate e possibilmente più vicine all’epicentro del disastro che a quello del potere. Non è ancora tempo di bilanci, sia chiaro. Occorrerà perlomeno attendere che il cielo plachi la sua furia. Però alcune considerazioni in merito a questo disastro si possono già avanzare. La prevenzione è servita a rendere consapevoli i cittadini sui rischi che si corrono. In tanti hanno avuto l’accortezza di parcheggiare le rispettive auto nei punti più alti dei quartieri a rischio. L’allerta è stata pubblicizzata adeguatamente e mi piacerebbe vedere, oggi, le facce di quanti hanno utilizzato fiato e tastiere per spendere abbondanti dosi di sarcasmo nel criticare la chiusura delle scuole e provvedimenti definiti eccessivi e allarmistici. Tutto era stato ampiamente previsto e tutti sapevano che sarebbe potuto accadere. Quanto all’acqua, non la può fermare nessuno se non un serio progetto che ponga rimedio alla scellerata espansione che, negli anni, questa città ha deciso e scelto di subire. Per far ciò, è necessario che qualcuno paghi. Ci sono terre e forse case da espropriare, è ovvio, perché servono spazi. Ma la parola esproprio genera nervosismi, seppur leciti. Nessuno è contento di vedersi sottrarre ciò che gli appartiene. Meno plausibile è il modo in cui parte degli stessi politici fautori del progetto anti-alluvione abbiano innestato una sorta di retromarcia, avallando le proteste degli espropriati, forse per conservare consensi in vista delle amministrative della prossima primavera. Ma come? Era chiaro già dal 2013 che “nulla sarà più come prima” e che i sacrifici sarebbero stati inevitabili. Solo parole? Davvero non avete il coraggio di difendere, a costo di perdere consensi, un progetto di questa importanza, destinandolo a compromessi che potrebbero ridurne l’efficacia? Suvvia, abbiate un po’ di coraggio. Siete stati eletti proprio per questo.

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