Il risultato è che tutti parlano, oggi, della forma della protesta, e nessuno della sostanza.
L’occasione era l’esposizione universale di Milano, la vetrina lucida e sorridente del capitalismo mondiale, che ha come tema, per colmo di ironia, “nutrire il pianeta”.
Dopo le proteste degenerate in devastazioni, nessuno che parli di OGM, nessuno che parli dell’inquietante trattato TTIP, nessuno che parli del ruolo delle multinazionali e della loro responsabilità nella denutrizione e nelle carestie dei paesi del terzo mondo.
Eppure la protesta a questo doveva servire, a parlare di queste cose, o sbaglio?
Non si parlerà di queste cose, ma di altro. Si parlerà del disagio sociale, dei giovani se sono più mammoni, bamboccioni, figli di papà o sfigati annoiati senza futuro, delle famiglie che non li educano a dovere e non li prendono a calci in culo, e le varie analogie con le rivoluzioni nel mondo, con un bel paragone con tafferugli di vario genere della storia dell’umanità.
Della deforestazione causata dalla multinazionali che utilizzano l’olio di palma, che si ritrovano in tutti quei biscotti che quei ragazzi la mattina mangiano, nessuna parola.
Ma il sistema dei media ci ha pure offerto il contestatore tipo, un imbelle ignorantucolo buono per far prudere le mani a chi ascolta.
Nel frattempo, le coltivazioni di soia stanno trasformando vaste aree del mondo in monoculture senza nessun rispetto per la rotazione dei suoli, con problemi di aridità che verranno trasferiti alle prossime generazioni. Ma tutto ciò perde importanza di fronte al fervore del dibattito su come va fatta una rivoluzione. Meglio pacifica o violenta?
Intanto il fenomeno del Land Grabbing, delle terre portate vie ai contadini del Sud del mondo per quelle monocolture, pone dei seri pregiudizi ad uno sviluppo futuro di quelle popolazioni.
Ma chissenefrega! L’importante è che la condanna alla violenza sia unanime, senza se e senza ma.
La violenza non è mai servita a nulla, è vero, non ha mai prodotto nulla di buono, e via discorrendo.
Tutto il dibattito gira attorno ai fatti di cronaca.
E la verità è che ci hanno fregato un’altra volta.
Il cervello ha delle caratteristiche comuni a tutte le persone. Tanto per cominciare, le emozioni travolgono la ragione e la conoscenza. Sono come un fuoco che brucia un albero che con tanta ragionevole fatica ha elaborato tronchi, bracciali, rami, rametti e foglie. Il fuoco brucia e poi si spegne, lasciando il nulla. Un fatto emotivo, l’immagine di un tafferuglio, di delinquenti che distruggono vetrine e bruciano cassonetti, ha sempre la meglio, dunque, su un ragionamento logico. I media lo sanno bene, rilanciando all’infinito le immagini dei disordini e non certo le ragioni di chi ragiona e spiega.
Un’altra caratteristica della mente umana è la tendenza, per comodità, a generalizzare. Ovvero ad attribuire a tutti i componenti di quel gruppo la caratteristica che emerge come saliente e che spesso, in realtà, è una invenzione della mente, sempre alla ricerca di pensieri facili. Un po’ come una chiazza d’olio che si allarga.
Per cui, se di una protesta si mostrano solo i tafferugli, anche se di una minoranza, si tenderà ad attribuire a tutti quella caratteristica violenta, delegittimandola di fatto, e facendola apparire come pericoloso.
Altra caratteristica della mente umana è l’opposizione. Come diceva il grande antropologo francese Levi-Strauss, la mente umana lavora meglio per opposizioni semplici, buono – cattivo, giusto – sbagliato, bene – male, e così via. La mente umana fa una fatica bestiale a concepire le articolazioni mediane del pensiero. E’ un po’ come una pietra sulla cima di un monte, tra due versanti e, specie in una contesa dialettica, o scivola da una parte, o scivola dall’altra.
Ecco dunque che il fatto emotivo cattura la mente, cancellando la ragione, e finisce per far dilagare il pregiudizio, l’etichetta di violenti a tutti, anche alla maggior parte dei dimostranti pacifici. Il resto lo fa la mente oppositiva: nessuna via di mezzo.
E il gioco è fatto.
Ci sono documenti che dimostrano come i servizi segreti temano molto di più le associazioni culturali e ambientaliste dei black bloc.
Molti di quei ragazzi che spaccavano vetrine non sanno neppure lontanamente cosa diamine è l’olio di palma. Hanno trovato una giustificazione per scatenare quella violenza latente di cui, in fondo, nonostante l’abito buono, la nostra società ipocrita è pervasa, e che così gli mette in ordine i sensi di colpa.
Il sistema sa gestire molto bene questa violenza, limitandola all’occorrenza, oppure lasciandola correre, buttandola in caciara, se gli conviene.
Il risultato è che, mentre i media sono assorbiti dall’auto incendiata, le banche sono ben contente che nessuno metta in discussione i suoi investimenti sporchi e che nessuno ne parli, e si aggiusta volentieri le sue vetrine, una molecola per il loro budget.
L’importante che nei supermercati non manchi la robaccia delle multinazionali.
I politici potranno continuare ad apparire in televisione per condannare la violenza, persino quelli che fino a ieri incitavano all’odio, come abbiamo visto, e senza la minima vergogna.
Gli altri danni finiremo per pagarli noi, naturalmente, con le nostre tasse.
Chi volesse portare oggi all’attenzione dell’agenda i grandi problemi del mondo, della povera gente, troverebbe uno sbarramento pregiudiziale, una bella etichetta dispregiativa di persone violente e inaffidabili già pronta.
E i ragazzi continueranno a restare senza futuro.
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