Ferve la polemica sull’articolo dell’Unione Sarda relativo alla Sardegna come regione più inquinata d’Italia. Molti operatori del settore turistico e agricolo hanno reagito con estrema durezza a questo articolo, e altrettanto dura è stata la reazione del direttore della testata che, in pratica, ha trattato costoro da servi. La Sardegna è la regione più inquinata d’Italia. Ma è vero? Non c’è dubbio che l’isola presenta vaste aree devastate da processi di inquinamento industriale e militare. Ma è anche la regione d’Italia, secondo uno studio del WWF, di gran lunga con la minore edificazione costiera; inoltre, secondo i dati Istat, è la regione con la massima superficie boschiva; è noto, poi, l’elevato indice di biodiversità faunistica e floristica. La Sardegna è conosciuta, a ragione, come terra tutto sommato ancora integra e ricca di emergenze paesaggistiche e naturalistiche, uniche in Europa. Si potrebbe, ragionevolmente, definire la Sardegna come la terra meno inquinata o comunque meno antropizzata d’Italia. Ma è possibile che la Sardegna possa essere, nello stesso tempo, la regione meno inquinata e più inquinata? Non sarebbe una contraddizione? In realtà ciò sarebbe possibile, ma solo se consideriamo i dati in modo aggregato. In Sardegna vaste superfici sono interessate da drammatici fenomeni di inquinamento. Sono le conseguenze di quel modello di sviluppo che, a partire dal dopoguerra, ha stanziato in Sardegna servitù militari e l’industria petrolchimica pesante. Una forma mascherata di colonialismo, che approfittava di una situazione sociale e di una densità abitativa favorevole per stoccare nell’isola servitù inquinanti ed ingombranti. Sotto questo profilo, si può ragionevolmente dire che la Sardegna ha dato a queste servitù la superficie maggiore di ogni altra regione italiana. E di gran lunga. Però non è un calcolo in percentuale, ma assoluto. In percentuale l’isola starebbe dietro a regioni più piccole, come la Campania. Dire che la Sardegna è la regione d’Italia più inquinata, quindi, non è proprio corretto. Si dovrebbe dire che la Sardegna è la regione d’Italia con la maggiore superficie interessata da inquinamento, che non è la stessa cosa. Essendo l’isola una regione vasta (la terza in Italia) e poco popolata, vi sono più aree inquinate che altrove, ma anche superfici non inquinate maggiori che altrove. Quindi dire che la Sardegna, nello stesso tempo, è la regione più inquinata e meno inquinata d’Italia, è solo una contraddizione apparente, dovuta al mancato confronto dei dati. Sarebbe sempre bene completare l’informazione offrendo l’aggregazione dei dati, dicendo l’uno e l’altro, perché altrimenti si rischia di offrire al lettore una mezza verità. E una mezza verità, spesso, può trasformarsi in una mezza bugia. Ma capiamo la necessità della comunicazione mediatica di essere concisi e di semplificare il messaggio, per farlo “arrivare” meglio. Se tutto questo può essere utile a creare scandalo, a fare massa critica per rivendicare queste benedette bonifiche che non arrivano, ben venga! Quindi in Sardegna ci sono 445.000 ettari di terreno inquinato da bonificare. Una superficie territoriale enorme, pazzesca, quasi un quinto dell’isola. Incredibile. Tanto incredibile che mi sono preso la briga di verificare la fonte. La fonte sembrerebbe essere il rapporto di Greenpeace del 2011. Come nota Fernando Codonesu (Servitù militari, modelli di sviluppo e sovranità in Sardegna, Cuec, 2013), questo dato è stranamente coincidente con la superficie del Sito di Interesse Nazionale delle bonifiche del Sulcis – Inglesiente – Guspinese. Ma nella superficie di quel sito, come nota lo stesso Codonesu, sono confluiti in modo generico tutte le superfici comunali di comuni che ambiscono, in qualche modo, ad usufruire di contributi pubblici come aree inquinate, non ancora delimitate formalmente. Quindi un dato, chiaramente errato, che passando da fonte a fonte ha finito per essere ripreso, in maniera pedissequa, un po’ da tutti, senza rendersi conto che non è realistico che un quinto della Sardegna debba essere bonificata. In realtà, come calcola Codonesu, le superfici interessate da inquinamento, sommando siti industriali e militari, ammonta a circa 20 mila ettari, che è una cifra mostruosa, drammatica, spaventosa, soprattutto perché realistica. Quindi, semplifichiamo pure il messaggio, per farlo arrivare meglio, e diciamo che la Sardegna è la regione d’Italia più inquinata, se serve a rivendicare con forza l’avviamento delle bonifiche che, oltre a risanare aree inutilizzate, occuperebbero gli operai espulsi dal ciclo produttivo industriale. Tuttavia è bene evitare la denigrazione dell’immagine dell’isola, cosa di cui proprio non c’è bisogno in questo momento. Anche perché, quello che è davvero significativo, in questa storia, è proprio il contrasto. Senza il contrasto non si capisce bene il dramma di una terra così bella e ricca di prerogative, usata così malamente. Questo contrasto è sempre bene metterlo in evidenza, non scordarlo mai. La Sardegna è una terra che la natura ha destinato a ben altro che ad essere maltrattata da petrolchimico e da bombe. Diciamolo sempre: terra ancora bella e integra, con un brutto, scabroso “però”, alla quale porre rimedio al più presto. Ripetiamolo, non scordiamolo, perché la fase successiva è l’immedesimazione, anche mentale, in quello che stiamo diventando, piuttosto che in quello che dovremo essere. La denigrazione dell’immagine, infatti, non è solo un fatto economico, di promozione. E’ anche un fatto mentale, sociale e antropologico che attende alla fiducia comune, alla percezione di sé, e a quella che Placido Cherchi definiva “autocoscienza del valore”. Attiene, in definitiva, alla scelta del modello di sviluppo da intraprendere. Non vorrei, infatti, che a furia di semplificare i messaggi, e a denigrare quest’isola tutto sommato ancora unica e bellissima, si finisca per insinuare involontariamente l’idea che vabbé, in fin dei conti, tutto sommato, tanto vale che, è tutto inutile, restiamo servi che non abbiamo speranza. Fregandosene di quelli che, invece, in Sardegna, provano a fare impresa, si arrabattano con la terra, lavorano tra mille difficoltà nel turismo e nell’agricoltura.
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