Quando l’amore per la fotografia diventa un “fenomeno” che appassiona gli utenti dei social network non puoi fare a meno di pensare a Matteo Setzu. Ogni scatto di una sagra paesana o di Carnevale che viene postato sulla sua pagina Facebook riceve una valanga di apprezzamenti, tanto che Matteo è ormai un volto molto conosciuto in ogni angolo di Sardegna. Lo abbiamo intervistato.
La prima domanda è scontata: quando è nata la “passione” per la fotografia? Sin da quando ero piccolo avevo sempre con me una macchina fotografica, le prime compatte a rullino, e mi piaceva fotografare ogni cosa vedessi. Poi col primo lavoro mi comprai una reflex analogica e alla fine passai alla digitale. Scrutando nel tuo vastissimo repertorio fotografico scopro il fascino del Carnevale, delle feste tradizionali sarde, ma anche gli straordinari paesaggi della nostra terra.
Quanto amore per la Sardegna c’è nelle tue foto? Amo tantissimo la mia terra. E nelle mie foto credo ci sia un po’ l’anima dell’emigrato. Ho vissuto tanti anni in Spagna per lavoro e ogni volta cercavo le foto delle nostre feste per sentirmi più vicino a casa. Una volta tornato in Sardegna ho deciso di girare le nostre feste e fotografarle a modo mio. Sicuramente il Carnevale tradizionale è la festa che vivo con maggiore passione, la sento ed entro quasi in tensione quando arriva. Adoro tutto quello che c’è intorno: l’attesa, la sfilata, il dopo. Mi piacciono le situazioni che si creano, quello spirito di festa, uno spirito magico e diverso da ogni tipo di manifestazione. È un mondo arcaico che ancora oggi vive nella nostra tradizione, un mondo misterioso. Una delle cose piu’ difficili è stata quella di entrare a contatto con i protagonisti, ma pian piano mi son conquistato il mio spazio e sono nate vere e sane amicizie. La cosa più strana è che tutto questo è successo grazie a una macchina fotografica: un aggeggio moderno catapultato in un rito ancestrale.
Hai amici in tutti i paesi sardi (e non solo) e quel che stupisce è la straordinaria capacità di interagire con la gente che diventa poi la protagonista dei tuoi scatti. Come spieghi questa tua grande popolarità? Non so come sia successo tutto questo. Prima di andare alle feste non conoscevo praticamente nessuno. Col tempo poi la mia “popolarita’” è aumentata grazie a Facebook e le persone mi fermavano per strada perché avevano il desiderio di conoscermi o farmi i complimenti. Poi sono un chiacchierone, mi piace dialogare con tutti e provo curiosità nel conoscere le storie dei paesi, il perché di una festa, come si svolge e quali sono le sue origini. A volte trovo imbarazzante quanto le persone mi aspettino e mi vogliano bene; non ho fatto nulla di che per meritarmi tutta questa attenzione, ma non posso negare che mi faccia piacere. Ci sono posti dove non riesco a smettere di andare, paesi dove mi sembra di stare come a casa.
Hai accennato a Facebook. Dando uno sguardo alla tua pagina scopro che hai quasi 28 mila “fan”: numeri impressionanti. E ancor più rilevanti se penso che con molti di loro interagisci…. Cerco sempre di rispondere a tutti. Ogni festa è un racconto e il racconto non può finire con la semplice pubblicazione delle foto. A volte mi viene difficile accontentare tutti per mancanza di tempo o perché le notifiche sono davvero tantissime, ma ci provo. Anche perché è gratificante continuare a mantenere i rapporti con le persone anche sui social network, vista l’accoglienza e la stima che mi riservano.
