INCONTRO CULTURALE CON IL MAESTRO GIOVANNI CUCCO AL “SEBASTIANO SATTA”: IL MOSAICO DEI SARDI … A VERONA

Giovanni Cucco


di Annalisa Atzori

Salvatore Pau, presidente della “Sebastiano Satta” di Verona, ha fatto un regalo grandissimo ai soci: ha invitato il Maestro mosaicista Giovanni Cucco, luminare nell’arte del restauro e della conservazione del mosaico antico, per un incontro culturale presso il circolo veronese, dal titolo “Come nasce un mosaico”.

Il grande artistaè nato a Bovolone, ha studiato a Venezia e si è specializzato in restauro e conservazione del mosaico. Ha lavorato per ben ventisette anni nella Basilica di San Marco, nella Basilica di Santa Maria Assunta a Torcello e nella Chiesa dei Santissimi Maria e Donato a  Murano. Ha prestato la sua preziosissima opera a Napoli e Pompei, a Ravenna, ad Atene, a Palermo e a Istanbul, diventando un punto di riferimento per quanto riguarda il mosaico bizantino.

Giovanni Cucco, che tiene sovente lezioni presso università e accademie artistiche, ha subito catturato l’attenzione del pubblico, sottolineando come di un mosaico ammiriamo lo splendore, ma ignoriamo completamente tutto il lavoro di creazione dello stesso. Gli antichi usavano pochi colori (il blu, il rosso, il verde e il giallo). Impiegavano il marmo (chiamato “cipollino”) e lo rivestivano di smalto colorato. Cucco, durante i restauri a Pompei, ha trovato nei mosaici del 64 d.C. anche il blu egizio. Per il nero, si utilizzavano i lapilli.

Il mosaico nasce pavimentale: pare che i beduini del deserto, trascorrendo molto tempo sdraiati a riposare, avessero l’abitudine di raccogliere pietre colorate dai fiumi e componessero a terra i primi mosaici rudimentali. In seguito, come ha potuto osservare Cucco nei suoi viaggi in Iraq, si incominciò a costruire delle colonne di bambù, ricoperte di creta e decorate con ciottoli dello stesso materiale poi smaltati di colore bianco, nero e rosso. I mosaici antichi si possono ammirare a Venezia, a Ravenna, a Palermo, a Napoli.

I tasselli del mosaico si chiamano “tessere” e hanno quattro lati, possono avere forma quadrata, rettangolare oppure a trapezio. Nel campionario  utilizzato nei mosaici moderni ci sono oltre 3000 colori a disposizione.

Per creare le foglie d’oro (della misura standard di 8 cm x 8 cm, tipica dei mosaici più preziosi, del 300 d. C. ) è battuto e pressato un centimetro cubo di oro, che pesa 19 grammi.Adesso è impiegata a questo scopo una carta speciale, in antichità si metteva l’oro da lavorare in un budello di capra. Una volta pressato, l’oro ha uno sviluppo di sei metri e cinquanta centimetri quadrati.  Cucco mostra al pubblico estasiato una piastrina d’oro, datata 1843.

Nel 1400, poiché l’oro scarseggiava, si cominciò a utilizzare la ceramica. Il veronese Matteo Barone (che lavorò alla volta del Paradiso della Basilica di San Marco) impiegò sassi raccolti dal fiume Piave. La parte inferiore delle piastre è di vetro, sopra c’è il ceramicato.

Cucco svela anche i segreti del compenso pagato per la creazione dei mosaici: il pittore (pictor imaginarius) faceva il bozzetto del disegno e riceveva 175 sesterzi (circa 600 euro odierne); poi, il pictor parietarus  ingrandiva il disegno (il suo compenso, 75 sesterzi). Poi, iniziavano il loro lavoro i mosaicisti (musivarius) che prendevano ancora meno, specializzati in volti, vesti ecc I trinciatori (che tagliavano le tessere dei vari colori per preparare il materiale ai mosaicisti) prendevano 40 sesterzi.

Anche l’invenzione del vetro è attribuita ai beduini del deserto. Essi scoprirono che la sabbia con il calore del fuoco fondeva e, passata nei crogioli, con aggiunta di calce e soda per aiutare la fusione, dava il vetro. Allo stesso, erano aggiunti i vari ossidi per ottenere i colori.

Le piastre per i mosaici si chiamano “pizze”.

Giovanni Cucco continua spiegando che, nella prima fase della creazione del mosaico, si stende un tipo di malta (chiamata sinopia, dal nome della città di Sinope sul Mar Nero). Si fa quindi una bozza per vedere se il disegno è centrato. A questo proposito, mostra un pezzo originale proveniente dalla Basilica di San Marco, del 1071! Negli spazi tra una tessera e l’altra, nei mosaici bizantini si metteva il colore rosso. Nel battistero di San Gennaro, del 395 d.C. e nel battistero identico trovato tra il Tigri e l’Eufrate, il colore usato tra le tessere del mosaico è invece il giallo.

Cucco ama chiamarsi “conservatore” e non restauratore: di fatto, quando lavora a un mosaico antico, deve conservare quello che c’è, non cambiare e riempire i vuoti. Al massimo può aggiungere due o tre tessere nuove. Ne è un esempio la testa di Giuseppe l’Ebreo, figlio di Giacobbe, di cui parlano Bibbia, Corano e Torah. Il mosaico che lo raffigura, staccato da Giovanni Moro dalla Basilica di San  Marco, ritrovato e riconosciuto recentemente all’ospedale Santi Giovanni e Paolo, è stato restituito alla città di Venezia, tornando al suo antico splendore grazie all’intervento proprio di Cucco.

Il Maestro a questo punto inizia quello che si può definire il “mosaico dei sardi” di Verona: stende la malta speciale, vi appoggia il disegno che lascia l’impronta, creando così la sinopia. Ora passa la malta con le sue abili mani e la rende liscia. Di nuovo il disegno è appoggiato sulla sinopia, trasferendosi. Il Maestro disegna poi con il pennello sulla malta le partiche non si sono trasferite e dipinge con i vari colori il disegno. Su ogni colore bisogna trasferire le varie tessere colorate, dopo averle tagliate con il trancino. I presenti quindi, ammaliati da tanta meraviglia svelata, si alzano ad uno ad uno, scelgono il colore, tagliano la tessera con il trancino, la posizionano sul mosaico. Ed ecco il piccolo mosaico dei sardi di Verona è terminato.

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