CULTURA A NUORO, TRA UN PASSATO GLORIOSO ED UN FUTURO INCERTO: A TU PER TU CON GAVINO PODDIGHE

Gavino Poddighe


di Irene Bosu

Quello della cultura è un sottilissimo filo che in Italia e soprattutto in Sardegna non riesce a trasformarsi in patrimonio produttivo, in crescita sociale e motore propulsivo dell’economia. “Di cultura non si mangia”: abbiamo sentito tante volte questa affermazione. E se provassimo a considerarla parte integrante del nostro sistema vitale? Questo è quello che ha fatto Gavino Poddighe, direttore artistico dell’Associazione culturale “I segni delle radici” che ci ha regalato in questi anni una serie di percorsi della memoria dedicati a Salvatore Satta, numerosi viaggi letterari scanditi dalle opere della Deledda, dalle poesie di Sebastiano Satta o dalle sculture di Ciusa, e ancora, passeggiate emozionali nei vecchi rioni di Nuoro. L’associazione, inoltre, ha pensato di creare una “città da leggere”. Le scritte presenti sui muri dei quartieri storici di Nuoro: Santu Predu e Seuna riportano frasi tratte da “Il giorno del giudizio” di Satta e da diversi romanzi di Grazia Deledda. Sono muri che trasudano di cultura. Sensibilità artistica da attore e regista teatrale, passione per la letteratura sarda e attenzione verso il fermento culturale del capoluogo barbaricino: questi sono gli ingredienti. Assieme abbiamo parlato del duplice ruolo dell’armatura culturale del nostro territorio, il nuorese, come matrice dell’identità dei luoghi e come linea strategica e prioritaria di sviluppo
locale.

Nuoro, nel 1900, era ritenuta un centro culturale di prima importanza, un contenitore di menti eccelse, scrittori importanti, grandi artisti e numerose iniziative. Con la sua associazione culturale “I segni delle radici”, anima la nostra città e conosce bene il fermento culturale che la caratterizza. Secondo lei cos’è rimasto di quell’Atene sarda? ll titolo o la nomea di “Atene Sarda” gli fu dato da fuori, Cagliari e Sassari in particolare, non è un auto incensamento dei nostri artisti, ma fortuna volle che in un periodo storico ristretto 1900-1926 (nobel alla Deledda) operarono artisti come Sebastiano Satta, Antonio Ballero, Francesco Ciusa, Priamo Gallisay, Francesco Cucca, Giacinto Satta, Pasquale Dessanay ed altri di non minore importanza, senza trascurare tutta la produzione culturale in limba dove spicca la poetica genialità di Canonico Lutzu, morto giovanissimo, anche se bisogna sottolineare che fu l’opera monumentale della Deledda ad inserire Nuoro e la Sardegna nella geografia letteraria italiana ed europea. Offuscata la stella della Deledda, relegata nonostante il nobel a scrittrice esotica e regionale, ci ha pensato Salvatore Satta col suo “Il giorno del giudizio” annoverato come capolavoro assoluto della letteratura del ‘900 a restituire a Nuoro il titolo di città letteraria per eccellenza. Per quanto riguarda l’oggi, credo che nonostante il ricco fermento culturale e la presenza di scrittori, musicisti ed artisti di arti figurative di rilievo nazionale manchi una cornice, una vetrina, un cartello, un logo, un progetto comune, dove i singoli non siano voci solitarie nella notte ma parte integrante di un progetto corale. Ecco manca l’istituzione che disciplini e sorregga tutte le singole personalità artistiche, manca il grande contenitore in cui inserirsi.

In base agli ultimi dati, la cultura frutta al Paese il 5,4% della ricchezza prodotta e dà lavoro al 5,7% del totale degli occupati del Paese. Quindi nonostante la crisi e una politica poco lungimirante che ha risposto con tagli trasversali, la cultura dimostra ancora una volta di essere uno dei motori primari per mantenere il Paese a galla. Cosa ne pensa? Si può davvero trasformare la cultura in lavoro? Si può e si deve. Faccio qualche esempio: tre anni fa siamo andati al festival della letteratura di Mantova, gli unici posti letto disponibili era a 33 km da Mantova!!!, non si parli poi della cittadina piena di gente di animazione di vita. Prima del festival Mantova era una sonnacchiosa cittadina di provincia, ora il festival gli ha ridato ampio respiro economico e qualità della vita. Ma per calarci nei nostri panni basta rivolgere lo sguardo al festival di Gavoi “L’isola delle storie” che porta quasi ventimila presenze, alberghi e ristoranti (anche del circondario) pieni, economia e divertimento. Da questo punto di vista Nuoro è ancora all’anno zero nonostante le istituzioni museali permanenti di notevole qualità, ma il turista si ferma guarda e scappa spesso senza consumare un caffè. E’ tutto da fare, c’è un gran lavoro per voi giovani, la materia prima non manca, la cultura (in particolare letteraria) di ieri e di oggi se si investe bene saranno posti di lavoro.

La cultura per Nuoro, potrebbe essere una leva strategica fondamentale. In questo ambito, si è individuato come strumento essenziale quello del Distretto Culturale che, attraverso un sistema di relazioni, sappia valorizzare, organizzare, e coordinare le diverse rappresentazioni culturali presenti nel nostro territorio. Può essere un sistema efficace? Si, può essere una strada da percorrere, ma avendoci lavorato per due anni con tecnici di Sviluppo Italia. con decine e decine di incontri, riunioni estenuanti, discussioni etc. ho potuto verificare personalmente quanto sia difficile nel nostro territorio collaborare su un comune progetto. Però quella sarebbe la strada giusta. 

Secondo lei, i sardi, amano la propria terra al punto di decidere di unirsi e cooperare sul serio per una sua crescita? Si può sfatare il mito Pocos, locos y mal unidos”? Bisogna provarci.

Quale consiglio potrebbe dare ad un giovane che vuol far strada nel campo turistico-culturale? Consigli è difficile darli, a parte che il turismo di tipo naturalistico sta già dando buoni frutti, ma il settore scoperto è quello del “turismo culturale” dove non esiste un sistema d’accoglienza e di guida. Per dirla in parole povere i turisti a Nuoro sono lasciati a pascolo brado e vagano nelle strade disorientati, basta rimanere in città il giorno di ferragosto, centinaia di turisti in una città sbarrata, senza servizi. A parte i musei, Nuoro non ha mai creduto sul turismo come volano economico e gli esercenti credono che le ferie debbano farle loro. Ma lo spazio per creare nuovi posti di lavoro c’è. Bisogna inventarselo.

Ringraziamo il Maestro Poddighe per l’intervista concessa, è importante capire che il cambiamento passa anche attraverso la cultura. Investire in cultura significa tutelare e salvaguardare il nostro grande patrimonio identitario e investire nella crescita economico-sociale del Paese attraverso un’azione comune di risorse pubbliche e private.

* focusardegna.com

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