COMBATTERE TRA TOGA E POLITICA: ANNA MARIA BUSIA, GRANDE ESEMPIO DI DONNA SARDA

Anna Maria Busia


di Federica Ginesu

Il grande inganno si era definitivamente consumato una sera di fine agosto 2013. Il voto segreto del Consiglio Regionale della Sardegna aveva di nuovo bocciato, senza appello, la doppia preferenza di genere. Niente agevolazioni che potevano ripristinare un gap che doveva riequilibrare un palese svantaggio. Risultato delle elezioni regionali 2014: su 60 consiglieri solo 4 donne elette. Una sparuta e coraggiosa compagine di cui fa parte l’indomita Anna Maria Busia.  Nuorese, lunga militanza in politica con Udeur e Riformatori, ora responsabile nazionale per la Giustizia del Centro Democratico, avvocato penalista e mamma di due gemelle, è una donna intensa e caparbia.  Ci accoglie nella sua casa due passi dal mare dove modernità e tradizione sarda convergono amalgamandosi naturalmente. E se la casa rispecchia la personalità di chi ci abita si capisce subito, alla prima occhiata, che quell’abitazione appartiene a una donna con carattere, a cui piacciono le sfide. Da vincere possibilmente. Eletta una delle donne più eleganti della politica italiana, magnetica e carismatica è sempre in prima linea, pronta a combattere con uno stile battagliero che lascia il segno. Vestita semplice, di nero, occhi verdi dallo sguardo acuto indagatore, seduta al tavolo di una cucina inondata dalla luce del primo pomeriggio, risponde alle domande senza mai tirarsi indietro, pronta a sfatare pregiudizi e perbenismo. 

La legge è il suo campo d’azione. Perché ha scelto, dopo il liceo, di studiare giurisprudenza?  È divertente ora che ci penso. Ero indecisa tra medicina e leggi. A casa sin da bambina ho respirato impegno civile, perché mio padre faceva politica da sempre. È proprio lui che mi ha spinta a scegliere giurisprudenza così, diceva, avrei avuto tempo anche per la politica.  Ai tempi dell’università ero dirigente nel movimento giovanile della dc. Dai 17 fino ai 27 anni ho frequentato il partito. Poi dopo la laurea, ho fatto l’avvocato e basta per vent’anni. Quando ho iniziato, ero l’unica donna penalista nel foro di Cagliari. Ricordo che, ogni volta che entravo in carcere, venivo guardata come una marziana, mentre adesso fortunatamente tante giovani colleghe decidono di intraprendere questa carriera che non è più appannaggio degli uomini.

La professione forense è votata alla giustizia, ma prevede anche il dovere di difendere chi ha commesso un reato Ho difeso anche i cattivi e ne vado fiera. Vengo riconosciuta, e non me l’attribuisco io, come l’avvocato che difende i diritti delle donne. Io in realtà difendo i diritti delle persone deboli a prescindere dal genere, perché concepisco il mio lavoro come una missione. Mi è capitata, però, una cosa sgradevolissima l’anno scorso. Dopo un mio intervento a un convegno sulla violenza contro le donne, a cui avevo partecipato con entusiasmo, sono stata aggredita su Facebook, accusata di parlare delle donne, quando invece proprio in quel periodo stavo difendendo un uomo coinvolto in una storia di maltrattamenti. 
Voglio ribadire che sono un avvocato e faccio parte di un sistema costituzionale che garantisce la difesa. Cerco, ottemperando al mio impegno verso i più deboli, di portare il mio lavoro anche fuori dalle aule di giustizia e questo non significa che nego la mia competenza a chi ha diritto di essere difeso e si trova ad essere l’aguzzino nel caso di specie. Non mi sono mai definita paladina delle donne. Posso solo semplicemente testimoniare che spesso, in determinate situazioni, le donne si trovano in pericolo e hanno bisogno di essere aiutate.

Quindi si considera o no femminista, una parola che di questi tempi sta diventando un tabù? O fa paura anche lei? Tutti giorni mi dedico alla pratica della giustizia e alla politica. Lascio che siano le mie azioni quotidiane a parlare. È indubbio che la politica sia uno di quei settori in cui le donne sono discriminate.
Prima di entrare in consiglio regionale ho combattuto con l’associazione che ho fondato, Cambialamente, cercando di riportare attenzione sul disequilibrio rappresentativo delle donne nella politica sarda. La grande beffa che c’è stata nel 2013 era un meccanismo facilissimo da architettare studiato per ostacolare le donne. Lo dicono i numeri che siamo sottorappresentate, impossibile negarlo. Lo afferma la Corte Costituzionale che subiamo disparità di trattamento e discriminazione, l’ha ribadito quando il governo Berlusconi ha impugnato la legge elettorale della Campania che istituiva la doppia preferenza, perché secondo il governo creava una sorta di privilegio per le donne. Un ricorso respinto, in cui la Corte dice testualmente: “Bisogna prendere atto che in Italia c’è una discriminazione delle donne in politica”. Sono indispensabili, quindi, delle leggi che consentano un ingresso delle donne attraverso meccanismi come la doppia preferenza o quote riservate che servono ad aumentare la presenza femminile nei luoghi decisionali.  Ho già parlato con le colleghe: bisogna, dopo che abbiamo approvato la finanziaria, agire subito. Io lo farò immediatamente con la mia proposta di legge. Per me è una questione di primaria importanza, è una battaglia in cui credo moltissimo. Sto cercando infatti sostegno dall’esterno, attraverso un movimento che coinvolga l’opinione pubblica, giornali, associazioni, donne e uomini intelligenti che abbiano voglia di partecipare.