Ricordi la tua prima mostra? Una prima esposizione la feci a Genoni, al Museo Civico e del Cavallino della Giara. Era una serie di scatti sui cavallini della Giara e sulle maschere tradizionali sarde e basche. Ma la mia prima vera mostra è stata quella che mi regalarono i ragazzi dell’Associazione Culturale di Àndala Noa di Borutta. Una serie di 30 scatti, quindici sui Thurpos di Orotelli e quindici sugli abiti tradizionali della Sardegna. Ricordo che, quando me la chiesero, non potevo permettermi di stamparle e mi negai. Loro mi dissero che me le avrebbero stampate e poi regalate. Li ringraziai di cuore e non dimenticherò mai quel gesto. Quella mostra toccò più di venti paesi della Sardegna e arrivò sino a Stoccarda.
A questo proposito, vuoi parlarci della tua esperienza in Germania? A Stoccarda arrivai grazie a Ivan Pili e al Circolo dei Sardi “Su Nuraghe”. Fu un’esperienza bellissima. Ebbi la fortuna di conoscere gli emigrati, di sedermi con loro a mangiare un piatto di malloreddus e ascoltare i racconti di persone che vivono in Germania da più di quarant’anni. Fu un’esperienza di vita. Ricordo quando a uno di loro chiesi: “Ora che siete in pensione tornate spesso in Sardegna”? Mi rispose: “Ormai nella nostra terra natale non abbiamo più nessuno e la nostra famiglia è qui in Germania, sono sposato con una donna tedesca. In Sardegna sarò sempre un emigrato, qui in Germania sarò sempre uno straniero”! Mi commossi: era la prima volta che capii che chi se ne è andato anni fa ha lasciato un pezzo di cuore che forse non riuscirà mai a riprendersi del tutto.
Sbirciando nel tuo “resoconto” di fine anno pubblicato su Facebook leggo: “Mi porterò dietro il viaggio a Lisbona assieme agli Issohadores e Mamuthones Pro Loco di Mamoiada”.Ce ne vuoi parlare? A Lisbona sono stato due volte: la prima, nel 2012, assieme all’Associazione Culturale Boes e Merdules di Ottana e l’anno scorso assieme agli Issohadores e Mamuthones Pro Loco di Mamoiada. Queste esperienze nacquero quando ancora vivevo in Spagna e mi misi a cercare feste simili alle nostre. Scoprii delle analogie tra maschere iberiche e sarde e conobbi i rappresentanti della Progestur, un’Assocazione Culturale che si occupa di eventi legati alle tradizioni iberiche. Tornai in Sardegna e col tempo conobbi i rappresentanti delle maschere sarde. Invitai il presidente della Progestur Helder Ferreira ad assistere ai fuochi di Sant’Antonio a Ottana e Mamoiada per fargli vedere i nostri riti e magari iniziare una collaborazione che, infatti, nacque subito e portò le nostre maschere a Lisbona in occasione del Festival delle Maschere Iberiche. A maggio si terrà la X edizione della manifestazione e la Progestur mi ha invitato a preparare una mia mostra fotografica sui Festival degli anni scorsi. La mostra partirà da Lisbona e toccherà diversi centri del Portogallo.
Spiegami quali sono i segreti per scattare una bella foto… Non credo ci siano segreti particolari per scattare una bella foto, anche perché la fotografia è soggettiva: può piacere o meno. Io cerco solo di immortalare quel momento che può catturare la mia attenzione.
In questi anni avrai fatto migliaia di foto: qual è lo “scatto” più difficile che ricordi? Non saprei dire quale sia lo scatto più difficile. Forse quello che ormai è la “mia foto di riconoscimento” ovvero quella del bimbo di Orotelli con gli occhi azzurri. Lui è un bambino timidissimo e non era propenso a farsi fotografare. Mi trovavo al Carnevale estivo di Orotelli, passava la sfilate e davanti a me c’era lui, di spalle. Io non l’avevo riconosciuto e stavo fotografando la sfilata, ma di colpo si gira dalla mia parte, lo vedo e scatto. È probabilmente la mia foto piu’ popolare e forse la più casuale e difficile.
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