di Vito Biolchini
Nei suoi 95 anni di storia il Cagliari Calcio è stato promosso in serie A cinque volte ed è retrocesso quattro: direi che con la vittoria di oggi dell’Atalanta sul Sassuolo che ha portato il vantaggio dei bergamaschi (quartultimi) sui rossoblù (penultimi) a otto punti (di fatto nove, perché il Cagliari ha perso entrambi gli scontri diretti) ad appena otto partite al termine del campionato direi che i conti tristemente si pareggiano. Secondo i miei calcoli la retrocessione matematica dovrebbe arrivare domenica 10 maggio, al termine della gara che i rossoblù giocheranno a Torino contro la Juventus.
Pessima retrocessione per un pessimo campionato: a questo punto il rischio (serissimo) è addirittura quello di arrivare ultimi: era già capitato nel ‘75-‘76.
Ci sono in giro anime belle che pensano che la Serie B possa essere un bagno purificatore, per certi aspetti anche gradevole, una specie di punizione simile a quella che ogni tanto i professori ci infliggevano andando a passare il resto della lezione fuori dall’aula, regalandoci in realtà un tempo di inaspettata libertà lungo i corridoi vuoti della scuola, una specie di magica avventura, in attesa che la normalità, dopo pochi minuti e senza grandi conseguenze, si ripristinasse.
Ma chi pensa questo evidentemente non capisce nulla di calcio ed è un neofita della materia: perché è molto, molto più semplice mantenere la categoria che risalire (come dicono i giornalisti), “nella massima serie”.
Una sola volta al Cagliari è capitato di risalire subito in serie A e fu al termine del campionato 1997-98, quando i rossoblù di Ventura riscattarono l’incredibile retrocessione maturata nello spareggio di Napoli contro il Piacenza. Il Cagliari scese in B dopo aver conquistato la bellezza di 37 punti, e l’anno successivo la squadra restò sostanzialmente la stessa e infatti fu subito promozione. Se il Cagliari oggi penultimo giocasse la prossima stagione in B con questo organico e questo allenatore, a mio avviso rischierebbe la retrocessione in Lega Pro.
La prima retrocessione avvenne al termine del campionato ‘75-‘76, al termine di dodici stagioni esaltanti culminate dello scudetto arrivato esattamente 45 anni fa. Per tornare in serie A ci vollero tre stagioni in Serie B e un gol di Gattelli in rovesciata sotto la Nord contro la Samp, in un Sant’Elia strapieno di bandiere rossoblù e indimenticabile (e io c’ero).
Altri quattro anni in A e al termine della stagione 82-83 si torna al piano di sotto. Ne avevamo viste di tutti i colori (vi ricordate le presidenze Amarugi e Moi?) e la condanna (tremenda) arrivò ad Ascoli. Ascoltai la partita, tristissimo, in macchina con mio padre di fronte ai casotti del Poetto: retrocessi all’ultima giornata, ad un solo punto dalla salvezza.
Nella speranza di aiutare il Cagliari a tornare ai suoi giusti fasti, l’umile tenutario decise di farsi ultrà iscrivendosi negli allora UCCN (Ultrà Cagliari Curva Nord). Divertimento assicurato, all’ingresso dei giocatori la nostra coreografia consisteva nel lanciare in campo, senza alcun intento polemico, rotoli di carta igienica (sul serio) o, in alternativa, bobine per scontrini. Tutto inutile, per i rossoblù iniziò un calvario: quattro stagioni in Serie B, poi l’umiliazione della retrocessione in C, il rischio di finire addirittura in quarta serie.
Poi nel 1988 i fratelli Orrù chiamano Claudio Ranieri e si compie il miracolo: doppia promozione e nel 1990 siamo di nuovo in A. Anni stupendi, magici: a Ranieri scrissi anche una lettera di commosso ringraziamento che però non ebbi il coraggio di spedire. Torniamo in A, all’esordio prendiamo tre sberle dall’Inter ma il campionato seguente e il meraviglioso gol di Enzo Francescoli che punisce la Samp campione d’Italia ci riscatterà di sette stagioni all’inferno.
