di Roberto Sanna
Il nuovo figlio del vento dell’atletica italiana è un sardo vero nato a Milano e domiciliato a Carate Brianza. Filippo Tortu è figlio di un tempiese e una lombarda e ha già fatto da tempo la sua scelta di vita per i quattro mori, quest’anno ha viaggiato sospinto dal maestrale: 10’’33 sui 100, 20’’92 sui 200, record italiani Under 18 strappati a nomi storici come Grazioli e Howe. Un talento purissimo, ereditato da una famiglia che ha lo sprint nel Dna: il fratello Giacomo ha disputato poche settimane fa la finale dei 100 agli Europei Under 23, il padre Salvino è stato uno dei migliori velocisti sardi della sua generazione con un personale di 10’’6 (e successivamente un titolo mondiale nei Master). Poi papà Salvino è andato a Roma per l’università e ha conosciuto la futura moglie, da lì si sono trasferiti a Milano per mettere su famiglia. Giacomo e Filippo sono così nati in Lombardia, ma la loro terra è la Sardegna e pazienza se l’altra metà della famiglia «non la prende, diciamo così, benissimo» ride al telefono Filippo che dopo quei due fantastici lampi ha dovuto interrompere la stagione precauzionalmente e rinunciare ai Mondiali di categoria in Colombia.
Che cosa hai avuto esattamente? «Un problema di crescita che ho scoperto per caso. Ho sentito un dolorino durante la curva mentre facevo i 200, sono andato a farmi controllare e ho scoperto che i parametri erano strani: in pratica l’osso era cresciuto più dei tendini e dei muscoli. D’accordo con mio padre, che mi allena, e la federazione abbiamo deciso di fermarci e riprendere nel 2016, avrei anche potuto continuare ma il rischio era quello di un infortunio serio e non avrebbe avuto senso».
Come ti senti adesso? «Sto bene, sono tranquillo, so che è una situazione transitoria legata esclusivamente alla mia crescita fisica. Posso comunque continuare ad allenarmi e a livello psicologico ho voglia di tornare in pista, ho davvero tanta fame e mi rifarò l’anno prossimo».
Riavvolgiamo il nastro e torniamo a quelle prestazioni eccezionali in maggio. Ti aspettavi di andare davvero così forte? «Onestamente no, almeno all’inizio. Sui 100 avevo già corso in 10’’57 e puntavo a scendere sotto i 10’’50, magari fare 10’’45, quando ho fatto 10’’33 è stata una bellissima emozione. Dopo quel risultato ho corso i 200 con aspettative differenti e il 20’’92 non mi ha sorpreso. È stato molto bello anche il contesto, era la prima volta che correvo contro atleti di alto livello e mi ha fatto piacere ottenere certi riscontri cronometrici».
Hai battuto un record di Andrew Howe, finiremo per vederti in uno spot per un cioccolato? «Magari… Tu lo vuoi un Kinder Bueno? Scherzi a parte, sono paragoni importanti che non possono non far piacere, ma il mio obiettivo non è andare veloce a 20 anni: io voglio fare tempi importanti da senior, nelle gare vere».
Il tuo modello qual è? «Mio fratello Giacomo, che è arrivato in finale a Tallin sui 100 metri».
Tu avresti potuto fare grandi cose ai Mondiali di Cali: quanto ti è dispiaciuto rimanere a casa? «Non posso negare che un po’ di rabbia ci sia stata. Intanto perché, vedendo come è andata la finale, avrei anche potuto puntare al podio. E poi perché sarebbe stata una bella esperienza con gli altri ragazzi del gruppo azzurro».
Spiegaci perché ti senti un vero sardo. «È una cosa che ho dentro da sempre, sono cresciuto con questa mentalità e da quando ho i primi ricordi la Sardegna c’è sempre. Abbiamo una casa a Golfo Aranci e sono sempre tornato in estate, quando sbarchiamo con l’auto in Sardegna la prima cosa che facciamo è abbassare i finestrini e respirare i profumi della nostra terra. E poi c’è l’orgoglio di appartenere a un popolo, parlando con un milanese non ho mai percepito da parte loro questa mentalità. Un sardo tiene alla propria terra, sempre e ovunque, io non mi sono mai sentito lombardo».
Quindi è facile immaginare anche gustosi pasti in famiglia con le specialità sarde. «In questi giorni sono ospite a casa di mio fratello che ora vive a Torino, abbiamo appena finito di mangiare un gran piatto di malloreddus. E dalla Sardegna abbiamo anche portato una pianta di liquirizia che teniamo in terrazzo per sentire tutto l’anno i profumi della nostra isola».
Eri anche al Forum di Milano per la gara7 tra la Dinamo e l’Armani, quanto ti sei divertito? «Tantissimo, anche perché ero con alcuni amici che facevano il tifo per l’Olimpia e li ho massacrati per tutto il viaggio di ritorno. Ho giocato a basket e sempre fatto il tifo per la Dinamo lo scudetto mi dato una grande gioia, ho seguito in tv tutta la serie con Reggio Emilia e alla fine ho festeggiato. Anche se la partita che mi è piaciuta di più non è stata l’ultima ma la sesta, quella dei tre supplementari. Però nel calcio non faccio il tifo per il Cagliari, mio padre e mio nonno, forse anche mio bisnonno, erano juventini e mi hanno cresciuto con questa fede».
Ora vogliamo sapere cosa dice tua mamma a te e Giacomo di questo vostro sentirvi sardi. «Si arrabbia tantissimo insieme a mia nonna, provano ancora a convincerci che siamo lombardi. Ma lo devono accettare, prima o poi se ne faranno una ragione».
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