Un aperitivo in un rinomato ristorante italiano (sardo), una presentazione in una libreria, un dibattito radiofonico, una lezione in una scuola di italiano per francesi. Quando Carla (Cristofoli) mi ha proposto a di andare a presentare il mio libro a Parigi, mica lo sapevo io che mi stavo ponendo nella mani di una specie di vortice instancabile, di ciclone organizzativo.
Un inizio graduale, per fortuna, grazie al vino, rigorosamente sardo, offerto dagli amici di Nurallao, Graziella e Nicola, proprietari del rinomato ristorante Il Fico, che si trova dalle parti del Louvre. Il ristorante di cui Nicola è chef di lunga esperienza, nonostante la giovane età, oltre a esibire specialità sarde a volontà, ha una caratteristica particolare: serve esclusivamente vino sardo, e con un certo successo, anche.
Ora vorrei raccontare la presentazione del mio libro nella libreria franco-italiana di Montmartre, L’Odeur do Book, di Morena, affollata di un pubblico eterogeneo, francese, italiano, sardi stanziali e di passaggio. Dovrei raccontare come la Sardegna sia, così circoscritta e circondata dal mare, esempio di disastri ambientali e di cancellazione di una memoria storica che è emblema. E invece la cosa che mi è rimasta impressa è il volto di Morena, felice per una riuscita organizzazione, che si oscura, per un attimo, parlandomi della perdita di solidarietà nella sua lontana, sempre più lontana, Lombardia. Vent’anni di distruzione di un senso di solidarietà che affondava le radici nella cascine avvolte dalla nebbia, nei campi “mezzo grigio e mezzo neri”, nei canali delle bonifiche che scorrono tra filari di pioppi e salici, nell’operosità di operai e contadini. Gli occhi di Morena mi fanno pensare che il mio soggiorno parigino, è una testimonianza di tanti mondi che si perdono, non solo quello che sento mio, quello sardo avvolto dallo scetticismo, da una visione negativa delle cose, del tipo “terra più inquinata del mondo”, che detta così, è un arrendersi ad un destino più voluto che subito.
I Francesi hanno il senso della prospettiva. Dovunque ti giri, a Parigi, vedi una storia che si trasforma in prospettiva lunga, una geometria che unisce epoche, e che guarda lontano. Gli studiosi francesi hanno compreso, ben prima degli altri europei, che il mondo si comporta come un sistema interconnesso, una gigantesca variabile interdipendente. Levi-Strauss insieme agli altri antropologi strutturalisti e dinamisti, Braudel con gli storici degli “Annales”, hanno rivoluzionato il pensiero rispettivamente dell’antropologia culturale e della storia. Per non parlare della sociologia, da Durkheim e Bourdieu. Non a caso l’illuminismo è nato in Francia, e ha proseguito fino ai giorni nostri con una elaborazione di pensiero nelle scienze sociali sempre molto avanzato.
Il dibattito che si sviluppa la domenica mattina nella Radio Aligre, di cultura meticcia franco-italiana, è significativo di questa prospettiva. Si parte dal disboscamento della Sardegna e si finisce per discutere dei grandi temi del pianeta, dalla gestione del cibo nel mondo ai modelli urbanistici, privi di spazi per ritrovare quell’armonia con la natura di cui gli esseri umani hanno bisogno.
Esiste un senso critico delle cose, una visione alternativa, non dettata dai mainstream, che resiste bene in Francia e in Italia, forse come apertura ad un mondo, quello mediterraneo, di lunga cultura cosmopolita. Mario e Bruno, italiani in Francia da una vita, alimentano, nel dibattito radiofonico, quell’espressione di pensiero pubblica che forse, altrove, è un po’ ipocrita e ingessata.
Mi sono divertito molto, anche se Carla faceva un po’ di fatica e ricomporre il senso di un dibattito bilingue, mezzo italiano e mezzo francese. A noi lo spasso, a lei la fatica.
Il Centre Italiance, scuola di lingua e cultura italiana in Francia, mi accoglie con un calore persino sorprendente. Una classe di appassionati ascolta attenta il mio racconto. La Sardegna: che sapete voi francesi, o italo-francesi, di quest’isola?