Il Cagliari intanto è passato a Massimo Cellino e si fa sette stagioni in A, prima della amarissima retrocessione piacentin-napoletana di cui abbiamo già detto. Solo un anno di B e siamo di nuovo in A, e ci restiamo solo tre anni: al termine del campionato 1999-2000 torniamo giù.
Ancora quattro anni di serie B di merda, finche nel 2003/2004 a vestire la maglia numero 10 è un certoZola Gianfranco, e il campionato di B lo vinciamo alla grande. Da allora, undici stagioni consecutive in serie A, e questa mi sa che chiude la serie.
Quindi, per chi non lo avesse capito, il Cagliari è risalito dalla B alla A una sola volta dopo una stagione (ma eravamo retrocessi con 37 punti, forse un record), il resto delle volte ha impiegato tre, quattro e sette anni per tornare (come dicono i giornalisti) “nella massima serie”.
Scendere in B non è quindi una scampagnata e non lo sarà neanche stavolta, anzi: l’evidente stato confusionale in cui versa tutta la dirigenza rossoblù (dal presidente Giulini al vicepresidente Filucchi al direttore sportivo Marrocu) non fa presagire nulla di buono. Capisco chi, come l’amico e collega Nanni Boi (sempre interessante il suo blog) auspica che la società già da subito prepari la prossima stagione di B, ma la mia impressione è che questi non ci abbiamo capito ancora nulla, quindi se anche volessero non saprebbero che pesci prendere. Se non siamo allo sbando, poco ci manca.
E ora veniamo al capitolo Zeman.
Contrariamente alla vita e alla politica e penso anche al giornalismo, lo sport è tendenzialmente meritocratico: chi vale va avanti, chi non vale si ferma, consapevole dei propri limiti. Certo, come in tutte le cose del mondo anche nello sport il caso esige il suo tributo. Si può essere assunti da un giornale per meriti extrraprofessionali (colpo di culo), si può perdere un mondiale ai rigori (vera sfiga) ma non si arriva alla finale della Coppa del Mondo per caso (e con le similitudini mi fermo qui).
Ecco perché mi piace lo sport: perché sa essere giusto. I suoi risultati sono al tempo stesso frutto del talento e dell’applicazione. Ogni sforzo individuale deve essere accompagnato da quello del gruppo, anche nelle discipline dove si è soli in campo.
Nello sport si placano le ansie di chi cerca un modo oggettivo per valutare la realtà, distinguere ciò che vale di più da ciò che vale di meno: a fine stagione la classifica non mente. Mai. Oggi il Cagliari gioca il peggior calcio della Serie A. Lo dicono i numeri.
Ora, Zeman è un grande personaggio e un bravo allenatore, ma quest’anno forse si è seduto per l’ultima volta in una panchina di una squadra che milita (come dicono i giornalisti) “nella massima serie”. Chi continua a difenderlo ad oltranza mi ricorda (si parva licet, ma sto entrando in clima 25 aprile e dovete capirmi) quegli italiani che rimasero fascisti anche dopo la deposizione di Mussolini e in nome di non si sa bene quale coerenza e senso dell’onore (in realtà forse solo per non ammettere di aver sbagliato prima) finirono repubblichini. “Zeman e la Repubblica di Salò” poteva essere il titolo di questo post ma ho pensato che forse era un po’ troppo forte e allora ho lasciato stare.
In ogni caso, sappiate questo: in curva Nord, nel muro di mattoni che guarda verso il campo, qualcuno ha scritto con lo spray: “E liberaci dal male. Amen”. La prossima volta che ci vado quella scritta la fotografo.
Spero che al presidente avventuriero serva da lezione. I soldi servono, ma avere i soldi non significa essre all’altezza per gestire una squadra in serie A. povero Cagliari brutto e senz’anima.
Zeman un’ altro disastro annunciato enormi le sue responsabilità. ……,,e questo è il risultato. ..in pensione
se vendi ogni anno i buoni ,cosa ti aspetti che vinca ,nessun allenatore è mago