di Giovanni Runchina
Scartata incredibilmente dall’Italia, accolta a braccia aperte dall’Inghilterra. Ecco un’altra, purtroppo ordinaria, storia di dissennatezza con due protagoniste: l’università italiana che si conferma primatista in dissipazione di talenti e una ricercatrice cagliaritana, Francesca Letizia. Ventotto anni, laurea col massimo dei voti in Ingegneria Aerospaziale al Politecnico di Torino dove è stata premiata come migliore studente del suo corso, vive e lavora a Southampton. Qui fa la fortuna dell’Astronautics Research Group assieme ad altri sette italiani sulle diciassette persone in organico tra docenti e ricercatori. «Io sarei voluta rimanere nel mio Paese– racconta – ma non è stato possibile. Dopo la laurea specialistica ho fatto domanda per una posizione di dottorato al Politecnico di Torino, che non ho vinto. Questo è dipeso sia dalla mancanza di fondi per la ricerca, sia dal fatto che spesso la selezione in campo accademico non avviene solo in base al merito».
Archiviati i bizantinismi italiani, tanto infarciti di regole quanto vuoti di prospettive, Francesca cerca un’occasione all’estero e la trova in un batter di ciglia, con una semplicità sconfortante. «Mi hanno suggerito un sito www.findaphd.com dove le università inglesi pubblicano le posizioni disponibili; ne ho trovato una molto simile all’argomento della mia tesi specialistica, all’interno del gruppo di ricerca di Southampton, che è rinomato nel campo dei detriti spaziali. Ho inviato la domanda e sono stata convocata per un colloquio, dopo neanche una settimana mi hanno comunicato che ero stata scelta. Ho avuto da subito la sensazione che gli esaminatori avessero un reale interesse al mio curriculum e fossero convinti delle mie capacità, così nell’ottobre 2012 mi sono trasferita. Come sostegno economico al mio dottorato, ho ricevuto una borsa di studio “Amelia Earhart Fellowship” assegnata ogni anno a trentacinque donne al mondo impegnate in studi connessi all’ingegneria aerospaziale. Ho presentato il mio lavoro in diverse conferenze internazionali e sono stata visiting researcher al Politecnico di Milano e all’Agenzia Spaziale Europea (ESA) dove mi hanno coinvolta in due progetti. La preparazione che ho ricevuto mi è stata utile perché sono arrivata a Southampton con una solida formazione di base in matematica, meccanica orbitale e calcolo scientifico. Questo non è valido solo per me ma per la maggior parte dei miei connazionali. Ritengo che l’università italiana dia una formazione teorica molto forte e più profonda rispetto a quella inglese. I laureati delle università inglesi hanno una preparazione pratica che li rende più pronti per il mercato del lavoro, mentre noi siamo più appetibili nel campo della ricerca».
La sua specializzazione è lo studio della dinamica dei detriti spaziali, materia complessa che attira interessi – accademici e non – sempre crescenti. «Mi occupo di sviluppare un modello sull’evoluzione di nuvole di frammenti generate da esplosioni o da collisioni tra satelliti; solitamente si seguono gli oggetti più grandi di cinque, dieci centimetri ritenuti i più pericolosi e anche i soli individuabili da terra con i radar. Considerare pure quelli di grandezza inferiore renderebbe le simulazioni al computer troppo onerose, tuttavia quelli di un centimetro possono distruggere un satellite. Per queste ragioni si tenta di adottare sistemi capaci di considerare schegge più piccole».
Sfida affascinante, a livello personale e di team: «Il mio sforzo è capire esattamente le potenzialità del modello su cui sono impegnata, includendo un numero sempre maggiore di forze e di elementi che influenzano le nuvole di frammenti, così da vedere se tale approccio può essere generalizzato all’intera popolazione di detriti spaziali. Per quanto concerne il gruppo di lavoro, invece, ci si sta orientando sulle mega-costellazioni, formate da migliaia di satelliti. Comprenderne il loro impatto sulla sostenibilità dell’uso dello spazio intorno alla terra è essenziale. Nel lungo termine si cercherà di stabilizzare la quantità di detriti spaziali ma, per fare ciò, sarà indispensabile approntare sistemi atti alla rimozione di una buona percentuale di quelli non funzionanti».
Forte di un’esperienza che le ha regalato tre A – autonomia, autostima e autorevolezza, il massimo del rating per un ricercatore – Francesca parla con pragmatismo delle prospettive personali e di chi fa ricerca in generale: «Rientrare? Al momento sono un po’ scettica. Recentemente a una conferenza mi è capitato di parlare con rappresentanti di aziende italiane in campo spaziale e alla mia domanda sulle possibilità di lavoro hanno risposto consigliandomi di restare in Inghilterra. Nel nostro Paese, inoltre, ci sono altri problemi strutturali rilevanti; su tutti gli stipendi più bassi e un welfare meno organizzato. Andarsene di casa non è semplice ma, a volte, non ci sono alternative. Per chi è interessato ad argomenti in ambito spaziale, suggerisco di controllare il sito dell’ESA dove si possono trovare occasioni per studenti di diverse età. Per esempio, un progetto molto interessante si chiama YGT (Young Graduate Trainee) rivolto a chi ha appena finito la laurea magistrale. La competizione è molto dura ma preziosissima. Per quanto mi riguarda, entro l’anno dovrei finire il dottorato e poi farò qualche mese sempre a Southampton per terminare un progetto finanziato dall’ESA. Per il futuro spero di continuare a fare ricerca e, sul lungo termine, mi piacerebbe contribuire alla progettazione di una missione reale».
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