La presenza è senza dubbio questione di numeri, ma dipende anche dal fatto che le donne a volte si sottraggono al gioco della politica? Perchè sono così restie? Ci sono diversi motivi. La politica è sicuramente un ambito maschile e gli uomini come chiunque detenga il potere cercano di escludere tutti quelli che non fanno già parte del cerchio magico, del circolo, perchè chiunque entri si mette in concorrenza con loro. Giocano ad excludendum, atteggiamento che ha portato le donne a non essere invogliate ad entrare in certi ambiti. Ecco perché credo in quei dispositivi normativi che possono incoraggiare le donne a entrare in politica. Non è facile però far capire, specialmente ad una parte delle donne di sinistra, che questi strumenti adottati in tutta Europa, Paesi Scandinavi compresi, non sono sminuenti, ma permettono di modificare la realtà introducendo in massa le donne e cambiando così le istituzioni.

Occuparsi quotidianamente del diritto l’ha agevolata nel capire i meccanismi della politica? Ho sempre pensato che praticare il diritto agevoli a comprendere i limiti che appartengono alla legge. Le aule di giustizia forniscono un sacco di spunti, perchè è l’umanità più varia che le frequenta. Ci sono i problemi più svariati: dalla banale lite di condominio che si può trasformare nella tragedia della tua vita all’omicidio, alla rapina e ai grandi drammi della giustizia civile. Ti dà una visione di tutto ciò che accade nella società. Conoscere il diritto aiuta a capire meglio come modificarlo attraverso l’azione politica, ma poi ci si scontra sempre col compromesso che varia dal semplice confronto con gli altri a cercare di mettere da parte i tuoi ideali, perché fai parte di un gruppo, una maggioranza, una coalizione. Contemperare tutto questo è una prova di tutti i giorni che ti va crescere continuamente.

È una bellissima donna, pensa che il suo aspetto fisico l’abbia agevolata o è un’arma a doppio taglio? Nell’avvocatura è stato un problema. Adesso non più, ma vent’anni fa, quando ho iniziato avevo l’abbigliamento apposito per il carcere, perché in un ambiente così maschile dovevi essere autorevole e rigorosa, non era tollerata la civetteria. In politica, il periodo Berlusconi nel bene e nel male ha sbaragliato le carte: ora non fa più scalpore la bella donna.

È indubbio però che l’esteriorità crea dei pregiudizi. Lei ha difeso a spada tratta Michela Murgia quando l’ex governatore Ugo Capellacci l’ha denigrata per il suo aspetto fisico. Odio profondamente le battute sui difetti delle donne. Come si permettono! Questi atteggiamenti sessisti li trovo insopportabili e non riguardano solo l’aspetto fisico. Penso all’attacco rivolto alla due ragazza rapite in Siria e liberate col pagamento del riscatto, alla giornalista Sara Marci immortalata in un’umiliante vignetta e presa di mira solo perché donna o alla Barracciu che ha sulla carta le stesse responsabilità di altri colleghi maschi, ma è stata massacrata. Basta che ci sia il minimo errore, il minimo sgarro e sei la strega da mandare al rogo.

Cosa vuol dire per lei essere una donna sarda? Provo tanto orgoglio. Amo la mia Terra e cerco di combattere per lei ogni giorno. Mi sono opposta allo sbarco dei mafiosi del 41bis, ho preso posizioni pubbliche sulle servitù militari. La Sardegna, non puo’ essere un concentrato di poligoni e rifiuti tossici. È una situazione insostenibile ed è impossibile che rimanga così. I rapporti con lo Stato devono essere decostruiti e ricostruiti attraverso iniziative che tutte le parti politiche devono fare insieme, altrimenti non si arriva a nulla. Abbiamo il potenziale per diventare un popolo felice e riscattarci. Puntare sulla nostra identità è il percorso da seguire per rilanciarci economicamente e io ci sto provando. 

Un bilancio del suo primo anno da consigliera regionale È un’esperienza interessante, faticosa perché stimolante e impegnativa, da cui ne uscirò arricchita e con le ossa un po’ ammaccate. Consiglio comunque alle donne di buttarsi in politica anche se tutti sembrano dirti che dovresti fare altro.

Se l’Italia non è un paese per donne, la Sardegna è la terra delle donne che ci credono e si impegnano guardando al domani che è già presente come a un grande risveglio.

* La Donna Sarda

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