di Neria De Giovanni
E’ stato veramente emozionante vedere e leggere su FB tanti commenti a ricordo della morte di Grazia Deledda avvenuta il 15 agosto del 1936. Il nipote Alessandro Madesani Deledda ha postato un preziosissimo video in cui Maria Carta, sì la grande e indimenticabile Maria Carta, impersona Grazia in una intervista impossibile nella trasmissione omonima del giornalista Oliviero Beha. Giovanni Vacca, della Associazione culturale -Coro Voches ‘e Ammentos de Garteddi , ha ricordato così non soltanto gli ultimi giorni di Grazia ma ci ha fornito anche un testo prezioso di una sua poesia-preghiera che non molti conoscono: Grazie Giovanni! Nell’aprile del 1928, due anni dopo il nobel quando da anni viveva a Roma, in seguito a un crescente malessere, Grazia Deledda fu ricoverata in una clinica, dove le fu asportata la mammella sinistra invasa da filamenti cancerosi. Accolse “il dolore come l’intermediario tra noi e Dio”. La malattia avvicinò ancor più Grazia alla sua fede cristiana e pochi giorni prima della morte, avvenuta a Roma in questa giornata di ferragosto del 1936, l’amico e noto pittore Remo Branca le fece, insieme a un amico, una visita per la registrazione di una sua poesia, intitolata Padre Nostro. Composizione scritta alcuni settimane prima su richiesta dello stesso Remo Branca per una antologia che questi andava almanaccando in previsione dell’imminente morte dell’amica. Grazia invece di questa poesia preparò un altro testo di commiato, brevissimo, che concludeva: “Ho avuto tutte le cose che una donna può chiedere al suo destino. Ma grande sopra ogni fortuna, la fede nella vita e in Dio”. Messaggio a testamento da cui emerge la profonda morale cristiana di Grazia di quel momento, esposta chiaramente nel suo ultimo romanzo, quasi biografico e pubblicato in quella primavera, La Chiesa della Solitudine. Condizione che si mostra chiaramente nella parte finale del libro dove la protagonista, Maria Concezione, ventottenne e anch’essa cancerosa, dice; “C’é una specie di vergogna a parlare di certi mali, a mostrare le intime piaghe del corpo: io ho avuto questa vergogna, dimenticandomi che Gesù fece delle sue piaghe le lampade che illuminano il mondo più del sole e delle stelle”. Un gravoso stato d’animo già vissuto giovanissima da Grazia, allorquando, nella sua casa di Nuoro, ritrovò la sorella Enza in un bagno di sangue a causa di un aborto spontaneo. Fu proprio lei che l’assistette, lavandola e vestendola per l’ultimo viaggio. E’ questo il primo incontro che l’allora giovane scrittrice fa con Signora Morte. Questo episodio l’accompagnerà per tutta la vita condizionando sicuramente gli aspetti del suo narrare religioso, attraverso la sempre presente e coinvolgente suggestione delle più ancestrali tradizioni cristiano popolari della nostra antica terra, quella che il mare e la sua devota gente ha preservato ancora oggi intatta nella sua atavica fede religiosa. Nell’anniversario della sua morte, nella giornata dell’Assunzione, è giusto ricordarla attraverso la preghiera del suo quasi inedito Padre Nostro – da tempo, correttamente armonizzato dal maestro Claudio Macchi, parte integrante del repertorio corale del Coro Voches ‘e Ammentos de Garteddi. “Non sopra le nuvole rosse – dell’ira tua grande, o Signore, – ma in cima ad un’erta terrena – Tu siedi: e ci guardi salire – qual gregge disperso. Il Pastore sei Tu. Tu sei il padre benigno – del nostro maligno dolore: – ci aspetti non morti, ma vivi. “Sull’orlo le schegge han pugnali, – i corvi ci succhiano gli occhi. – Tu, Padre, ci aspetti. Tu vivi — per noi: senza noi Tu non sei – e il male non scende da Te – ma sale con noi verso Te. “E quando coi nostri ginocchi – corrosi, nel cuore l’offerta – del figlio morente, siam giunti – al sommo dell’erta, uno sguardo – tuo solo distrugge e rinnova – la nostra esistenza, o Signore”
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