Storia e cultura antica scorrono come parole e poi entrano nelle immagini che mostro. L’immancabile mare, il paesaggio costiero e dell’interno, piante e animali, i sentieri selvaggi, gli antichi percorsi e le pinnette dei pastori, le maschere etniche, cupe e misteriose e il contrasto con i colorati e raffinati costumi sardi, le feste equestri, dalla Sartiglia all’Ardia, la cultura del pane, il vino e i vitigni nuragici, il paesaggio di pietra, preistorico, nuragico che racconta di una storia mai entrata pienamente nella storiografia, ma che conserva, in molte tradizioni uniche, come quella del bisso, o dell’etnomusicologia, delle sopravvivenze talmente straordinarie che ci si vergogna persino un po’ a collocarle nella loro giusta dimensione. Si corre sempre il rischio di sembrare faziosi, tifosi, troppo orgogliosi.
E così si ritorna alla nostra vergogna, all’incapacità di uscire dai quei complessi di inferiorità indotti, e che ci obbligano a ripetere, un po’ come disco rotto, le cose suggerite da fuori.
E sarà anche, come dice Gavino Ricci che mi ha accompagnato in questa avventura, merito della mia efficacia espositiva. Sarà. Sarà che forse ne ho parlato senza timidezza e vergogna, senza la paura della mitopoiesi, con una coscienza del valore in equilibrio, senza le remore indotte da chi vorrebbe la Sardegna spazio esternale per gli scarti e gli ingombri del mondo.
Mi stanca molto parlare di tutto questo.
Non so perché, ma mi stanca, tutte le volte, combattere contro questa bizzarra alleanza, questo sbarramento, questo fuoco incrociato di sardi e non sardi, esterna e interna all’isola, che lavora per sminuire, sottovalutare, comprimere, soffocare tutte le emergenze storiche e culturali, come cani inseguendo pecore sfuggite dal gregge, come se la modernità del mercato globale non potesse soffrire ciò che si discosta da una via prestabilita, da un binario tracciato, da un foglio già scritto.
Ma i francesi si sono emozionati davvero, a parlare loro di Sardegna.
Voilà. Tutto molto semplice. La Sardegna, così com’è, è attrattiva, seduttiva, e producente. Mentre nell’isola ormai da qualche anno impazza la gara a chi è più indipendentista dell’altro, magari imitando modelli di sviluppo e scopiazzando soluzioni da contesti dove la ricchezza è arrivata per vie imperscrutabili e difficilmente imitabili.
Ne dovrei raccontare di cose, in questa mia trasferta parigina. Ma sono un po’ stanco, a dire il vero.
Penso che mentre una parte dell’isola è china su se stessa, sorda del suo stesso piagnisteo, mentre si piscia nelle scarpe, due giovani ragazzi aprono un ristorante fighissimo vicino al Louvre, e vi vendono solo vino sardo.
Thomas, marito di Carla, la fervida e indefessa figlia di Sardegna che ha portato con me un pizzico gioioso e doloroso dell’isola, mi si avvicina con occhi sinceri.
La Sardegna insegna. Oggi ho imparato molto.
Me lo dice Thomas, già professore di Storia delle istituzioni alla Sorbona di Parigi.
E a parte il tramonto dal Trocadero, con la lancia della Torre Eiffel scagliata verso il cielo a dividere quelle grandiose prospettive dove la storia è raccontata nella grandiosità di spazi infiniti, l’immagine che più racconta questa trasferta parigina è il filmato dei Tenores, patrimonio immateriale dell’umanità dichiarato dall’Unesco, che ho proiettato nella scuola di italiano.
Ho proiettato questa clip, una strepitosa performance dei Tenores “Remunnu ‘e Locu” di Bitti, dando le spalle agli studenti francesi, domandandomi se quel canto antico potesse emozionare loro come emozionava me. Se quel canto antico potesse, cioè, emozionare solo noi in quanto sardi o anche tutte le persone aperte alle culture, curiose delle tradizioni, delle cose e dei fatti del mondo.
Quasi paura e vergogna avevo a voltarmi.
Solo alla fine l’ho fatto, e ho letto sorpresa, interesse, emozione e, persino, commozione nei loro volti.
E mi sono sentito sollevato, molto, come se avessi combattuto e vinto una lotta lunga millenni.
Forse è per questo che mi sento stanco.
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